Corte di Cassazione ordinanza n. 17475 depositata il 31 maggio 2022
studi di settore – applicazione di quello più evoluto anche retroattivamente
Rilevato che:
1. – con sentenza 6090/2014, depositata il 24 novembre 2014, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, – pronunciando sull’appello proposto da Pubblicità F.T. S.n.c., T.E., T.T. e T.X., – ha confermato il decisum di prime cure che, in parziale accoglimento dei ricorsi proposti dai contribuenti, aveva determinato in € 64.365,00 i maggiori ricavi accertati nei confronti della società, a fini Iva e Irap, e per trasparenza imputati ai soci, a fini Irpef, dietro applicazione dello studio di settore UD35U;
1.1 – il giudice del gravame ha ritenuto che:
- gli avvisi di accertamento impugnati risultavano correttamente motivati, – avuto riguardo ai dati fattuali ed alle ragioni posti a fondamento del recupero a tassazione, – tanto da consentire ai contribuenti puntuali, e specifiche, difese nel merito della pretesa impositiva;
- del pari destituita di fondamento rimaneva l’eccezione di nullità degli atti per difetto di contraddittorio endoprocedimentale, atteso che, tra le parti, si era ritualmente svolto procedimento di accertamento per adesione definito con un accordo, seppur questo rimasto inadempiuto;
- il fondamento dell’accertamento di maggiori ricavi rinveniva, nella fattispecie, dalla corretta applicazione, secondo il principio «del tempus regit actum», degli studi di settore a fronte dei quali i contribuenti non avevano offerto prova contraria di «una realtà reddituale diversa da quella accertata», pretesa impositiva, questa, che, peraltro, era stata rideterminata dal primo giudice, con acquiescenza dell’Agenzia, e sinanche concordata in sede di accertamento per adesione;
2. – Pubblicità F.T. S.n.c., T.E., T.T. e T.X. ricorrono per la cassazione della sentenza sulla base di quattordici motivi di ricorso, illustrati con memoria;
- l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;
- con ordinanza resa all’udienza del 7 luglio 2021 la Corte ha disposto acquisirsi il fascicolo di ufficio del processo definito in grado di appello dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia nonché informazioni dall’Agenzia delle Entrate «in ordine alla definizione agevolata (cd. rottamazione) delle cartelle esattoriali emesse in relazione all’avviso di accertamento concernente la originaria posizione del socio T.M.»;
Considerato che:
1. – come reso esplicito dall’esame degli atti del fascicolo di ufficio, e dalla documentazione rimessa dall’Agenzia in relazione alla (parziale) definizione agevolata degli atti impositivi in contestazione, vengono in considerazione, nella fattispecie, i seguenti avvisi di accertamento:
- R1Q02SP00922 (per IVA e IRAP 2005), emesso nei confronti di Pubblicità F.T. S.n.c.;
- T9D011003788 (per IRPEF 2005), emesso nei confronti di T.M. (deceduto in corso di processo) e oggetto di contestazione, in giudizio, da parte dei suoi eredi T.E. e T.X.;
- T9D011003785 (sempre per IRPEF 2005), emesso nei confronti di T.E.;
- T9D011003790 (anche questo per IRPEF 2005), emesso nei confronti di T.T.;
2. – dalle ulteriori informazioni acquisite dalla Corte, in corso di giudizio, è, poi, emerso che:
- all’avviso di accertamento T9D011003788, – emesso, come anticipato, nei confronti di T.M., – sono conseguite le iscrizioni a ruolo di cui alle cartelle di pagamento:
- 06820110402404962, che «non risulta compresa in alcuna definizione agevolata e, alla data odierna, è in essere per complessivi Euro 2.832,76»;
- 06820140017765908, che ha formato oggetto di definizione agevolata “(ai sensi del d.l. n. 119 del 2018 conv. con l. n. 136 del 2018) da parte del coobbligato T.X.;
- 06820150083477562, che ha formato oggetto di definizione agevolata (ai sensi del d.l. n. 193 del 2016, conv. in l. n. 225 del 2016) da parte del coobbligato T.E.;
3. – in via pregiudiziale va, pertanto, rilevato che, – così come riscontrato dalla stessa Agenzia, – i ricorrenti Pubblicità F.T. n.c., T.E., in proprio, e T.T. hanno fatto accesso alla definizione agevolata della controversia, ai sensi del d.l. n. 119 del 2018, art. 6, conv. in l. n. 136 del 2018, definizione del cui perfezionamento, come detto, la stessa Agenzia dà conto, con riferimento agli avvisi di accertamento R1Q02SP00922 (quanto alla Pubblicità F.T. S.n.c.), T9D011003785 (quanto al ricorrente T.E.) e T9D011003790 (quanto al ricorrente T.T.);
- relativamente all’avviso di accertamento T9D011003788 persiste, invece, controversia tra le parti relativamente al solo importo iscritto a ruolo di cui alla cartella esattoriale n. 06820110402404962 che, come detto, non ha formato oggetto di definizione agevolata;
