Corte di Cassazione ordinanza n. 18008 depositata il 6 giugno 2022
effetto della pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma – Robin Tax
Rilevato che:
La P.T. Oil – poi denominata P.B. – ha chiesto il 29/12/2009 all’Ufficio di Genova 1 dell’Agenzia delle entrate il rimborso dell’addizionale IRES prevista dell’art. 81, comma 16, del d.l. 25 giugno n. 112, conv. in I. 6 agosto n. 133 (cd. Robin Tax), versata per gli anni 2008 – 2009 in misura di € 18.760,00.
Sosteneva l’illegittimità costituzionale del tributo e, comunque, la carenza del presupposto, non potendo la società, quale mero intermediario tra grossisti e armatori, essere annoverata tra quelle dedite alla “commercializzazione di benzine, petroli, gasoli, per usi vari, oli lubrificanti o residuati, gas di petrolio liquefatto e gasi naturale”, contemplate dall’art. 81, comma 16, del d.l. 25 giugno 2008 n. 112. L’Ufficio ha respinto l’istanza di rimborso con provvedimento in data 03/03/2010, nel quale ha sottolineato che la società è risultata iscritta all’anagrafe tributaria con il codice ATECOFIN 467100, corrispondente al commercio all’ingrosso di prodotto petroliferi e lubrificanti per autotrazione.
La società ha impugnato il diniego con ricorso alla Commissione 1Ù”ibutaria provinciale di Genova in data 09/04/2010, insistendo nelle proprie tesi.
La Commissione tributaria provinciale, con sentenza n. 195/14/12, ha respinto il ricorso motivando che l’attività svolta dalla contribuente rientra fra quelle previste nella legge istitutiva dell’addizionale in quanto la stessa contempla, genericamente, tutte le attività di produzione e commercializzazione dei prodotti petroliferi.
La società ha appellato la sentenza con atto del 30/10/2012 e l’Ufficio si è costituito.
La Commissione tributaria regionale della Liguria, con sentenza n. 441/2016, depositata in data 14 marzo 2016, ha accolto l’appello ordinando il rimborso, ritenendo operanti gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale dell’ll febbraio 20151 n. 10, pubblicata il medesimo giorno sulla Gazzetta Ufficiale, dichiarativa della illegittimità della cd. Robin Tax, a far data dal 12 febbraio 2015, in quanto, al momento della sentenza della Corte Costituzionale, il contenzioso era già in essere.
Avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione tributaria regionale, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a un solo motivo, chiedendone l’annullamento.
La causa è stata discussa nella camera di consiglio del 20 aprile 2022, per quale non sono state presentate memorie.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 136 primo comma, 81, 11, 117 primo comma della Costituzione; 81 comma 16 del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133 come modificato dalla sentenza 11 febbraio 2010 n. 10 della Corte Costituzionale, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.”, l’Agenzia delle Entrate lamenta che la sentenza impugnata sia viziata da errar in udicando perché’ la Commissione tributaria regionale ha ritenuto accolta l’istanza di rimborso in quanto, al momento in cui è sopravvenuta la sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 81, comma 6, del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 istitutivo dell’addizionale IRES di cui veniva chiesto rimborso, il contenzioso era già in essere. Al contrario, ha sostenuto l’Ufficio, ai sensi dell’art. 136 della Costituzione, la sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale ha effetto dal giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, sicché, nel caso di specie, dal 12 febbraio 2015.
Il motivo è fondato.
La norma in esame ossia l’art. 81,commi 16, 17 e 18 del d.l. 25 giugno 20081n.112 prevedeva, per determinate categorie di contribuenti che operano nel settore petrolifero ed energetico, l’applicazione di un’addizionale all’imposta sul reddito delle società, con un’aliquota del 5,5%, elevata dapprima al 6,5% e successivamente aumentata – per i tre periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2010 – di 4 punti percentuali. L’addizionale era finalizzata a colpire il conseguimento di “sovra-profitti” da parte delle aziende energetiche e petrolifere, determinati dalla crescita speculativa delle quotazioni delle materie prime, con lo scopo di perseguire finalità solidaristiche. Trovava applicazione qualora, nel periodo d’imposta precedente, l’impresa avesse realizzato un volume di ricavi superiore a 3.000.000,00 di euro e un reddito imponibile superiore a 300.000,00 euro.
Con sentenza dell’ 11 febbraio 2015, n. 10 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della I. 6 agosto 2008, n. 133.
Secondo la Corte Costituzionale l’addizionale in esame costituisce una vera e propria maggiorazione dell’aliquota Ires e presenta diversi elementi distorsivi tra i quali “l’assenza di una delimitazione dell’ambito di applicazione in prospettiva temporale” dell’addizionale, rendendola di fatto “strutturale”, l’inidoneità della manovra “a conseguire le finalità solidaristiche” in chiave redistributiva e l’assenza di meccanismi di controllo atti a garantire il divieto di traslazione degli oneri sui prezzi al consumo.
