Corte di Cassazione ordinanza n. 18151 depositata il 26 giugno 2023
TARSU/TARI – disapplicazione della delibera comunale – principio di irretroattività
RILEVATO
1. L’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a. ha impugnato i quattro documenti di addebito, notificati nel 2012, con cui è stato richiesto il conguaglio per la tariffa rifiuti corrisposta nel 2010.
2. Il ricorso è stato accolto in primo grado, con sentenza confermata in appello. Nella sentenza di secondo grado si legge, da un lato, che «l’Ama….si è limitata a richiedere, unitamente alla tariffa del 2012, il conguaglio per un anno pregresso (2010) senza specificare i motivi» e, dall’altro lato, che «le richieste di conguaglio sono di per sé una imposizione che non può essere adottata con effetto retroattivo ed in mancanza di provvedimenti impositivi, determinata con una semplice delibera comunale (n. 50 del 2011) ritenuta illegittima dal ricorrente … sin dal primo grado di giudizio», visto che gli artt. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 e 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, contrariamente alla tesi dell’Ama s.p.a., non consentono l’applicazione di una tariffa a saldo.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Ama s.p.a., formulando quattro motivi.
4. Ha resistito con controricorso il contribuente.
5. La causa è stata trattata all’adunanza camerale del 20 giugno 2023.
CONSIDERATO
1. La ricorrente ha dedotto:
1) la violazione degli 3 della l. n. 241 del 1990 e 7 della l. n. 212 del 2000, atteso che la delibera n. 50 del 2011, in base alla quale è stato chiesto il conguaglio, è stata citata negli atti impositivi impugnati e tale menzione integra, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, una esaustiva motivazione per relationem, essendo il provvedimento richiamato non solo agevolmente conoscibile, in quanto soggetto a forme di pubblicità legale, ma effettivamente conosciuto, in quanto prodotto sin dal primo grado in giudizio dallo stesso contribuente;
2) la violazione dell’art. 156 cod.proc.civ., applicabile anche agli atti sostanziali e, quindi, a quelli impositivi, visto che la lettura dei motivi del ricorso introduttivo del giudizio conferma la conoscenza, da parte del contribuente, delle ragioni che hanno indotto il Comune a richiedere il conguaglio, sicché la delibera n. 50 del 2011 ha raggiunto il suo scopo;
3) la violazione degli artt. 49, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997, 238 del d.lgs. n. 152 del 2006,
3, commi 1 e 2, d.P.R. n. 158 del 1999, 1, comma 169, della l. n. 296 del 2006, atteso che la necessaria copertura integrale del servizio rende legittima, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, la richiesta di un conguaglio, tenuto conto, peraltro, della sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2009, con cui si è esclusa l’applicabilità dell’i.v.a. sulla Tia1, ed, al contrario, dell’incidenza sul costo del servizio dell’applicazione dell’i.v.a. al compenso corrisposto dal Comune di Roma all’Ama s.p.a., 4) l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e la violazione degli artt. 24, 32 e 57 d.lgs. n. 546 del 1992 e 112 cod.proc.civ., atteso che il contribuente ha dedotto, per la prima volta, l’illegittimità della delibera n. 50 del 2011 non nei motivi dell’originario ricorso introduttivo del giudizio, ma solo in una memoria successiva e, quindi, tardivamente ed il giudice di appello non avrebbe potuto pronunciarsi su tale tardiva eccezione.
2. Risulta pregiudiziale rispetto all’esame di primi due motivi il terzo motivo di ricorso, avente ad oggetto la questione della legittimità/illegittimità del conguaglio richiesto, in quanto, a prescindere dalla esaustività della motivazione degli atti impugnati, il rigetto di tale censura (e la conseguente conferma dell’illegittimità della richiesta di un conguaglio per l’anno 2010, laddove intesa come una imposizione retroattiva introdotta da un atto amministrativo) giustificherebbe di per sé l’annullamento degli atti impugnati, con assorbimento dei primi due motivi di ricorso.
2.1 Il motivo è infondato, atteso che il principio di irretroattività della norma giuridica, posto dall’art. 11 disp. prel. cod. civ., e ribadito in campo tributario dall’art. 3 della l. n. 212 del 2000, essendo dettato da una fonte di tipo legislativo, che è sovraordinata rispetto a quelle secondarie di carattere amministrativo, non può essere derogato da un atto amministrativo, quale la delibera n. 50 del 2011 del Comune di Roma, sia essa al riconducibile al genus dei regolamenti o degli atti amministrativi generali, salva una specifica disposizione di legge che preveda tale possibilità, nel rispetto, peraltro, dei principi costituzionali (sia di quelli generali, come il principio di ragionevolezza e di uguaglianza, della tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico e del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, sia di quelli specifici del settore tributario, quali quello di capacità contributiva: vedi, tra le altre, le sentenze della Corte Costituzionale n. 525 del 22 novembre 2000 e n. 10 del 2015) – disposizione legislativa che, tuttavia, non si rinviene relativamente al settore dei rifiuti.