3.1 – il d.l. n. 119 del 2018, art. 6, cit., per quel che qui rileva, dispone che:
- «Le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni del presente In tal caso il processo è sospeso fino al 10 giugno 2019. Se entro tale data il contribuente deposita presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, il processo resta sospeso fino al 31 dicembre 2020.» (comma 10);
- «L’eventuale diniego della definizione va notificato entro il 31 luglio 2020 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia » (comma 12);
- «In mancanza di istanza di trattazione presentata entro il 31 dicembre 2020 dalla parte interessata, il processo è dichiarato estinto, con decreto del Presidente. L’impugnazione della pronuncia giurisdizionale e del diniego, qualora la controversia risulti non definibile, valgono anche come istanza di trattazione. Le spese del processo estinto restano a carico della parte che le ha anticipate.» (comma 13);
3.2. – risultando quindi, da un lato, che i contribuenti hanno eseguito i versamenti dovuti, e dall’altro, che non è stata presentata la cennata istanza di trattazione, – in quanto la stessa Agenzia dà conto della regolarità della definizione della lite, – deve ritenersi perfezionata la causa estintiva correlata all’accesso alla definizione agevolata;
3.3 – le spese del processo estinto, – nei rapporti processuali tra i ricorrenti e l’Agenzia, – restano a carico della parte che le ha anticipate (art. 6, 13, ult. prop., cit.) e non ricorrono i presupposti dell’ulteriore versamento del contributo unificato (d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 201, n. 228), trattandosi di misura la cui natura eccezionale, perchè lato sensu sanzionatoria, impedisce ogni estensione interpretativa oltre i casi tipici del rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione (Cass., 12 novembre 2015, n. 23175 cui acide Cass., 28 maggio 2020, n. 10140; Cass., 18 luglio 2018, n. 19071);
4. – persistendo, peraltro, il giudizio in ordine al tributo iscritto a ruolo di cui alla cartella esattoriale 06820110402404962 (emessa in relazione all’avviso di accertamento T9D011003788), vanno esaminati gli spiegati motivi di ricorso;
5. – il primo motivo, – col quale si denuncia violazione e falsa applicazione di legge (art. 360, 1, n. 3, cod. proc. civ.) in relazione al d.p.r. n. 600 del 1973, ed alla l. n. 212 del 2000, – è inammissibile nella misura in cui, – riproponendo la questione, relativa al difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, che, come detto, il giudice del gravame ha specificamente disatteso, – detta riproposizione risulta del tutto generica e, per l’appunto, non dà conto, nemmeno in sintesi, dell’effettivo contenuto motivazionale dell’atto impugnato; come, difatti, rilevato dalla Corte, la censura involgente la congruità della motivazione dell’avviso di accertamento necessariamente richiede che il ricorso per cassazione riporti testualmente i passi della motivazione dell’atto che, per l’appunto, si assumano erroneamente interpretati o pretermessi e che hanno dato luogo al vizio motivazionale denunciato (v. Cass., 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde, ex plurimis, Cass., 19 novembre 2019, n. 29992; Cass., 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., 29 maggio 2006, n. 12786);
6. – il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.l. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, conv. in l. n. 427 del 1993, sull’assunto del difetto del presupposto qualificativo del ricorso agli studi di settore, quale costituito dall’accertamento di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore, con riferimento (anche) allo studio di settore più evoluto (VD35U);
6.1. – il motivo, per ragioni di connessione, va esaminato congiuntamente al settimo ed all’ottavo motivo di ricorso, con i quali si denuncia, ai sensi dell’art. 360, 1, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione del d.l. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, cit., e dell’art. 53 Cost. con riferimento alla versione più evoluta dello Studio di settore (VD35U), che ha sostituito lo studio di settore (previgente e) in concreto applicato (UD35U), sull’assunto che, secondo dieta giurisprudenziali, lo studio di settore deve trovare applicazione (anche) retroattiva, attesa la sua natura procedimentale;