La Corte, peraltro, si è peritata di disciplinare l’efficacia nel tempo degli effetti della propria pronuncia, sostanzialmente abrogativa del tributo, con le argomentazioni che seguono.
“Nel pronunciare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate, questa Corte non può non tenere in debita considerazione l’impatto che una tale pronuncia determina su altri principi costituzionali, al fine di valutare l’eventuale necessità di una graduazione degli effetti temporali della propria decisione sui rapporti pendenti.
Questa Corte ha già chiarito (sentenze n. 49 del 1970, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966) che l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale è (e non può non essere) principio generale valevole nei giudizi davanti a questa Corte; esso, tuttavia, non è privo di limiti.
Anzitutto è pacifico che l’efficacia delle sentenze di accoglimento non retroagisce fino al punto di travolgere le «situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili» ovvero «rapporti esauriti». Diversamente ne risulterebbe compromessa la certezza dei rapporti giuridici (sentenze n. 49 del 1970, n. 26 del 1969, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966). Pertanto, il principio della retroattività «vale […] soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984, ripresa da ultimo dalla sentenza n. 1 del 2014).
In questi casi, l’individuazione in concreto del limite alla retroattività, dipendendo dalla specifica disciplina di settore – relativa, ad esempio, ai termini di decadenza, prescrizione o inoppugnabilità degli atti amministrativi – che precluda ogni ulteriore azione o rimedio giurisdizionale, rientra nell’ambito dell’ordinaria attività interpretativa di competenza del giudice comune (principio affermato, ex plurimis, sin dalle sentenze n. 58 del 1967 e n. 49 del 1970). Inoltre, come il limite dei «rapporti esauriti» ha origine nell’esigenza di tutelare il principio della certezza del diritto, così ulteriori limiti alla retroattività delle decisioni di illegittimità costituzionale possono derivare dalla necessità di salvaguardare principi o diritti di rango costituzionale che altrimenti risulterebbero irreparabilmente sacrificati. In questi casi, la loro individuazione è ascrivibile all’attività di bilanciamento tra valori di rango costituzionale ed è, quindi, la Corte costituzionale – e solo essa – ad avere la competenza in proposito. Una simile graduazione degli effetti temporali delle dichiarazioni di illegittimità costituzionale deve ritenersi coerente con i principi della Carta costituzionale…11 compito istituzionale affidato a questa Corte richiede che la Costituzione sia garantita come un tutto unitario, in modo da assicurare «una tutela sistemica e non frazionata» (sentenza n. 264 del 2012) di tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione. «Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette»….-Sono proprio le esigenze dettate dal ragionevole bilanciamento tra i diritti e i principi coinvolti a determinare la scelta della tecnica decisoria usata dalla Corte: così come la decisione di illegittimità costituzionale può essere circoscritta solo ad alcuni aspetti della disposizione sottoposta a giudizio – come avviene ad esempio nelle pronunce manipolative – similmente la modulazione dell’intervento della Corte può riguardare la dimensione temporale della normativa impugnata, limitando gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale sul piano del tempo….-Naturalmente, considerato il principio generale della retroattività risultante dagli artt. 136 Cost. e 30 della legge n. 87 del 1953, gli interventi di questa Corte che regolano gli effetti temporali della decisione devono essere vagliati alla luce del principio di stretta proporzionalità.
Essi debbono, pertanto, essere rigorosamente subordinati alla sussistenza di due chiari presupposti: l’impellente necessità di tutelare uno o più principi costituzionali i quali, altrimenti, risulterebbero irrimediabilmente compromessi da una decisione di mero accoglimento e la circostanza che la compressione degli effetti retroattivi sia limitata a quanto strettamente necessario per assicurare il contemperamento dei valori in gioco.
Ciò chiarito in ordine al potere della Corte di regolare gli effetti delle proprie decisioni e ai relativi limiti, deve osservarsi che, nella specie, l’applicazione retroattiva della presente declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe anzitutto una grave violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost.
Come questa Corte ha affermato già con la sentenza n. 260 del 1990, tale principio esige una gradualità nell’attuazione dei valori costituzionali che imponga rilevanti oneri a carico del bilancio statale. Ciò vale a fortiori dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), che ha riaffermato il necessario rispetto dei principi di equilibrio del bilancio e di sostenibilità del debito pubblico (sentenza n. 88 del 2014).
L’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari connesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, e successive modificazioni, determinerebbe, infatti, uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva, anche per non venire meno al rispetto dei parametri cui l’Italia si è obbligata in sede di Unione europea e internazionale (artt. 11e 117, primo comma, Cast.) e, in particolare, delle previsioni annuali e pluriennali indicate nelle leggi di stabilità in cui tale entrata è stata considerata a regime.
Pertanto, le conseguenze complessive della rimozione con effetto retroattivo della normativa impugnata finirebbero per richiedere, in un periodo di perdurante crisi economica e finanziaria che pesa sulle fasce più deboli, una irragionevole redistribuzione della ricchezza a vantaggio di quegli operatori economici che possono avere invece beneficiato di una congiuntura favorevole. Si determinerebbe così un irrimediabile pregiudizio delle esigenze di solidarietà sociale con grave violazione degli artt. 2 e 3 Cost.
