Corte di Cassazione ordinanza n. 18092 depositata il 6 giugno 2022
decadenza da un termine processuale – dies a quo di decorrenza del termine di impugnazione
RILEVATO CHE
1. I.M. propone ricorso in cassazione avverso la sentenza della CTR della Lombardia n. 2046/14 del 16/04/2014 che ha dichiarato inammissibile l’appello del contribuente per tardività. I giudici di appello, hanno rigettato l’eccezione dell’appellante, riguardante la mancata comunicazione del dispositivo della sentenza impugnata (CTP di Milano n. 203/41/11) con conseguente tempestività dell’appello in quanto esperito entro il termine lungo dall’effettiva conoscenza della sentenza impugnata, sull’assorbente considerazione che «[…] per quanto l’articolo 37 d.l.vo 546/92 prevede effettivamente che il dispositivo della sentenza sia comunicato a cura della segreteria entro 10 giorni dal deposito, è di tutta evidenza come l’eventuale mancanza di tale adempimento non possa condizionare il decorso del termine per l’impugnazione termine che, in ossequio a quanto disposto dal citato articolo 337 c.p.c., deve invero farsi decorrere (in caso di mancata notifica della sentenza) dalla data di deposito del provvedimento».
2. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
3. I.M. ha presentato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Col primo motivo di ricorso si denuncia la «violazione e/o falsa applicazione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art 111 Cost. e all’art.6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, degli artt. 153, comma 2, e 327, comma 1, c.p.c., nonché dell’art. 37 del d.lgs. n. 546/92 per avere i giudici del gravame nella sentenza de qua dichiarato inammissibile l’appello del signor Invernizzi siccome tardivo pur sussistendo i presupposti per la rimessione in termini in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
1.2 Col secondo motivo si denuncia la «violazione o falsa applicazione dell’art. 327, comma 1, c.p.c. per aver, i giudici del gravame, ritenuto, ai fini della rimessione in termini, l’appello comunque tardivo perché considerato proposto dopo la scadenza del termine ordinario d’impugnazione incorrendo, così, in un grave vizio dell’attività giudiziaria, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4 p.c.».
1.3 Con il terzo, il ricorrente ripropone allo scrutinio di questa Corte i motivi di appello, così formulando la censura avverso la sentenza della CTR qui impugnata: «3. Riproposizione dei motivi di appello. 1 Sulla illegittimità dell’atto impositivo per difetto carenza di motivazione in ordine alla mancata notifica dello stesso a E., effettiva destinataria delle pretese impositive sanzionatorie; nonché in relazione all’idoneità degli elementi addotti dall’ufficio di Milano 6 per l’imputazione in capo al signore Invernizzi della qualifica di amministratore di fatto (cifre pagg. 11 a 19 dell’appello); 3.2 L’illegittimità dell’atto impositivo per violazione dell’articolo 7 del d.l. n. 269 e il 2003 attesa alla carenza di legittimazione passiva al signor Invernizzi anche sotto il profilo sanzionatorio».
2. I primi due motivi, che si esaminano congiuntamente per connessione di censure, vanno disattesi dovendosi dare ulteriore continuità ai principi espressi da questa Corte in materia.
2.1 Ed infatti, è principio assolutamente pacifico che nell’ambito del processo tributario, la nullità che deriva dall’omessa o irregolare comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, può essere fatta valere solo impugnando tempestivamente la sentenza conclusiva del giudizio, ovvero proponendo l’impugnazione tardiva nei limiti e alle condizioni di cui all’articolo 327 cod. proc. civ.