6.2. – i motivi sono fondati, e vanno accolti per quanto di ragione, con riferimento (solo) alla denunciata violazione di legge (omessa applicazione dello studio di settore più evoluto), posto che dalla stessa gravata sentenza emerge che l’applicazione degli studi di settore è stata delimitata secondo il principio tempus regit actum laddove, come statuito dalle Sezioni Unite della Corte, la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante l’applicazione dei parametri e degli studi di settore, costituisce un sistema unitario, frutto di un processo di progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, che giustifica la prevalenza, in ogni caso, e la conseguente applicazione retroattiva dello strumento più recente rispetto a quello precedente, in quanto più affinato e, pertanto, più affidabile (così Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26635 cui adde, ex plurimis, , 17 luglio 2019, n. 19172; Cass., 18 novembre 2015, n. 23554; Cass., 29 gennaio 2014, n. 1843); e, in particolare, si è rimarcato che l’affinamento in uno studio di settore più evoluto costituisce ius superveniens rilevabile anche in appello, sorgendo in capo al contribuente un diritto soggettivo perfetto ad essere riqualificato secondo il nuovo strumento (Cass., 16 dicembre 2019, n. 33035);
7. – il terzo motivo, – che, ai sensi dell’art. 360, 1, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.l. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, c. 3, cit., – è inammissibile in quanto i ricorrenti, – nel riproporre le deduzioni in fatto, oggetto del motivo di appello e, in tesi, confermative del difetto di un effettivo contraddittorio endoprocedimentale, – per un verso risolvono le loro censure nella mera riproposizione di dati fattuali, il cui esame viene inammissibilmente devoluto alla Corte, – e, per il restante, non prendono alcuna specifica posizione sugli accertamenti operati dal giudice del gravame che, come anticipato, ha dato conto del rituale svolgimento del procedimento per adesione, sinanche definito con un accordo;
8. – col quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, 1, n. 3, cod. proc. civ., si denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.p.r. n. 600 del 1973, art. 39, ed al d.l. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, c. 3, cit., assumendosi, in sintesi, che la gravata sentenza, nel ritenere la legittimità dell’avviso di accertamento fondato su studio di settore, aveva omesso di considerare le «specifiche concrete circostanze di fatto dedotte» da essi esponenti in relazione allo svolgimento dell’attività di impresa, e tali da giustificare lo scostamento dalla posizione reddituale;
8.1 – congiuntamente a detto motivo va esaminato, perché connesso, il nono motivo di ricorso che, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 5, cod. proc. civ., espone la denuncia di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’errore materiale in cui era incorso il giudice del primo grado del giudizio che, dopo aver accertato una situazione di non normale attività dell’impresa, e ciò non di meno, aveva rideterminato i maggiori ricavi in un importo(€ 64.365,00) che, però, rappresentava (semplicemente) il risultato della diretta applicazione dello studio di settore (UD35U);
8.2. – i due motivi sono inammissibili perché, al di là della loro veste formale, – per vero ancor più impropria nel riferimento operato ad un supposto errore materiale del giudice del primo grado, – si risolvono in una (per vero, generica) deduzione di omesso esame di dati probatori (di natura documentale) che avrebbero dato conto delle «concrete circostanze di fatto dedotte» cui raccordare le emergenze dello studio di settore e, così, escluderne la rilevanza in termini di presunzione semplice;
- – i due motivi tendono, pertanto, ad eludere gli stessi limiti di ammissibilità di censure sul vizio di motivazione della gravata sentenza (art. 348 ter, c. 4, cod. proc. civ.) e, così, finiscono per devolvere all’esame della Corte i contenuti dell’accertamento che, secondo il regime della cd. doppia conforme, ha formato oggetto delle decisioni di merito, esame questo che in questa sede risulta, per tale profilo, inammissibile (v. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053);
9. – il quinto motivo, – che, ai sensi dell’art. 360, 1, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.l. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, c. 3, cit., all’art. 2697 cod. civ., ed alla l. n. 296 del 2006, art. 1, c. 14 bis, e art. 14 ter,
