Corte di Cassazione ordinanza n. 17588 depositata il 21 giugno 2021
sanzioni – legittimo affidamento – circolari – esclusione
Rilevato che:
– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dell’Amministrazione Finanziarie e in riforma della pronuncia di prime cure ha dichiarato quindi legittimi gli atti impugnati;
– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione la società contribuente con ricorso affidato a cinque motivi e illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.; resiste con controricorso l’Amministrazione Doganale;
considerato che:
– con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza gravata per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.1 n.4 c.p.c. per avere la CTR omesso di pronunciarsi circa l’estensione al tributo degli effetti dell’affidamento indotto dalle indicazioni amministrative manifestate dagli Uffici finanziari nel corso degli anni;
– il motivo risulta strettamente connesso, sia dal punto di vista logico sia dal punto di vista giuridico, con il secondo motivo, con il quale si censura la sentenza gravata in quanto nulla per omessa motivazione con riguardo alla censura relativa al contrato della condotta amministrativa con il principio di legittimo affidamento, in violazione degli artt. 36 c. 2 n. 4 del d. Lgs. n. 546 del 1992, 132 comma 2, n. 4 e 118 c.p.c. e 111 comma 6 Cost., in relazione all’art. 360 c.1 n. 4 c.p.c. per avere la CTR deciso con statuizione incomprensibile quanto alle ragioni del rigetto della censura di cui al precedente motivo;
– i ridetti due motivi sono analogamente avvinti al quarto motivo di ricorso, con il quale si denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione con riferimento al profilo di merito, in violazione artt. 36 c.2 n. 4 d. Lgs. n. 546 del 1992, 132 co. 2 n. 4, nonché dell’art. 111 c. 6 Cost. in relazione all’art. 360 c.1 n. 4 c.p.c. per avere la CTR reso sul punto motivazione meramente apparente;
– pertanto, i mezzi di gravame possono esaminarsi congiuntamente; tutti risultano privi di fondamento;
– sia pur senza particolare chiarezza, emerge dalla sentenza impugnata come la questione dell’affidamento in parola sia stata in concreto presa in esame dalla CTR, che ne ha escluso in concreto, alla luce delle circostanze di fatto emerse, la sussistenza;
– il terzo motivo di ricorso si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del d. Lgs. n. 212 del 2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente) in relazione all’art. 360 c.1 n. 3 c.p.c. per avere il secondo giudice erroneamente ritenuto applicabili alle sole sanzioni, e non al tributo, gli effetti dell’affidamento;
– anche tale motivo non è fondato;
– invero, l’art. 10 comma 3 del d. Lgs. n. 212 del 2000 in tema di esclusione della responsabilità del contribuente, testualmente limita gli effetti della tutela dell’affidamento alla sola esclusione delle sanzioni e degli interessi moratori, senza incidere in alcun modo sull’obbligazione tributaria (cfr. Cass. 3757/2012, sia pure con riguardo alla portata del comma 2° dell’art.10 citato; successivamente in termini Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5934 del 25/03/2015; in ultimo Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 370 del 09/01/2019; sempre con riferimento all’esclusione delle sole sanzioni, si vedano ancora Cass. n. 10499 del 03/05/2018; Cass. n. 12635 del 08/02/2017; Cass. n. 16692 del 03/07/2013; Cass. n. 21070 del 13/10/2011; Cass. n. 19479 del 10/09/2009).); l’articolato normativo è del tutto chiaro nella sua previsione e non ammette alcuna differente interpretazione;
– peraltro, andando di diverso avviso, risulterebbe vulnerato L’art. 53 Cost., ammettendosi in sostanza che sia pur in presenza della capacità contributiva attinta dal prelievo, l’espressione (eventualmente anche erronea) dell’Ufficio contraria all’applicazione del tributo possa derogare a tal dettato costituzionale; ma non solo;
