Corte di Cassazione ordinanza n. 18160 depositata il 6 giugno 2022
accertamento motivato per relationem
RILEVATO CHE
P.A. impugna per cassazione, con due motivi, la sentenza della CTR in epigrafe che, confermando la decisione della CTP di Latina, aveva ritenuto legittimo l’avviso con cui l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato ai sensi dell’art. 39, secondo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, il reddito d’impresa per l’anno 2004, ai fini Iva e delle imposte dirette, della società A.T.S. Srl attesa l’omessa tenuta delle scritture contabili, asseritamente oggetto di furto.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo denuncia “difetto di motivazione” dell’avviso di accertamento che si limitava a richiamare il pvc in assenza di una autonoma valutazione, rimanendo così eluso, contrariamente a quanto affermato dalla CTR, l’obbligo di motivazione degli atti.
1.1 Il motivo è inammissibile e per più ragioni.
La censura, infatti, è irritualmente formulata, neppure essendo specificate le specifiche ragioni di impugnazione ex art. 360 c.p.c.; è carente in punto di autosufficienza, non avendo riprodotto l’avviso; non si confronta con la puntuale motivazione della CTR che ha ritenuto ben motivato l’atto atteso il rinvio al pvc, già notificato al contribuente.
La doglianza è comunque infondata alla luce del consolidato orientamento della Corte, secondo il quale «in tema di avviso di accertamento, la motivazione per relationem con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio» (Cass. n. 32957 del 20/12/2018; Cass. n. 6524 del 09/03/2020).
2. Il secondo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 39 comma 2 del DPR 600/73” per aver l’Ufficio determinato la percentuale di ricarico senza tener conto dell’annualità dei costi e dei ricavi, utilizzando metodi statistici e senza osservare il principio del contraddittorio con il contribuente.
2.1 Il motivo è inammissibile.
La doglianza attinge direttamente l’avviso e l’attività dell’Ufficio e non la sentenza della CTR, che ha ritenuto legittimo l’accertamento induttivo e corretta la rideterminazione del reddito d’impresa.
Il motivo, del resto, pur formalmente inteso a far valere una violazione di legge, mira, in realtà, a chiedere un riesame del merito della pretesa e una nuova valutazione delle risultanze oggetto di disamina da parte della CTR, non consentito in sede di legittimità.
3. Il ricorso va pertanto Le spese, liquidate in dispositivo, sono regolate per soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna P.A. al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessive € 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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