Difatti, nessuna delle disposizioni invocate dalla odierna ricorrente attribuisce al Comune tale potere di determinazione retroattiva della tariffa sui rifiuti.
L’art. 1, comma 169, della l. n. 296 del 2006 dispone che gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. Dette deliberazioni, anche se approvate successivamente all’inizio dell’esercizio purché entro il termine innanzi indicato, hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno di riferimento. In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno. Tale disposizione, invocata dalla odierna ricorrente, è, dunque, chiara nello stabilire che le tariffe e le aliquote determinare dagli enti locali possono applicarsi retroattivamente non in maniera indiscriminata, ma solo relativamente all’anno di riferimento e solo a condizione che siano adottate entro la data fissata dall’autorità statale.
Per quanto riguarda, in particolare, i rifiuti l’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 (oggi abrogato) non contemplava affatto la possibilità di rideterminare per il passato la tariffa, contenendo, al contrario, una serie di disposizioni che disciplinavano la programmazione della tariffa per il futuro (ad esempio, il comma 11 prevedeva che «per le successive determinazioni della tariffa si tiene conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato»; il comma 12 stabiliva che «l’eventuale modulazione della tariffa tiene conto degli investimenti effettuati dai comuni che risultino utili ai fini dell’organizzazione del servizio»). Parimenti l’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 non contiene alcuna disposizione che attribuisce ai Comuni il potere di rideterminare la tariffa per gli esercizi passati. Né può desumersi tale potere dalla necessaria copertura dei costi del servizio, posto che il comma 5 dell’art. 238 in esame precisa che l’integrale copertura dei costi non è un obiettivo immediato, ma deve essere gradualmente assicurata entro quattro anni dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 6 (e, cioè, regolamento con cui Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle attività produttive, sentiti la Conferenza Stato regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le rappresentanze qualificate degli interessi economici e sociali presenti nel Consiglio economico e sociale per le politiche ambientali e i soggetti interessati, disciplina i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa, anche con riferimento alle agevolazioni, garantendo comunque l’assenza di oneri per le autorità interessate).
Ancora l’art. 3, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 158 del 1999, che è una fonte secondaria e non potrebbe, dunque, derogare al principio generale di irretroattività della disciplina giuridica, ribadisce i principi generali secondo cui la tariffa è composta da una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, senza alcuna menzione del potere di determinare, in modo retroattivo, la tariffa.
Il motivo è, quindi, infondato e va rigettato.
3. Neppure può accogliersi l’ultimo motivo, con cui si è denunciata la tardiva denuncia della illegittimità della delibera comunale in cui è previsto il conguaglio per l’annualità 2010. Difatti, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, il potere del giudice tributario di disapplicare gli atti amministrativi costituenti il presupposto per l’imposizione è espressione del principio generale dell’ordinamento, contenuto nell’art. 5 della legge 20 marzo 1865, 2248, allegato E, dettato nell’interesse, di rilevanza pubblicistica, all’applicazione di tali atti in giudizio solo se legittimi, sicché detto potere può essere esercitato anche di ufficio purché gli atti in questione siano stati investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente in relazione all’atto impositivo impugnato (Cass., Sez. 5, 13 giugno 2012, n. 9631). Proprio, in tema di TARSU, si è affermato che il giudice tributario, nell’ambito della cognizione dei motivi di impugnazione contro l’atto impositivo, ha il potere-dovere di disapplicare, anche d’ufficio, la delibera comunale presupposta, qualora sia illegittima, in applicazione del principio generale di cui all’art. 5 della l. n. 2248 del 1865, All. E., con l’unico limite dell’eventuale giudicato amministrativo che abbia affermato la legittimità di tale delibera (Cass., Sez. 5, 24 gennaio 2019, n. 1952). Da tale premessa consegue che è del tutto irrilevante che il contribuente non abbia, sin dal ricorso introduttivo, invocato la disapplicazione della delibera n. 50 del 2011 del Comune di Roma o non ne abbia chiaramente lamentato l’illegittimità, essendo, comunque, incontestato che abbia denunciato proprio la sua applicazione. A ciò va aggiunto che i giudici di merito hanno affrontato, sia pure implicitamente, la questione, risolvendola nel senso della illegittimità della delibera in esame e della sua disapplicazione, che è il logico presupposto dell’accoglimento del ricorso e dell’annullamento degli atti impugnati (applicativi della delibera n. 50 del 2011 del Comune di Roma).
4. Il rigetto degli ultimi due motivi comporta l’assorbimento dei primi due, il cui eventuale accoglimento non inciderebbe sull’annullamento degli atti impugnati, come già evidenziato.
5. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna il Comune ricorrente a rifondere al controricorrente le spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.000,00, oltre euro 200,00 per spese vive, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge;
ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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