Corte di Cassazione ordinanza n. 18082 depositata il 6 giugno 2022
principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato – principio del libero convincimento – sanzioni possono essere irrogate nei soli confronti dell’ente
RILEVATO CHE
1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso in cassazione avverso la sentenza della CTR della Lombardia n. 1740/14 del 03/04/2014 che, confermando la sentenza di prime cure, aveva respinto l’appello erariale sul rilievo che, in base che al disposto l’articolo 7 della legge 24 novembre 2003, n. 326, le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società sono esclusivamente a carico della persona giuridica e non sono applicabili agli amministratori o ai rappresentanti; nel caso di specie, i giudici di appello hanno ritenuto che le sanzioni andassero applicate alla società e, invece, non andassero applicate «[…]tantomeno al sig. Invernizzi che amministratore e/o rappresentante non era e neanche amministratore di fatto».
2. La controversia trae origine dall’impugnazione di M.I., in qualità di amministratore di fatto della società Eurocantieri s.r.l., avverso l’atto di irrogazione di sanzioni n. T9DCO0700301/2010, anno 2004, per omessa conservazione delle scritture contabili. Sin dal primo grado, il contribuente ha eccepito, richiamando l’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, la propria carenza di legittimazione passiva tributaria sanzionatoria e la conseguente nullità degli atti impositivi anche perché emessi nei confronti di società che aveva cessato la propria attività in data 9/03/2005 e che, quindi, prima di tale data, avrebbe dovuto essere soggetto d’imposta.
3. L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza di cui in epigrafe con tre mezzi.
4. M.I. ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denuncia la «violazione o falsa applicazione degli 112 c.p.c., 54 e 56 d.lgs. 31.12.1992 n. 546, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.», imputando alla CTR di essere incorsa in vizio di ultrapetizione là dove ha accertato che non vi erano evidenze di fatto idonee ad attribuire all’Invernizzi la qualità di amministratore di fatto anziché limitarsi ad interpretare la limitazione di responsabilità prevista dall’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, conv. in l. n. 326 del 2003; rileva, altresì, che lo stesso M.I. non aveva proposto appello incidentale sul capo della sentenza di primo grado riguardante la qualifica di amministratore di fatto.
1.1 Col secondo motivo, l’Agenzia delle entrate denuncia la «violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.», là dove la CTR non ha tenuto conto che i fatti dedotti dall’Ufficio da cui desumere la qualità di amministratore di fatto dell’Invernizzi non erano stati da questi contestati, né in primo grado né in appello. La ricorrente, riporta in ricorso (v. pag. 14 e ss.) le contestazioni fatte nei gradi di merito sulla qualità di amministratore di fatto dell’Invernizzi.
1.2 Col terzo motivo, l’Amministrazione erariale denuncia l’«omesso esame di punti di fatto decisivi, in relazione all’art.360, comma 1, n. 5 c.p.c.», imputando alla CTR di non aver esaminato le circostanze dedotte dall’Ufficio dalle quali emergeva che M.I. era il beneficiario diretto delle violazioni fiscali commesse, per il suo tramite, dalla società.
1.3 Col quarto, la ricorrente si duole della «violazione o falsa applicazione dell’art. 7, commi 1 e 3, l. 30.9.2003 n. 269, conv. in l. 24.11.2003 n. 326, dell’art. 2, c. 2, 5 c.2, 11 c. 1, d.lgs. 18.12.1997 n. 472, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», per aver la CTR interpretato erroneamente la limitazione di responsabilità prevista dall’art. 7 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in l. 24 novembre 2003, n. 326, senza tener conto che le disposizioni di cui al d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, non abrogate, sono applicabili in quanto compatibili con la nuova normativa, sicché avrebbe dovuto considerare il titolo autonomo della responsabilità dell’amministratore come previsto dal comma 1 dell’art 11 del d.lgs. n. 472 del 1997.
2.2. Il ricorso deve essere accolto per quanto appresso esposto.
2.1 La CTR ha rigettato l’appello dell’Ufficio sull’assunto che la società Eurocantieri s.r.l. fosse l’unico soggetto cui potevano essere irrogate le sanzioni non potendo, invece, essere applicate all’Invernizzi nella sua “presunta” qualità di amministratore di fatto («[…] l’eventuale sanzione andava irrogata alla società indirizzando ad essa l’avviso di cui trattasi e non ad una persona fisica presunta amministratore di fatto soprattutto se si considera, come emerge in atti, che l’Agenzia ben poteva conoscere l’indirizzo della sede della società, pur essendosi la stessa trasferita all’estero e, in questo senso chiamarla per gli eventuali debiti contratti», v. ultima pagina della sentenza).
