Corte di Cassazione ordinanza n. 17946 depositata il 1° giugno 2022
istanza di accertamento con adesione – mancata comparizione del contribuente – non interrompe la sospensione del termine di 90 giorni per l’impugnazione dell’avviso di accertamento – legittimo nell’accertamento induttivo puro, la presunzione semplice data dallo studio di settore – sanzioni per le violazioni di disposizioni tributarie, la prova dell’assenza di colpa grava
RILEVATO CHE
E. Srl impugna per cassazione, con sette motivi, la sentenza della CTR in epigrafe che, confermando la decisione della CTP di Torino, aveva rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento per Iva, Ires e Irap, con cui l’Agenzia delle entrate, a seguito della omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2004, aveva rideterminato il reddito d’impresa.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale con un motivo.
CONSIDERATO CHE
1. Preliminarmente va esaminato il ricorso incidentale, con cui si denuncia la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 6 d.lgs. n. 218 del 1997, 21, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 e 10 l. n. 212 del 2000 per non aver ritenuto la CTR tardivo l’originario ricorso della contribuente, avendo questi presentato istanza di accertamento con adesione con finalità meramente dilatorie, senza rispondere alla convocazione di avvio del contraddittorio, né chiedere un differimento, sicché non poteva fruire del prolungamento dei termini ivi previsto.
1.1 Il motivo è infondato.
Costituisce principio consolidato di questa Corte, cui il collegio non vede ragioni per discostarsi, quello secondo cui «in caso di presentazione dell’istanza di accertamento con adesione ex art. 6 del d.lgs. n. 218 del 1997, la mancata comparizione del contribuente alla data fissata per la definizione, in via amministrativa, della lite, sia essa giustificata o meno, non interrompe la sospensione del termine di 90 giorni per l’impugnazione dell’avviso di accertamento, in quanto detto comportamento non è equiparabile alla formale rinuncia all’istanza né è idoneo a farne venir meno “ab origine” gli effetti» (Cass. n. 27274 del 24/10/2019).
2. Passando al ricorso principale, il primo motivo denuncia:
- ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, 19 e 53 d.lgs. n. 300 del 1999, 2697 c.c.;
- ai sensi dell’art. 360 5 c.p.c. omesso esame di fatto decisivo;
- ai sensi dell’art. 360 4 c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia,
tutti con riguardo alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte di soggetto privo di qualifica dirigenziale.
2.1 Il secondo motivo denuncia:
- ai sensi dell’art. 360 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 24 l. n. 4 del 1929, 5 bis, commi 1 e 3, d.lgs. n. 218 del 1997, 36, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992;
- ai sensi dell’art. 360 5 c.p.c. omesso esame di fatto decisivo;
- ai sensi dell’art. 360 4 c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia,
tutti in relazione alla omessa redazione del processo verbale in esito al contraddittorio e alla violazione del termine dilatorio di giorni 60 dalla chiusura della verifica per la mancata verifica del verbale non redatto.
2.2 Il terzo motivo denuncia:
- ai sensi dell’art. 360 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 83, comma 2, e 85 tuir, 36, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992;
- ai sensi dell’art. 360 5 c.p.c. omesso esame di fatto decisivo;
- ai sensi dell’art. 360 4 c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia,
per aver la CTR omesso di statuire sulle doglianze della contribuente per aver l’Agenzia, con la costituzione in giudizio, integrato la motivazione dell’avviso.
2.3 Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 24 l. n. 88 del 2009, 39, secondo comma, lett. d), terzo periodo, d.P.R. n. 600 del 1973, 54, terzo comma, secondo periodo, e 57, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, 53 tuir, per aver la CTR ritenuto legittima e provata la pretesa che si fondava sui valori OMI, non più Rileva la mancanza di elementi presuntivi gravi precisi e concordanti e richiama la disciplina degli studi di settore, sicché nell’avviso avrebbero dovuto essere provate le “gravi incongruenze” ivi previste.