– incorre nei medesimi rilievi svolti con riferimento al quarto ed al nono motivo; di vero, i ricorrenti, – nel riproporre la censura di illegittimità di un avviso di accertamento fondato su studio di settore non correlato alle specifiche connotazioni in fatto dell’attività di impresa, questa volta sotto il profilo dell’inidoneità di un siffatto accertamento ad integrare una presunzione legale cui raccordare l’inversione dell’onere della prova, – per di più non considerano che, nella fattispecie, l’esito dello studio di settore è stato rideterminato già nel primo grado del giudizio, così che, anche qui, la censura si risolve in una (del tutto) astratta doglianza di violazione di legge che, oltretutto, lascia completamente indeterminate quelle stesse circostanze fattuali che, in tesi, avrebbero giustificato una diversa conclusione;
10. – il sesto motivo, – che, formulato ai sensi dell’art. 360, 1, n. 5, cod. proc. civ., espone la censura di omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento allo studio di settore del quale si assume la concreta inapplicabilità, – è anch’esso inammissibile in quanto, – così come reso esplicito dal relativo contenuto, – da un lato assume detta inapplicabilità con riferimento a «cause di non normale svolgimento dell’attività» che, già oggetto di esame da parte dei giudici dei due gradi di merito, vengono in questa sede riproposte in violazione dei limiti del sindacato devoluto a questa Corte (in relazione alla cd. doppia conforme di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ.; v. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053) e, dall’altro, lascia (anche) indeterminato l’oggetto stesso della censura che, – attraverso il riferimento operato alle difese svolte dall’Agenzia, – viene identificato con lo studio di settore TD35U quando il giudice del primo grado, con accertamento confermato in appello, ha fatto applicazione dello studio UD35U;
11. – il decimo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 5, cod. proc. civ., espone la denuncia di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, relativamente alla illegittimità del provvedimento applicativo delle sanzioni per omessa motivazione;
11.1 – con l’undicesimo motivo la ricorrente, ai sensi dell’art. 360, n. 1, n. 3, cod. proc. civ., denuncia violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 472 del 1997, artt. 7 e 16, assumendo il difetto di motivazione dello stesso provvedimento sanzionatorio in punto di elemento soggettivo dell’illecito;
11.2 – i due motivi, che vanno congiuntamente trattati per evidente connessione, sono inammissibili nella misura in cui, – come si è già rilevato con riferimento al primo motivo di ricorso, – si risolvono nella (mera) riproposizione di tesi, ed argomenti, difensivi che, però, non danno alcun conto né degli effettivi termini in cui l’avviso di accertamento è stato motivato, questa volta per il profilo sanzionatorio, né delle stesse sanzioni che, nella fattispecie, sono state applicate, così che i due motivi difettano di specificità ed autosufficienza;
- e, per di più, la Corte ha statuito che l’obbligo di motivazione dell’atto di contestazione della sanzione collegata al tributo, imposto dall’art. 16, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, opera soltanto quando essa sia irrogata con atto separato e non contestualmente e unitamente all’atto di accertamento o di rettifica, in quanto, in quest’ultimo caso, viene assolto per relationem se la pretesa fiscale è definita nei suoi elementi essenziali (v. Cass., 22 settembre 2021, n. 25633; Cass., 4 maggio 2021, n. 11610);
- come, poi, ripetutamente rilevato dalla Corte, i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza, non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non prenda concreta posizione, articolando specifiche censure sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie controversa; il ricorrente ha, difatti, l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata (Cass., 3 dicembre 2020, n. 27697; , 19 novembre 2019, n. 29992; Cass., 14 maggio 2018, n. 11603; Cass., 22 settembre 2014, n. 19959; Cass., 3 luglio 2008, n. 18202; Cass., 14 novembre 2003, n. 17183);
12. – il dodicesimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, 1, n. 5, cod. proc. civ., espone la censura di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’inosservanza del termine dilatorio (di 60 giorni), computato a decorrere dalla chiusura del procedimento amministrativo, rilevante ai fini dell’emissione dell’avviso di accertamento;
12.1 – il tredicesimo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., a sua volta espone la denuncia di violazione e falsa applicazione della n. 212 del 2000, art. 12, c. 7, sull’assunto che, nella fattispecie, l’avviso di accertamento era stato emesso in violazione di detta disposizione che, in quanto volta a consentire il contraddittorio preventivo in funzione di tutela del diritto del contribuente ad interloquire con l’amministrazione, giustappunto prefigura il termine dilatorio (di 60 gg.) a fronte di qualsiasi attività di controllo posta in essere dall’amministrazione;