2.2 Va esclusa la configurabilità del vizio di ultrapetizione formulato, ex 112 cod. proc. civ., col primo mezzo, posto che, per costante orientamento di questa Corte, il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti, sicché non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione (anche se non espressamente formulata), tutte le volte che questa debba ritenersi in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (cfr. Cass., Sez. 6 – 5, 03/07/2019, n. 17897; conf. Cass., 13/11/2018, 29200; Cass., Sez. 6-3, 11/06/2021, n. 16608), e che, nel caso in esame, l’accertamento della qualità di amministratore di fatto, concluso negativamente dai giudici di appello, fosse in rapporto di necessaria connessione con l’impugnazione dell’atto irrogativo di sanzioni da cui origina la controversia, non è dubitabile.
2.3 L’inammissibilità del secondo mezzo si trae alla stregua del pacifico indirizzo di questa Corte secondo cui: «Il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice di merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., bensì un errore di fatto che va censurato nei limiti consentiti dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.» (cfr., Cass., 12/10/2021, n. 27847; id., Cass., 17/11/2021 n. 34786).
3. La sentenza impugnata merita cassazione per le doglianze esposte col terzo motivo di ricorso, ovvero per aver omesso di esaminare fatti decisivi e controversi per il giudizio riguardanti la qualità di amministratore di fatto dell’Invernizzi ovvero la sua qualità di beneficiario delle violazioni contestate dal Fisco. Ed invero, la CTR ha escluso tale qualità, ritenendola soltanto “presunta”, omettendo di considerare i fatti, decisivi e controversi, allegati dall’appellante Amministrazione per provare che l’Invernizzi fosse l’effettivo beneficiario delle violazioni fiscali commesse, per il suo tramite, dalla società (v. le contestazioni dell’Agenzia delle entrate contenute nell’atto di appello, come trascritto alle pagine 14, 15 e 16 del ricorso erariale). Tale omesso esame ha comportato una statuizione limitata all’enunciazione di un giudizio (finale) circa la responsabilità della società ai sensi del disposto dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, conv. con modificazioni dalla l. n. 326 del 2003, senza la verifica dei fatti – sul beneficiario effettivo delle violazioni fiscali – che avrebbero potuto determinare tale giudizio.
3.1 Ed invero, secondo l’interpretazione che questa Corte ha dato al regime normativo di cui all’art. 7 del l. n. 269 del 2003 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003 – che regola l’applicabilità delle sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica stabilendo che tali sanzioni sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui all’art. 9 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l’applicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 472 del 1997 ma solo in quanto compatibili (Cass., sez. 5, 25/10/2017, n. 25284; id., Cass, sez. 5, 01/04/2022, n. 10651) – deve considerarsi che tale regime incontra un limite nella artificiosa costituzione ai fini illeciti della società di capitali potendo allora le sanzioni amministrative tributarie essere irrogate «nei confronti della persona fisica che ha beneficiato materialmente delle violazioni contestate. In tal caso, la persona fisica che ha agito per conto della società è, al contempo, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica. Non opera pertanto, in tale caso, l’art. 7 del d.l. n. 269/2003, secondo cui nel caso di rapporti fiscali facenti capo a persone giuridiche le sanzioni possono essere irrogate nei soli confronti dell’ente, in quanto detta norma intende regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima» (così, in motivazione, Cass. 8/3/2017, n. 5924 che richiama Cass. 28/8/2013, n. 19716; principio ripreso da Cass., Sez. 5, 01/04/2022, n. 10651; id. Cass., sez. 5, 28332 del 2018).
3.2 Calando tali principi nella fattispecie in esame è evidente l’ulteriore errore commesso dai giudici di appello (quarto motivo) di escludere, ai sensi dell’art. 7 del l. n. 269 del 2003, l’irrogazione delle sanzioni amministrative tributarie nei confronti della persona fisica senza accertare chi, tra società e amministratore di fatto, fosse il beneficiario delle violazioni contestate, alterità che, invece, rappresenta il presupposto indispensabile per l’applicabilità dell’art. 7 del d.l. cit.
3.3 Ed invero, va qui ribadito il principio di diritto secondo cui l’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (in base al quale, nel caso di rapporti fiscali facenti capo a persone giuridiche, le sanzioni possono essere irrogate nei soli confronti dell’ente) incontra il limite dell’artificiosa costituzione ai fini illeciti della società di capitali, potendo, solo in tal caso (fictio societaria) le sanzioni amministrative tributarie essere irrogate nei confronti della persona fisica, in quanto detta norma intende regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato o in fatto, compia violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima. In caso di artificiosa ricostruzione ai fini illeciti della società, la persona fisica che ha agito per conto della società è, al contempo, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una finzione creata nell’esclusivo interesse della persona fisica.
4. In conclusione, il ricorso va accolto nei limiti di cui alla motivazione che precede, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, affinché proceda ad un nuovo esame della controversia e provveda anche in ordine alle spese di lite.
P.Q.M.
accoglie il ricorso per quanto in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.
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