Corte di Cassazione ordinanza n. 18301 depositata il 7 giugno 2022
motivazione – accertamento tributario standardizzato
RILEVATO CHE
– S. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 1311/04/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Trapani di accoglimento del ricorso avverso avviso di accertamento TY9036A01788/2013 con il quale l’Ufficio, ai sensi dell’art. 62-bis del d.l. n. 331/1993, convertito dalla legge n. 427/1993, aveva accertato nei confronti della società, sulla base degli studi di settore, maggiori ricavi, ai fini imposte sul reddito e Iva, per l’anno 2010;
– l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso;
-sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
CONSIDERATO CHE
-con il primo motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 342 c.p.c. e, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 e n. 5 c.p.c., l’omesso esame da parte della CTR in ordine alla sollevata eccezione di inammissibilità ex art. 348 c.p.c. dell’appello dell’Ufficio per violazione dell’art. 342 c.p.c. per difetto di specificità delle censure;
– il motivo, con il quale, sebbene cumulando diversi mezzi, si lamenta sostanzialmente l’omesso esame dell’eccezione di inammissibilità dell’appello dell’Ufficio, è inammissibile;
– il motivo è inammissibile in quanto «il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale [nella specie, l’eccezione di inammissibilità dell’appello] non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte» (cfr., ex multis, 10267 del 2020; Cass. 958 del 2018; Cass. n. 321 del 2016; in senso analogo già Cass. 13649 del 2005 e n. 7406 del 2014);
– in ogni caso, premesso che “per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (Sez. 1 – , Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; 5 – , Ordinanza n. 29191 del06/12/2017;. Sez. 3 – , Sentenza n. 2151 del 29/01/2021), nella specie, la CTR nell’accogliere l’appello dell’Ufficio ha implicitamente disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione sollevata dalla contribuente;
– con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/73, in combinato disposto con l’art. 42 del medesimo decreto, nonché dell’art. 62-sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, conv. dalla legge n. 427/1993 per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento emesso sulla sola base degli studi di settore, non suffragato da ulteriori elementi di prova diretta dei contestati maggiori ricavi;
-il motivo è infondato;
– va premesso che, nella specifica materia, questa Corte ha chiarito che “L’accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, questi ha l’onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e delle ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (da ultimo, Cass. sez. 5, Sent. n. 9484 del 12/04/2017; n. 16114 del 2021);
– nella specie, la CTR, in ossequio ai suddetti principi, ha ritenuto legittimo l’accertamento dei maggiori ricavi operato dall’Agenzia sulla base degli studi di settore, essendo state le circostanze (sequestri giudiziari intervenuti negli anni 2009-2010) addotte dalla società a giustificazione della limitata attività di impresa svolta nel 2010, già valutate dall’Ufficio che, dopo il contraddittorio, aveva ridotto la pretesa erariale da euro 274.812,00 a euro 106.160,00; a conforto della legittimità dell’accertamento- ha aggiunto il giudice di appello l’Agenzia delle entrate aveva, altresì, evidenziato il comportamento antieconomico della società negli anni 2009-2011, con costanti perdite sintomatiche di indebita sottrazione di materia imponibile; il che, peraltro, sta a significare che la contestazione del maggior reddito, nella fattispecie in esame, non era stata il risultato della sola applicazione dello studio di settore;
-in conclusione, il ricorso va rigettato;
-le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 2300,00, oltre spese prenotate a debito;
Dà inoltre atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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