2.4 Il quinto motivo denuncia:
- ai sensi dell’art. 360 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 9, comma 3, tuir, 14 d.P.R. n. 633 del 1972, 35, comma 23 bis, d.l. n. 223 del 2006, 2697 c.c., 53 tuir, 36, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992;
- ai sensi dell’art. 360 5 c.p.c. omesso esame di fatto decisivo;
- ai sensi dell’art. 360 4 c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia,
per aver la CTR ritenuto fondata la pretesa fiscale in applicazione del valore normale del bene immobiliare oggetto della vendita, inferiore al valore del mutuo, che non poteva costituire elemento presuntivo.
2.5 il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 2, 5, comma 1, primo periodo e 6, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997 per aver la CTR ritenuto legittime le sanzioni irrogate per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi nonostante che il fatto fosse imputabile al consulente fiscale, contro il quale la contribuente aveva proposto querela.
2.6 Il settimo motivo denuncia:
- ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e ss c.c., 39, primo comma lett. d), secondo periodo, d.P.R. n. 600 del 1973, 36, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992;
- ai sensi dell’art. 360 5 c.p.c. omesso esame di fatto decisivo;
- ai sensi dell’art. 360 4 c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia,
per aver la CTR, nell’affermare che l’accertamento era stato operato ai sensi dell’art. 39, secondo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, non considerato che la pretesa si fondava su presunzioni che tali non erano, non potendo l’ufficio basarsi sulle discrepanze rispetto agli studi di settore non accompagnati da gravi incongruenze.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 In via generale occorre premettere che tutte le doglianze con cui viene dedotto, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatto decisivo sono inammissibili, ostandovi l’art. 348 ter p.c. attesa, da un lato, l’introduzione del giudizio d’appello successivamente all’11 settembre 2012 (e precisamente il 5 febbraio 2013) e, dall’altro, la conferma della decisione di primo grado da parte della CTR in base alle medesime ragioni, espressamente confermate e richiamate.
4. Passando all’esame dei singoli motivi per le altre doglianze, il primo motivo è infondato posto che, come accertato dalla CTR, l’avviso di accertamento è stato sottoscritto dal Capo Team dell’Ufficio (ossia dalla persona preposta al reparto competente, da cui la delega per lo svolgimento delle relative attività), sicché l’atto risulta legittimamente sottoscritto, su delega di firma ex art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, da soggetto appartenente alla carriera direttiva.
Neppure sussiste, pertanto, la denunciata omessa pronuncia.
5. Il secondo motivo è infondato.
5.1 È dirimente che nella vicenda in esame l’Amministrazione finanziaria non ha compiuto una “verifica fiscale” presso l’impresa, né ha effettuato alcun “accesso mirato” volto, in ipotesi, ad acquisire eventuale documentazione.
L’avviso – come accertato dalla CTR e pacificamente riconosciuto nello stesso ricorso – trae origine da una richiesta di informazioni attivata a seguito di invio di questionario, sicché la ripresa era riconducibile ad una ipotesi di accertamento cd. “a tavolino”, rispetto al quale è legittimo, anche ai fini del contraddittorio (in ispecie per le imposte dirette), che il primo atto portato alla conoscenza del contribuente sia lo stesso avviso (v. Sez. U n. 24823 del 09/12/2015). Già da tale fatto, dunque, deriva l’insussistenza di un obbligo generalizzato di redazione del processo verbale di constatazione, conclusione che questa Corte, del resto, ha ripetutamente ribadito, sottolineando che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione (Cass. n. 16546 del 27/04/2018; v. anche per una vicenda particolare Cass. n. 12094 del 08/05/2019).
Né ha rilievo, in senso contrario, il richiamo all’art. 24 l. n. 4 del 1929, che, secondo quanto dedotto in ricorso, imporrebbe sempre l’adozione di un processo verbale con il quale siano contestate le violazioni finanziarie.