2.2 Il chiaro tenore di tale norma sul dies a quo di decorrenza del termine annuale di impugnazione «non consente un’interpretazione diversa da quella che è stata data da questa Suprema Corte, anche con pronunce a Sezioni Unite, essendosi costantemente affermato e ribadito che il termine in questione decorre dalla pubblicazione della sentenza, e quindi dal suo deposito in cancelleria, e non già dalla comunicazione che di tale deposito dà il cancelliere alle parti ai sensi dell’art. 133, secondo comma, cod. proc. civ. rimanendo estranea, quest’ultima attività, al procedimento della pubblicazione e non integrando né un elemento costitutivo né un elemento condizionante l’efficacia di essa; tanto è vero che non è dovuta alle parti rimaste contumaci e non e prevista alcuna sanzione in caso di sua omissione, essendo la stessa realizzabile anche verbalmente, e non necessariamente con la consegna materiale del biglietto di cancelleria» (così, Cass., 17/01/2003, n. 639).
2.3 Tali principi sono stati ribaditi con due recenti arresti di questa Corte. Con la sentenza di questa Corte dell’08/08/2019 n. 21207, è stato evidenziato che la decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto, ravvisabile laddove la parte si dolga dell’omessa comunicazione della data di trattazione dell’udienza e/o della sentenza stessa, atteso che il termine di cui all’art. 327 proc. civ. decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, a prescindere dal rispetto, da parte della cancelleria medesima, degli obblighi di comunicazione alle parti, e che, inoltre, rientra nei compiti del difensore attivarsi per verificare se siano state compiute attività processuali a sua insaputa. Con l’ordinanza del 14 ottobre 2019 n. 25727, è stato precisato che il contribuente costituito in giudizio ha l’onere di verificare lo stato del procedimento, senza doversi affidare alle comunicazioni della cancelleria. Ciò in quanto, anche ove non vengano trasmesse dalla commissione le notizie sulla fissazione dell’udienza di discussione e sull’avvenuto deposito della sentenza, i termini di impugnazione rimangono quelli stabiliti per legge, senza possibilità di ottenere una rimessione in termini per non aver avuto contezza dell’esito del giudizio.
2.4 In detto contesto di principi, risulta privo di rilievo l’istituto, invocato dal ricorrente, della rimessione in termini di cui all’articolo 153, secondo comma, cod. proc. – applicabile al rito tributario – qualora il difensore non abbia ricevuto, in una fase processuale, le comunicazioni di cancelleria di cui era destinatario. In proposito, deve essere ulteriormente ribadito, in base ai principi richiamati, che rientra comunque tra i doveri professionali del difensore quello di attivarsi per verificare se, a causa di un mancato adempimento della cancelleria, siano state svolte attività processuali a sua insaputa, mentre la causa che potrebbe legittimare la rimessione in termini è il verificarsi di un evento che presenti il carattere dell’assolutezza e non già, come nella specie, di un’impossibilità relativa per altro non incidente sulla decorrenza del termine annuale fissato dalla legge.
3. L’inequivoco significato letterale delle norme riguardanti la decorrenza dei termini per impugnare enfatizza la correttezza della decisione impugnata sulla declaratoria di inammissibilità del proposto gravame e giustifica il rigetto del ricorso qui proposto.
4. Quanto al contrasto, prospettato dal ricorrente, con norme costituzionali (art. 111 ) e convenzionali (art. 6 CEDU), si osserva che questa Corte, occupandosi ex professo della questione, ha escluso con argomenti che si condividono e fanno propri, ogni profilo di illegittimità della disposizione relativa alla decorrenza del termine annuale di impugnazione dalla pubblicazione della sentenza, anziché dall’avviso di comunicazione o dalla notifica della stessa, chiarendo le ragioni per le quali, anche alla luce delle indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 584 del 1990, non può concepirsi, allo stato dell’attuale sistema delle impugnazioni, una diversa disciplina dei termini in argomento (ex pluribus, Cass., 26/09/1998, n. 9665; Cass., 15/01/2003, n. 486; Sez. U, 18/06/2010, n. 14699).
5. L’esame terzo motivo, con il quale sono state riproposte le doglianze di appello è, ovviamente, reso superfluo dal rigetto dei primi due mezzi.
6. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in complessivi euro 17.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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