Corte di Cassazione ordinanza n. 18488 depositata l’ 8 giugno 2022

cartella di pagamento – impugnabilità – ricorso in cassazione – modalità – inammissibilità funzionaleinammissibilità strutturale

RILEVATO CHE

1. I.M. ha impugnato, con tre motivi, la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito, CTR) di cui in epigrafe, in controversia originata dall’impugnazione di cartella di pagamento n. 1920130001341913 recante l’iscrizione a ruolo di imposte Ires, Irap ed Iva, nonché sanzioni ed interessi, per gli anni 2003 e 2004, di cui alla decisione di due sentenze della Commissione tributaria provinciale, n. 118/44/12, riguardante avviso di accertamento T9DIR0900009/2010 per l’anno 2004 e l’atto di irrogazione di sanzioni T9DIR0900009/2010 per l’anno 2003, e n. 203/41/11, passata in giudicato, riguardante l’avviso di accertamento, per l’anno 2003.

2. Con la sentenza impugnata, la CTR ha accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate, riformando integralmente la sentenza di prime cure, sull’assorbente rilievo che, ai sensi dell’art. 19 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la cartella di pagamento è impugnabile solo per vizi propri e non per eccezioni di merito attinenti all’atto di accertamento dal quale è scaturito il debito.

3. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO CHE

1. Il ricorso deve essere disatteso.

1.1 La sentenza qui gravata statuisce su un thema decidendum circoscritto (l’impugnabilità della cartella di pagamento solo per vizi propri e non per eccezioni di merito attinenti all’atto di accertamento da quale è scaturito il debito) e segue un percorso argomentativo lineare. I giudici di appello, dopo aver preliminarmente osservato che «ai sensi dell’art. 19 d.lgs. 546 del 1992, la cartella è impugnabile solo per vizi propri e che, pertanto, non possono trovare ingresso nel contenzioso instaurato avverso le stessa doglianze riguardanti il merito della pretesa tributaria», hanno accolto l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della CTP – favorevole all’Invernizzi – ritenendo che la sentenza appellata aveva motivato la decisione «con argomentazioni di merito riguardanti il contenuto di cui alle decisioni nn. 203/41711 e 118/44/12, in attuazione delle quali è stata poi disposta l’iscrizione a ruolo delle somme di cui alla cartella», così violando l’art. 112 cod. proc. civ. ed il giudicato formatosi con la sentenza n. 203/41/11.

1.2 Alla linearità della questione giuridica oggetto di controversia, congruamente illustrata nella (centrata) motivazione della sentenza impugnata (che consta di appena due pagine), la difesa del ricorrente contrappone un ricorso in Cassazione (che consta di 48 pagine di cui le prime 30 dedicate alla narrativa della vicenda processuale con trascrizione integrale delle difese dei giudizi di merito e, tra l’altro, di atti riguardanti il procedimento penale a carico dell’Invernizzi) che non rispetta i canoni processuali della chiarezza espositiva, risultando, invece, assai confuso e disordinato, con ripetizione di elementi di fatto riferiti all’avviso di accertamento prodromico che nulla hanno a che fare con la cartella di pagamento impugnata e che ostacolano, anziché agevolare, il compito di questa Corte di discernere le critiche rivolte alla sentenza impugnata per effettuare il controllo di legittimità (Cass., S 5, 30/04/2020, n. 8425).

1.3 Vieppiù, tutti i motivi di ricorso non contengono censure specifiche e tassative di cui all’art. 360, primo comma, proc. civ., rispetto alla sentenza impugnata, dalla cui considerazione critica prescindono del tutto, limitandosi a riproporre e riaffermare – attraverso la riproduzione sia integrale che di stralci delle difese della stessa parte nel merito – le ragioni dedotte nei gradi precedenti dal ricorrente, il contrasto con le quali consentirebbe «ragionevolmente di richiedere sentenza di annullamento dell’atto opposto » (primo motivo), di evidenziare «ulteriore motivo di nullità dell’atto impugnato e degli atti conseguenti» (secondo motivo), nonché di ascrivere alla società e non all’Invernizzi «le conseguenze derivanti dagli illeciti accertati» (terzo motivo).