Si è infatti pure precisato che «in tema di violazione di norme finanziarie (nella specie, in materia di IVA), il processo verbale di constatazione, redatto dagli organi accertatori in occasione di verifiche presso il contribuente e previsto dall’art. 24 della l. n.4 del 1929, non deve necessariamente contenere le contestazioni, potendo avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi di fatti o di dichiarazioni, che, per la libera valutazione dell’amministrazione finanziaria prima e dell’autorità giudiziaria poi, possono comunque dare luogo alla emissione di avvisi di accertamento» (Cass. n. 27711 del 11/12/2013; Cass. n. 31120 del 29/12/2017), da cui la conclusione che la redazione di un processo verbale di constatazione non è necessaria per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento perché è in esso che si esterna ciò che si è constatato.
5.2 Va poi escluso che la CTR abbia omesso di pronunciare poiché ha espressamente preso in esame la censura, statuendo in conformità ai principi sopra enunciati.
6. Il terzo motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
6.1 Non sussiste, in primo luogo, la dedotta omessa pronuncia avendo la CTR espressamente evidenziato che già nell’avviso era stato indicato che i costi «non riguardavano la sola gestione dell’immobile ma anche altri oneri a base (vedi pagine 3-6 del provvedimento) dell’accertamento qui contestato», in tal modo chiarendo che nessuna integrazione della motivazione dell’avviso era stata operata con la costituzione in giudizio.
6.2 La doglianza, con riguardo alla dedotta violazione di legge, è poi inammissibile per difetto di autosufficienza non avendo la ricorrente riprodotto l’avviso dal quale risulterebbe l’asserita diversità dei fatti posti a fondamento della ripresa.
7. Il quarto motivo è inammissibile, posto che il motivo non si confronta con la statuizione del giudice d’appello che ha ritenuto la ripresa fondata su una pluralità di elementi e non sugli scostamenti rispetto ai valori OMI, i quali non hanno fondato la ripresa ma sono stati solamente oggetto di apprezzamento in uno con gli altri elementi (in ispecie, la divergenza tra quanto dichiarato e mutuo stipulato; antieconomicità della gestione operante in perdita da numerosi anni; …), conformemente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. ex multis Cass. n. 24550 del 04/11/2020).
7.1 Neppure va trascurato, del resto, che l’accertamento era di tipo induttivo ex 39, secondo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 attesa la mancata presentazione della dichiarazione reddituale, sicché l’Ufficio, legittimamente, poteva fondare la ricostruzione del reddito con ricorso alle cd. presunzioni supersemplici o, comunque, anche in base ad una sola, ancorché ulteriore al solo scostamento OMI.
7.2 Quanto alle contestazioni sull’impiego degli studi di settore, occorre nuovamente ribadire che l’accertamento è stato induttivo.
In tale ambito, dunque, rilevano elementi presuntivi anche privi dei requisiti di gravità e precisione, tra cui rientrano, indubitabilmente, anche le risultanze dello studio di settore pertinente ed applicabile alla luce degli elementi dell’attività rilevati, senza che assuma rilievo la procedura stabilità per l’accertamento sugli studi di settore.
Ne deriva che, legittimamente, l’Ufficio ha impiegato – all’interno del procedimento induttivo cd. puro – gli elementi derivanti dallo studio di settore, senza effettuare, in tal modo, alcuna commistione tra le diverse modalità procedurali e senza necessità, come invocato dalla contribuente, che ricorra il requisito delle “gravi incongruenze”.
E, del resto, già le stesse Sezioni Unite, con la sentenza n. 26635 del 18/12/2009, hanno precisato che l’accertamento mediante l’applicazione degli studi di settore costituisce, di per sé, un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza sorge a seguito del contraddittorio con il contribuente, sì da legittimare l’accertamento (analitico) su studi di settore.
Ove, peraltro, sussistano i presupposti per un accertamento induttivo puro, la presunzione semplice data dallo studio di settore (fuori dall’ambito procedimentale suo proprio) assume rilievo positivo quale presunzione semplice, ascrivibile – e correlativamente utilizzabile – tra le presunzioni supersemplici.
8. Il quinto motivo, con cui contesta il riferimento al valore del mutuo quale elemento presuntivo posto a fondamento della ripresa, è parimenti inammissibile alla luce di quanto sopra evidenziato al punto 7.1. tenuto conto della natura induttiva dell’accertamento, integrando la doglianza, in realtà, una contestazione sulla valutazione degli elementi di prova operata dal giudice di merito, non consentita in sede di legittimità.