12.2 – i due motivi, – in disparte la stessa inammissibilità del primo, nei termini in cui è stato formulato, – sono manifestamente destituiti di fondamento siccome indubbio che, – rilevando, nella fattispecie, la disposizione di cui alla l. n. 146 del 1998, art. 10, 3 bis, in funzione (proprio) del contraddittorio endoprocedimentale che, come rimarcato dalle Sezioni Unite della Corte, costituisce imprescindibile elemento costitutivo di fattispecie (laddove l’accertamento fondato sulle emergenze di uno studio di settore; Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26635) e che, come accertato dal giudice del gravame, nel caso che ne occupa si è correttamente svolto, – è (del tutto) evidente che le esigenze di tutela del contribuente, – cui risulta correlato il termine posto dalla l. n. 212 del 2000, art. 12, c. 7 (cfr. Cass. Sez. U., 29 luglio 2013, n. 18184; v., altresì, Corte Cost., 24 luglio 2009, n. 244), – risultano (qui) anticipatamente assicurate (proprio) dall’invito a comparire che l’amministrazione (ai fini dello svolgimento del procedimento per adesione) ha rivolto al contribuente ai sensi dell’art. 10, c. 3 bis, cit.;
- e, del resto, la fungibilità delle forme, – che, ad ogni modo, siano preordinate a garantire un effettivo contraddittorio endoprocedimentale tra il contribuente e l’amministrazione, – risulta rimarcata dallo stesso legislatore che con l’art. 5 ter (invito obbligatorio) del lgs. n. 218 del 1997 [inserito dal d.l. n. 34 del 2019, art. 4-octies, c. 1, lettera b), conv. in l. n. 58 del 2019] ha, giustappunto, previsto che l’ufficio «prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l’invito a comparire di cui all’articolo 5 per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento», al di fuori, però, dei «casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo» (qui, per l’appunto, trovando applicazione la disposizione di cui alla l. n. 212 del 2000, art. 12, c. 7);
13. – il quattordicesimo motivo, ai sensi dell’art. 360, 1, n. 4, cod. proc. civ., espone la denuncia la nullità della gravata sentenza in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., ed all’art. 2697 cod. civ., assumendosi l’omesso esame dei motivi di appello con i quali si era dedotta l’illegittimità della pronuncia di prime cure che, a sua volta, aveva omesso di pronunciare in ordine «ai vizi degli atti consequenziali notificati ai soci»;
13.1 – anche questa censura è inammissibile;
- in disparte, difatti, quei profili di censura che, – chiaramente involgendo il difetto di motivazione degli atti impugnati, anche sotto il profilo sanzionatorio, – sembrano costituire riproposizione, sotto diversa prospettazione, dei motivi di ricorso per l’innanzi già esaminati, v’è che la doglianza si risolve in un affastellamento, per lo più contratto e sincopato, delle stesse questioni che, in quanto riproposte (in tesi) davanti al giudice del gravame, non sarebbero state esaminate;
- il motivo in trattazione, quindi, difetta anch’esso di specificità, e di autosufficienza, in quanto nè specifica da quale parte ricorrente le questioni in discorso siano state proposte, – e, così, sottoposte all’esame del giudice del gravame, – nè dà specificamente conto degli effettivi termini sostanziali in cui dette questioni sono state sottoposte all’esame del giudice del gravame;
14. – in conclusione l’impugnata sentenza va cassata (solo) in relazione ai motivi accolti (secondo, settimo e ottavo), – e con riferimento alla posizione processuale dei ricorrenti T.X. e T.E., quali eredi di T.M., – con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese processuali di questo giudizio, alla stessa Commissione tributaria regionale della Lombardia che, in diversa composizione, procederà al riesame della controversia attenendosi ai principi di diritto sopra esposti.
P.Q.M.
La Corte, dichiara estinto il giudizio nei rapporti processuali tra i ricorrenti Pubblicità F.T. S.n.c., T.E., in proprio, e T.T. e la controricorrente Agenzia delle Entrate; compensa integralmente, tra dette parti, le spese processuali; accoglie il secondo, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso proposto da T.X. e T.E., quali eredi di T.M., rigetta il dodicesimo ed il tredicesimo motivo, dichiara inammissibili i residui motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione a detti motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.
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