– la società contribuente, in memoria, ribadisce con ampie argomentazioni come l’adozione ad opera degli Uffici delle Dogane, di specifiche determinazioni, indirizzate alla F. s.pa. qui ricorrente, e fondate sulla prassi allora consolidata dovrebbe esser tenuta in conto per concludere in ordine alla non debenza del tributo. Nel caso di specie, secondo la società contribuente, si tratta non già di un mero e generale revirement interpretativo, bensì di una vera e propria rettifica retroattiva e in malam partem di precedenti determinazioni già assunte dagli Uffici delle dogane e specificamente indirizzate al contribuente, sulle quali quest’ultimo aveva riposto, nel senso che si è detto e che ulteriormente si dirà, un legittimo affidamento. Tale rettifica, se consentita, produrrebbe al contribuente (ma in realtà, ha già prodotto) un pregiudizio che la disapplicazione delle sanzioni non è certo in grado di compensare e che, pertanto, pur se imputabile esclusivamente all’ambiguità della condotta degli Uffici, finirebbe per essere addossato esclusivamente a F.;
– orbene, la Corte ritiene che tali argomentazioni non possano trovare condivisione. E’ ben vero che la giurisprudenza costituzionale, comunitaria ed amministrativa – richiamata in memoria – afferma in sintesi la natura “immanente”, nel senso precisato, (anche) nell’ordinamento tributario del principio della tutela dell’affidamento legittimo. Nondimeno però ciò dimostra la funzione del principio stesso, a declinarlo nella sua massima estensione, come limite generale anche all’esercizio della potestà di autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria: preclusivo, cioè, all’adozione, da parte della stessa, di atti di annullamento d’ufficio o di revoca di precedenti atti, i quali abbiano concretamente determinato, in capo al contribuente, una situazione giuridica favorevole a quest’ultimo e fondata, appunto, sul suo legittimo affidamento. Infatti – posto che i provvedimenti di esercizio dell’autotutela amministrativa, quali provvedimenti discrezionali volti a rimuovere precedenti provvedimenti (ritenuti) illegittimi e/o infondati, richiedono, per la loro adozione, da un lato la valutazione, della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto (ulteriore rispetto quello del mero ripristino della legalità, ritenuta violata), e, per altro, la valutazione della sussistenza di specifici interessi privati, quale, ad es., quello del destinatario del precedente provvedimento favorevole, che abbia fatto legittimo affidamento e sugli effetti dello stesso – il fatto che sia garantito, nell’ordinamento particolare tributario, un principio “generale” di tutela dell’affidamento legittimo e della buona fede inserisce appieno, ed esplicitamente, anche l’attività amministrativa tributaria nella cornice di garanzie predisposte dal legislatore in favore di tutti gli amministrati. Ne discende che – affermata in generale l’esistenza di un limite siffatto anche nell’ordinamento particolare tributario – l’accertamento della sua violazione da parte dell’Amministrazione finanziaria nel concreto rapporto tributario determina in siffatti casi, ad esempio, come si è ritenuto, l’illegittimità del provvedimento espressivo di autotutela (così Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576). Tal principio trova applicazione però unicamente ove sia presente un atto amministrativo tipizzato normativamente e diretto per sua natura, ex lege, a regolare la situazione personale, concreta ed attuale di quel contribuente;
– non è questo, nota la Corte, il caso che ci occupa: nella presente controversia F. s.p.a. ha ricevuto, per quanto reiteratamente, unicamente rassicurazioni e conferme quanto alla propria interpretazione del sistema normativo che hanno certamente costituito un comportamento attivo avente l’effetto di agevolare il modus operandi della società contribuente, rafforzandone vieppiù la convinzione di hon agire contra legem; eppure tali comportamenti non si sono manifestati in atti espressi nel senso sopra riportato. Come ricordato anche in memoria, essi essi si sono manifestati – diversamente – autorizzazioni, provvedimenti di determinazione della cauzione dovuta e di accettazione delle fideiussioni pure prescritte; atti quindi di contenuto diverso, meramente esecutivo ed attuativo di situazioni personali e concrete del contribuente che in quanto date per sussistenti in forza di mera presa d’atto, senza la conferma ed accettazione dell’interpretazione normativa che le sostiene scolpita in un provvedimento tipizzato normativamente come diretto a confermare la prospettazione in fatto e in diritto del contribuente, non producono alcun freno all’azione di controllo dell’Amministrazione;
