CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 18260 depositata il 27 giugno 2023
Tributi – Commercialista – Rimborso – IRAP – Silenzio rifiuto – Attività di consulente aziendale – Autonomia organizzativa – Apporto intellettuale – Rapporto tra il socio e la società – Decadenza – Rigetto
Fatto
In data 10.11.2016 il contribuente F.G. (d’ora in poi, anche solo “il contribuente”), dottore commercialista, presentò all’Agenzia delle Entrate istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 del DPR n. 602 del 1973 delle somme versate a titolo di Irap per gli anni d’imposta 2012, 2013, 2014 e 2015, per un totale complessivo di euro 203.304,93.
Avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza, il contribuente propose ricorso alla C.T.P. di Milano, deducendo di svolgere la propria attività di consulenza a favore di un solo cliente, la società di consulenza (…) S.p.A. (d’ora in poi, anche “la società di consulenza”), della quale egli era socio e prestatore d’opera, nell’ambito della struttura organizzativa messa a disposizione dalla stessa società.
Ritenendo, dunque, di non essere soggetto all’Irap, chiese l’integrale rimborso delle somme versate a titolo di Irap.
La C.T.P. adìta rigettò il ricorso.
Su appello del contribuente, la C.T.R. riformò in parte la sentenza di primo grado, statuendo che non erano assoggettabili ad Irap i proventi che i lavoratori autonomi percepiscono come compenso per le attività svolte all’interno di una struttura organizzata da altri.
Dichiarò, dunque, dovuto il rimborso, con esclusione dell’Irap versata per il 2012, il cui diritto alla restituzione dichiarò prescritto.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello, sulla base di quattro motivi. Resiste il contribuente con controricorso, contenente altresì un ricorso incidentale articolato in un solo motivo.
Il contribuente ha depositato una memoria ai sensi dell’art. 380 bis1 c.p.c.
Diritto
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato “Violazione ed errata applicazione dell’art. 2 del DLgs. n. 446/97, nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”, l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per aver posto a carico di essa, in violazione dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare la sussistenza, in capo al contribuente, del requisito dell’autonoma organizzazione quale presupposto oggettivo dell’Irap.
Deduce l’Agenzia che, per come è strutturato l’art. 3, comma 1, lett. c) del DLgs. n. 446 del 1997, è, invece, il contribuente a dover provare in giudizio l’assenza del requisito dell’autonoma organizzazione per non essere assoggettato all’Irap.
1.1.La censura è infondata.
Essa si fonda su una enfatizzazione del passaggio in cui la sentenza impugnata ha affermato che “ex adverso, l’Ufficio non ha contestato la predetta circostanza e, comunque, non ha provato che il professionista operava con un’autonoma organizzazione”.
Rileva, tuttavia, questa Corte che la C.T.R., in un passaggio motivazionale precedente a quello testé trascritto, ha affermato che “nel caso di specie risulta che il professionista negli anni d’imposta de quibus abbia svolto l’attività di consulente aziendale senza l’ausilio di propri dipendenti, elementi che indicavano l’assenza di autonoma organizzazione”.
Il giudice di appello, dunque, valutando gli elementi di prova e gli atti del processo, è giunto alla conclusione che il contribuente, nello svolgimento della sua attività professionale, fosse privo di autonoma organizzazione. Si tratta di un giudizio di fatto, incensurabile nel giudizio di legittimità.
La C.T.R., nello snodo motivazionale censurato dall’Agenzia delle Entrate, ha solo inteso rafforzare il suo convincimento, affermando che i dati di fatto dedotti dal contribuente, dai quali emergeva l’assenza di autonoma organizzazione in capo a lui nello svolgimento dell’attività professionale, non erano stati nemmeno contestati dall’Agenzia.
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Nullità della sentenza della C.T.R. per violazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 132, comma 2 n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., nonché artt. 1, comma 2, 36 comma 2 nn. 2 e 4, 53 e 54 del DLgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.”, l’Agenzia censura la sentenza impugnata per motivazione apparente, in quanto non sarebbe idonea a spiegare e a far comprendere le reali ragioni su cui si fonda il decisum.
2.1. Il motivo è infondato.
L’apparato motivazionale della sentenza impugnata è congruo.
La C.T.R. ha affermato che nelle libere professioni, a differenza delle attività d’impresa alle quali è connaturato l’aspetto organizzativo, conta unicamente l’apporto intellettuale del professionista, e che per i liberi professionisti il requisito dell’autonoma organizzazione è meramente eventuale.
La C.T.R. ha poi escluso, nel caso di specie, che si fosse in presenza di un’autonoma organizzazione, visto che il professionista aveva dimostrato che esercitava la sua attività senza l’ausilio di propri dipendenti.
3. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del DLgs. n. 446 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”, l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata perché, aderendo ad uno degli orientamenti di legittimità in materia di Irap, ha ritenuto che il solo fatto che l’elemento organizzativo di persone e capitali fosse formalmente imputabile alla società escludesse la necessità di indagare il rapporto tra il socio, odierno contribuente, e la compagine sociale, il ruolo e l’influenza del primo nella seconda, allo scopo di verificare la sostanziale imputabilità al contribuente persona fisica l’assetto organizzativo formalmente imputabile all’ente societario.
4. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato “Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.)”, l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza di appello per non aver esaminato i fatti dedotti nelle controdeduzioni d’appello, che avrebbero dovuto condurre il giudice di secondo grado a ritenere sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione in capo al contribuente.
In particolare, secondo l’Agenzia, l’utilizzazione delle strutture della società committente sarebbe in tutto equivalente all’utilizzazione del lavoro altrui; il fatto che il contribuente lavora esclusivamente in favore di una sola società farebbe sì da fargli acquisire l’autonoma organizzazione prevista quale presupposto oggettivo dell’Irap; dagli studi di settore presentati per gli anni d’imposta in questione si rileverebbero compensi assai elevati e costi di un certo rilievo.
Peraltro, l’Agenzia ricorrente osserva che la C.T.P., in primo grado, aveva evidenziato che non rileverebbe che l’organizzazione sarebbe stata fornita dalla società per la quale il contribuente lavora, in quanto il ruolo di presidente, ricoperto da quest’ultimo all’interno della compagine sociale, gli avrebbe consentito di creare quell’autonomia organizzativa che costituisce il presupposto applicativo dell’imposta.
4.1. Il terzo e il quarto motivo, che per la loro connessione possono essere esaminati e decisi congiuntamente, sono infondati.
Può dirsi ormai affermato l’orientamento di questa Corte nel senso che il professionista che presta la sua attività esclusivamente in favore di una società di consulenza della cui organizzazione e dei cui mezzi si avvale non è soggetto all’Irap (cfr., anche per i richiami, Cass., n. 17566/2016; Cass., n. 19397/2022). Peraltro, imputare direttamente al professionista l’organizzazione predisposta dalla società, di cui il primo si avvale nell’esercizio della sua attività a favore della seconda, ridurrebbe quest’ultima sistematicamente a mera interposta fittizia nell’erogazione dei servizi professionali, contrariamente al ruolo riconosciuto alle società quali soggetti di diritto, dotati di autonoma capacità decisionale ed operativa, ai quali è imputato l’esercizio di una impresa o, comunque, di un’attività economica organizzata in forma collettiva.
Ne consegue che nelle fattispecie come quella che qui viene in rilievo non è il professionista, ma la società, come ente giuridico distinto dalla persona fisica che presta per essa la sua attività lavorativa, ad integrare il presupposto oggettivo dell’autonoma organizzazione, rilevante ai fini Irap.
Né ha rilevanza il fatto che, negli anni d’imposta di cui si controverte, il contribuente rivestisse la carica di presidente della società.
Tale carica, infatti, non vale a rendere chi la ricopre dominus della società fino al punto da fare di quest’ultima un mero schermo nell’esercizio dell’attività professionale.
5. In definitiva, il ricorso principale deve essere rigettato.
6. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, rubricato “Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del DPR n. 602 del 1973”, il contribuente censura la sentenza di appello per averlo dichiarato decaduto dal diritto al rimborso con riferimento a tutti i versamenti Irap eseguiti in relazione all’anno d’imposta 2012, nonostante che, con le controdeduzioni in appello, l’Agenzia delle Entrate avesse chiesto di dichiararlo decaduto solo con riferimento al primo acconto versato a luglio 2012, tenendo conto che l’istanza di rimborso era stata presentata il 10.11.2016 e che dunque il contribuente non era decaduto dal diritto al rimborso del secondo acconto, versato a dicembre 2012.
6.1. Il motivo è fondato.
Premesso che la C.T.R., nel rilevare la decadenza dal diritto al rimborso del contribuente, non era vincolata all’eccezione dell’Ufficio, non essendo la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso disponibile da parte dell’Agenzia delle Entrate (cfr. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22399 del 26.9.2017, Rv. 646011 – 01), deve osservarsi che l’unico versamento Irap, relativo all’anno d’imposta 2012, effettuato più di quattro anni (art. 38 del DPR n. 602 del 1973) prima dell’istanza di rimborso (del 10.11.2016) è il primo acconto pagato a luglio 2012.
La sentenza impugnata, dunque, deve essere cassata in relazione alla decadenza dal diritto al rimborso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, si deve dichiarare che il contribuente è decaduto dal diritto al rimborso limitatamente al primo acconto Irap 2012 versato a luglio del detto anno.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR n. 115 del 2002, si deve dare atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale.
Accoglie il ricorso incidentale e, pronunciando nel merito, dichiara che il contribuente è decaduto dal diritto al rimborso esclusivamente con riferimento alla prima rata di acconto versata a luglio 2012.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al rimborso, in favore del contribuente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro settemilaottocento per onorari, oltre al rimborso delle spese generali, iva e cpa come per legge, ed oltre ad euro duecento di esborsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR n. 115 del 2002, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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