Neppure sussiste, in evidenza, l’omessa pronuncia avendo la CTR esplicitamente apprezzato che «l’Ufficio, unitamente agli altri elementi di valutazione, ha tenuto conto della differenza tra quanto dichiarato nella compravendita (€ 77.000,00) e quanto stipulato col mutuo relativo all’immobile (€ 85.000,00) … pertanto di dati oggettivamente sostenibili nell’ambito delle presunzioni sopra richiamate».
Per completezza, infine, va rilevato che l’argomentazione per cui il maggior valore del mutuo poteva trovare spiegazione in altri costi (es. lavori di ristrutturazione, …), oltre che del tutto generica e ipotetica, è rimasta priva di ogni positivo riscontro (v. CTR, pag. 8: «a fronte degli elementi a base dell’accertamento dell’Ufficio, la contribuente può opporre solo dati simili, fatto questo non avvenuto nemmeno in questo caso»).
9. Il sesto motivo – esclusa l’inammissibilità per novità attesa la compiuta disamina da parte della CTP e della CTR della questione – è infondato.
9.1 La CTR ha, sul punto, rilevato che «la denuncia querela contro la presunta responsabile del fatto non è sufficiente a coprire la responsabilità della contribuente che non ha svolto un minimo di attività di controllo sulle decisioni assunte in sua rappresentanza».
9.2 Questa Corte ha ripetutamente ribadito che in tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997 la prova dell’assenza assoluta di colpa, con conseguente esclusione della rilevabilità d’ufficio, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza (v. Cass. n. 12901 del 15/05/2019).
Non è dunque sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato ma è richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente.
Tuttavia, è sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, presunta fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass. n. 2139 del 30/01/2020).
9.3 Nella specie, come è pacifico in giudizio ed accertato dalla CTR, viene in rilievo l’omessa presentazione delle dichiarazioni da parte del consulente incaricato.
Si tratta di evenienza ben diversa da quella in cui il consulente trae in inganno il contribuente, consegnando, ad esempio, documentazione, che sia poi risultata ideologicamente o materialmente falsa e dalla quale si evinca, contro verità, la redazione della dichiarazione e il connesso versamento dei tributi.
Orbene, questa Corte ha precisato che il contribuente non assolve agli obblighi tributari con il mero affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere la dichiarazione alla competente Agenzia delle Entrate, essendo tenuto a vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto, sicché la sua responsabilità è esclusa solo in caso di comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento (Cass. n. 11832 del 09/06/2016; v. da ultimo Cass. n. 19422 del 20/07/2018, che, con riguardo a vicenda omogenea a quella in giudizio, ha precisato che «in tema di sanzioni per le violazioni di disposizioni tributarie, la prova dell’assenza di colpa grava, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, sul contribuente, il quale, dunque, risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica ove non dimostri di aver vigilato sullo stesso, nonché il comportamento fraudolento del medesimo professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento, mediante la falsificazione di modelli F24 ovvero di altre modalità di difficile riconoscibilità da parte del mandante. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che il contribuente non avesse assolto a tale onere probatorio, essendosi limitato a presentare una denuncia nei confronti del commercialista, senza neppure allegare le modalità con le quali avrebbe celato il proprio comportamento fraudolento)»).
9.2 La pronuncia della CTR, dunque, è corretta in diritto.
10. Il settimo motivo ripropone le medesime censure già sollevate con il quarto e il quinto motivo, sicché la doglianza, esclusa l’omessa pronuncia da parte della CTR, è inammissibile per le ragioni già
11. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, attesa la reciproca soccombenza, vanno compensate nella misura del 50%, con condanna della contribuente al pagamento all’Agenzia delle entrate del restante 50% liquidato come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa le spese nella misura del 50% e condanna la contribuente al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida, in misura già ridotta al 50%, in complessive € 2.400,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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