– va infatti evitato, come la stessa giurisprudenza citata in memoria ha premesso (Cass. 18218/2007) “che il principio dell’affidamento – la cui applicazione presuppone comunque una valutazione caso per caso delle condotte poste in essere dai soggetti del rapporto tributario nel quadro normativo di riferimento – possa servire a legittimare fenomeni elusivi volti ad ottenere risparmi di imposta nel contesto di una serie di atti di per sé consentiti dall’ordinamento a determinati fini ma essenzialmente rivolti ad effetti ulteriori e consequenziali che consentano di aggirare l’imposizione fiscale“. Inoltre, va rilevato come non esistesse all’epoca, del resto, una interpretazione ministeriale conforme nel senso inteso dalla società; e comunque la stessa, pur fosse stata anche esistente, contenuta in circolari o risoluzioni, non sarebbe stata comunque in grado di vincolare né i contribuenti né i giudici, né tanto meno ad assurgere a fonte di diritto;
– sul punto, questa Corte è ferma nel ritenere (Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 18618 del 11/07/2019) che le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato a un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, non è esonerato dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, essendo esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dall’art. 10, comma 2, della l. n. 212 del 2000;
– è stato precisato proprio a questo riguardo che «le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dall’art. 10, comma 2, della l. n. 212 del 2000» (Cass. n. 12635 del 19/05/2017; Cass. n. 10195 del 18/05/2016; Cass. n. 3757 del 09/03/2012; Cass. n. 2133 del 14/02/2002);
– tale principio trova origine nel fondamentale arresto delle Sezioni Unite, per il quale «la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall’amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell’affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio – coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto – di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella dottrina secondo la quale ammettere che l’amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorché prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sé e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all’amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d’altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall’art.23 Cost. Tutt’al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell’amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni e della richiesta degli interessi sulle somme dovute a titolo di imposta» (Cass. S.U. n. 23031 del 02/11/2007, in motivazione);
– è infatti da un lato vero che, giusta la valenza generale del principio del legittimo affidamento, è stato anche affermato che i casi di tutela espressamente enunciati dall’art. 10 comma 2, della L. n. 212 del 2000 (attinenti all’area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), vanno considerati quali situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, atteso che la regola è idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (Cass. n. 620 del 12/01/2018; Cass. n. 537 del 14/01/2015; Cass. n. 14000 del 22/09/2003; Cass. n. 17576 del 10/12/2002; si veda anche Cass. n. 8197 del 22/04/2015, che esprime analogo principio pur affrontando la questione unicamente dal punto di vista delle sanzioni); tuttavia, come chiarito da Cass. n. 25299 del 20/11/2013, dire che l’art. 10 della L. n. 212 del 2000 sia una norma aperta significa unicamente «che la induzione in errore incolpevole del contribuente può essere determinata anche da differenti circostanze di fatto ovvero anche da altre condotte, imputabili ad errore della Amministrazione finanziaria, dalla stessa norma non espressamente considerate». Si tratta, pertanto, di condotte diverse da quelle tipizzate, vale a dire le errate «indicazioni contenute in atti» dell’Amministrazione ovvero i «fatti (…) conseguenti a ritardi, omissioni od errori» della stessa (art. 10, comma 2, L. n. 212 del 2000) o ancora le «obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma impositiva» (art. 10, comma 3, L. n. 212 del 2000), in presenza delle quali la tutela del legittimo affidamento può venire ad incidere sulla stessa debenza del tributo (si tratta appunto della peculiare ipotesi esaminata da Cass. n. 17576 del 2002, già citata in precedenza);