Inoltre, l’indebito vantaggio che alcuni operatori economici del settore potrebbero conseguire – in ragione dell’applicazione retroattiva della decisione della Corte in una situazione caratterizzata dalla impossibilità di distinguere ed esonerare dalla restituzione coloro che hanno traslato gli oneri – determinerebbe una ulteriore irragionevole disparità di trattamento, questa volta tra i diversi soggetti che operano nell’ambito dello stesso settore petrolifero, con conseguente pregiudizio anche degli artt. 3 e 53 Cost.
La cessazione degli effetti delle norme dichiarate illegittime dal solo giorno della pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica risulta, quindi, costituzionalmente necessaria allo scopo di contemperare tutti i principi e i diritti in gioco, in modo da impedire «alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri […] garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali» (sentenza n. 264 del 2012)…- In conclusione, gli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui sopra devono, nella specie e per le ragioni di stretta necessità sopra esposte, decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.”
Pertanto, la Corte Costituzionale, con la sentenza in esame ha espressamente dichiarato l’incostituzionalità della cosiddetta Robin Tax solo pro futuro, ossia a partire dal giorno dopo la pubblicazione in gazzetta ufficiale della sentenza emessa dalla Consulta. La Corte si è avvalsa del potere di modulare gli effetti temporali della dichiarazione di incostituzionalità, stabilendo che essi decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale, anziché, come avviene di norma, ex tunc e la soluzione è stata motivata con l’esigenza di bilanciare il principio della retroattività con altri “principi o diritti di rango costituzionale che altrimenti risulterebbero irreparabilmente sacrificati” e, in particolare, con l’obbligo del pareggio di bilancio di cui all’articolo 81 della Costituzione. Quindi, l’addizionale d’imposta è divenuta illegittima, con conseguente diritto al rimborso, ma solo a partire dal 12 febbraio 2015 per cui non vi è motivo di chiedersi se la fattispecie tributaria, al momento della decisione, fosse ancora aperta o meno in quanto la disciplina declinata dalla Corte costituzionale ha provveduto direttamente a escludere da tale illegittimità il passato, ossia le addizionali già corrisposte
Infine, L’Agenzia delle entrate, con circolare del 28 aprile 2015 n. 18/E, ha chiarito gli effetti fiscali conseguenti alla dichiarazione di incostituzionalità testè esaminata sull’addizionale IRES per il settore energetico, stabilendo che, a decorrere dal 12 febbraio 2015, la norma dichiarata incostituzionale cessa di produrre effetti giuridici e che la declaratoria di incostituzionalità non può produrre effetti sulle obbligazioni tributarie riguardanti adempimenti relativi ai periodi d’imposta chiusi in data antecedente al 12 febbraio 2015; ha prescritto anche che i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare sono tenuti, per il periodo d’imposta 2014, al versamento del saldo entro la scadenza naturale della Robin Hood Tax, prevista in via ordinaria il 16 del mese di giugno 2015, compreso l’obbligo di versamento degli acconti dovuti nel corso dell’anno 2014.
Siffatta decisione è in linea con l’orientamento di questa sezione (Cass. Sez. 5 18/12/20181 n. 32716) che ha già ritenuto che l’addizionale di imposta in argomento è diventata sì illegittima ma l’averla pagata dà diritto a rimborso solo per il periodo successivo al 12 febbraio 2015 essendo l’illegittimità della legge dichiarata solo per quel periodo. Sicche, non rileva se la fattispecie tributaria, al momento della decisione della Corte Costituzionale, sia ancora “aperta” o meno, perché tale questione rileva nella ipotesi ordinaria, di efficacia retroattiva della decisione della Corte.
In presenza della clausola di limitazione temporale, con la quale la stessa Corte ha dichiarato la norma illegittima, ma escludendo da tale illegittimità il passato, nel caso di specie, essendo stata l’addizionale corrisposta quando era dovuta, perché una legge lo imponeva, il pagamento non può essere ripetuto, nonostante il contenzioso sia ancora pendente.
In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Liguria perché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame sulla sussistenza dei presupposti del diritto al rimborso dell’addizionale IRES versata per gli anni 2008- 2009 con riferimento alla questione dedotta in lite e cioè la sussistenza del presupposto di legge per l’applicazione del tributo alla società asseritasi mero intermediario tra grossisti e armatori e, quindi, non annoverabile tra quelle dedite alla “commercializzazione di benzine, petroli, gasoli, per usi vari, oli lubrificanti o residuati, gas di petrolio liquefatto e gasi naturale”, contemplate dall’ art. 81, comma 16, del d.l. 25 giugno 2008 n. 112.
Al giudice del rinvio è demandato anche di provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Liguria perché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché alla determinazione delle spese del giudizio di legittimità.