1.4 Tale confusa, disordinata e generica esposizione dei motivi crea un vulnus di inammissibilità del ricorso ponendosi in contrasto con i principi consolidati di questa Corte (Sez. , 30/11/2021, n. 37552) secondo cui «il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 cod. proc. civ.; l’inosservanza di tale dovere pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111, secondo comma, Cost. e 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui.».

1.5 Va, altresì, considerato che i diversi motivi qui proposti, non contengono l’elaborazione critica al contenuto della sentenza d’appello, ma costruiscono le censure secondo un sillogismo in base al quale, premesse e ripetute le difese della contribuente nei gradi di merito, la decisione di secondo grado sarebbe errata, prescindendo del tutto dall’analisi del decisum impugnato. Sul punto è stato chiarito che: «La proposizione, mediante ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso, risolvendosi in un “non motivo”. L’esercizio del diritto di impugnazione, infatti, può considerarsi avvenuto in modo idoneo solo qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica alla decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, da considerarsi in concreto e dalle quali non possano prescindere, dovendosi pertanto considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che difetti di tali requisiti.» (Cass. Sez. 5, 21/07/2020, n. 15517; conforme Cass. Sez. 5, 03/08/2007, n. 17125).

2. Il ricorso oltre ad essere inficiato da inammissibilità strutturale per carenza formale del contenuto (ex 366, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.), risulta altresì affetto da inammissibilità funzionale ex art 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., proponendo questioni risolte da persistente orientamento di legittimità (Cass. Sez. U. 21/03/2017, n. 7155; conf., Cass., 22/02/2018, n. 4366; 02/03/2018, n. 5001).

2.1 Ed invero, I.M. formula il primo motivo di ricorso – così rubricato: «art. 360 3 c.p.c. – falsa interpretazione ed applicazione di legge» – imputando alla CTR di non aver considerato, con riguardo alle somme derivanti dalla sentenza della CTP n. 118/44/12 oggetto di iscrizione a ruolo, che l’avviso di accertamento era stato emesso nei confronti della società Eurocantieri s.r.l. e che in quel giudizio aveva eccepito la sua carenza di legittimazione passiva alla pretesa fiscale per non essere amministratore di fatto, tanto che la stessa CTP aveva escluso la sua assoggettabilità alle sanzioni ex art. 7 d.l. n. 269 del 2003. Con il secondo motivo di ricorso («art. 360 n. 3 c.p.c. – falsa interpretazione ed applicazione di legge») la difesa del ricorrente, dopo aver esposto che la società Eurocantieri aveva cessato la propria attività nel territorio italiano il 9 marzo 2005 a seguito del trasferimento in Venezuela e previa cancellazione dal registro delle imprese, assume che avrebbe dovuto applicarsi la disciplina di cui all’art. 2495 cod. civ. mentre gli avvisi prodromici alla cartella erano stati notificati ad egli I.M. nella sua qualità di amministratore di fatto. Con il terzo motivo di ricorso deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. l’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al seguente motivo di doglianza: carenza di legittimazione passiva tributaria sanzionatoria del signor I.M. quale amministratore di fatto e conseguente nullità dell’atto opposto».

2.2 Tutti i motivi proposti si pongono in evidente contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte (da Sez. U. 24/07/2007 n. 16293) dal quale non v’è ragione di discostarsi, non fornendo il ricorrente elementi per mutare indirizzo, in base al quale: «In tema di contenzioso tributario, posto che, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, ognuno degli atti impugnabili può essere oggetto di gravame solo per vizi propri, salvo che non si tratti di atti presupposti non notificati, non è ammissibile l’impugnazione della cartella di pagamento per dolersi di vizi inerenti agli avvisi di accertamento già notificati e non opposti nei termini» (cfr. 6- 5, 24/05/2017,  n.  13102; Sez. 5,   23/05/2018,  n.  12759; Sez. 5, 13/10/2011, n. 21082).

3. Per il principio della soccombenza, il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’amministrazione erariale, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Amministrazione erariale, liquidate in complessivi euro 8.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.