– in ultimo, dall’esame della più recente giurisprudenza del Giudice dell’Unione, diversamente da quanto argomentato da parte ricorrente, non possono trarsi indicazioni interpretative difformi alla interpretazione qui preferita;
– proprio in materia di accisa, la CGUE si è ancora di recente espressa (CGUE, sent. 30 aprile 2020, causa C-184/19, Hecta Viticol SRL) confermando in effetti in primo luogo come i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento facciano parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea. A tale titolo, essi devono essere rispettati non solo dalle istituzioni dell’Unione, ma anche dagli Stati membri nell’esercizio dei poteri ad essi conferiti dalle direttive dell’Unione (sentenza del 9 giugno 2016, Wolfgang und Dr. Wilfried Rey Grundstiicksgemeinschaft, C-332/14, EU :C:2016:417, punto 49 e giurisprudenza ivi citata); secondariamente, il giudice Europeo ha qui ribadito come i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento richiedano, da un lato, che le norme giuridiche siano chiare e precise e, dall’altro, che la loro applicazione sia prevedibile per coloro che vi sono sottoposti (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2019, Càlin, C-676/17, EU:C:2019:700, punto 50 e giurisprudenza ivi citata). Sotto questo particolare profilo, in linea di principio, è ad esempio compatibile con il diritto dell’Unione una nuova norma giuridica che si applica a partire dall’entrata in vigore dell’atto recante la medesima, cosicché i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento non ostano, in linea di principio, alla possibilità per uno Stato membro di modificare una legge precedente con effetto immediato, senza prevedere un regime transitorio (sentenza del 9 giugno 2016, Wolfgang und Dr. Wilfried Rey GrundstOcksgemeinschaft, C-332/14, EU :C:2016:417, punto 56);
– e a ben vedere la fattispecie per cui è processo si pone a fianco di quella appena citata, in quanto – seguendo la ricostruzione operata dal contribuente – in concreto si denuncia come abbia avuto luogo un repentino mutamento di interpretazione da parte degli Uffici, che ben si può porre sullo stesso piano, quanto ad effetti, dell’adozione in modo altrettanto improvviso e imprevedibile di una nuova legge che sopprima un diritto di cui godevano fino a tale momento i soggetti passivi, senza lasciare a questi ultimi il tempo necessario per adattarsi, e ciò senza che lo scopo da conseguire lo imponga (sentenza del 9 giugno 2016, Wolfgang und Dr. Wilfried Rey Grundstiicksgemeinschaft, C-332/14, EU:C:2016:417, punto 58);
– la Corte ha qui ritenuto insussistente il contrasto con il diritto unionale, in quanto (punto n. 59) se da un lato, l’aumento dell’aliquota di accisa di cui trattasi non può essere considerato, nel caso di specie, come la soppressione di un diritto a beneficiare di un’aliquota pari a zero, dall’altro lato, (punto n. 60) non sembra che un siffatto aumento implichi di per sé che i soggetti passivi procedano ad adeguamenti economici significativi, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare. E certamente, riguardo al secondo punto, che assume rilevanza dirimente, non essendo ancora trascorso il termine di prescrizione ordinaria decennale (a partire dall’anno 2013), parte ricorrente è ancora in termini per operare la rivalsa del cui mancato esercizio si duole;
– non è quindi possibile dar luogo al chiesto rinvio pregiudiziale, per il quale si insta ex latere contribuentis, tenuto conto che la Corte di giustizia ha già ampiamente chiarito che, se è vero che il diritto ad avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento «si estende a ogni individuo in capo al quale un’autorità amministrativa abbia fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni precise che essa gli avrebbe fornito» (ex multis, CGUE 14 giugno 2017, in causa C-26/16, punto 76; CGUE 9 luglio 2015, in causa C-183/14, punto 44; CGUE 5 marzo 2015, in causa C-585/13, punto 95), tuttavia «il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell’amministrazione» (CGUE 11 aprile 2018, in causa C-532/16, punto 50; CGUE 6 febbraio 1986, in causa C-162/84, punto 6);
– rientra, pertanto, nella specifica competenza del giudice nazionale stabilire se, avuto conto della specificità del caso concreto, sussistano i presupposti per il riconoscimento della inapplicabilità del tributo ovvero, più semplicemente, delle sanzioni e degli interessi; e all’interno di questo perimetro, correttamente, si muove la giurisprudenza di Legittimità sopra richiamata alla quale il Collegio intende qui dare adesione, confermandola;
– quanto, poi, alla applicazione dell’art. 11 della l. n. 212 del 2000, deve osservarsi, in termini generali, che l’art. 10, comma 2, della L. n. 212 del 2000, nel tutelare l’affidamento del contribuente che si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria, «limita gli effetti di tale tutela alla sola esclusione delle sanzioni e degli interessi, senza incidere in alcun modo sull’obbligazione tributaria»; e ciò «diversamente dall’art. 11 della medesima legge, il quale, nel disciplinare il caso in cui il contribuente si sia adeguato ad un esplicito responso dell’Amministrazione finanziaria, motivatamente espresso in esito alla particolare procedura dell’interpello, prevede la nullità degli atti impositivi che siano in contrasto con l’esito dell’interpello» (Cass. n. 19479 del 10/09/2009);
– è infatti incontroverso, sotto questo profilo, che nel caso per cui è processo nessuno dei provvedimenti assunti dalla Amministrazione doganale, che hanno riconosciuto alla società contribuente la qualifica di soggetto esente da accisa, è stato reso all’esito di una regolare procedura di interpello per come disciplinata dall’art. 11 della L. n. 212 del 2000;
– il quinto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 52 c. 3 d. Lgs. n. 504 del 1995 (c.d TUA) in relazione all’art. 2 c. 2 d. Lgs. n-. 79 del 1999, 2602 c.c. e dell’art. 113 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere il secondo giudice erroneamente riconosciuto inapplicabile alla fattispecie in esame l’esenzione di cui all’ art. 52 TUA ridetto;
– anche questo motivo è infondato;
– questa Corte ancora di recente ha statuito (confermando quanto già ritenuto con precedente pronuncia, vale a dire Cass. 8293/2014) che (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12444 del 10/05/2019) in tema di addizionale all’imposta sul consumo di energia elettrica, l’art. 6 del d.L. n. 511 del 1998, conv. con modif. in l. n. 20 del 1989 (nel testo vigente “ratione temporis”), prevede l’esenzione dalle addizionali locali soltanto in relazione all’energia elettrica autoprodotta ed impiegata per uso proprio, statuendo espressamente che essa si applica nel caso di esercizio delle attività di produzione, trasporto e distribuzione di energia elettrica, e non può, pertanto, intendersi riferita anche all’energia proveniente da un consorzio autoproduttore ed utilizzata da imprese aderenti al consorzio, in quanto persone giuridiche diverse dal produttore;
– l’affermazione sopra esposta, resa con riguardo alle addizionali locali, è coerente con quanto statuito dalla CTR, secondo la quale, in massima sintesi, anche per le accise (tributo principale rispetto alle quali le addizionali risultano tributo accessorio) vige il medesimo principio;
– risulta poi priva di rilevanza la disposizione di cui al d. Lgs. n. 79 del 1999, trattandosi di previsione avente oggetto e finalità del tutto diverse da quelle tributarie;
– complessivamente, il ricorso va quindi rigettato;
– stante la recente soluzione della questione posta, le spese di tutti i gradi di giudizio sono compensate tra le parti;
– sussistono i requisiti per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato;
P.Q.M.
rigetta il ricorso; compensa le spese di tutti i gradi di giudizio. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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