Corte di Cassazione ordinanza n. 18876 depositata il 10 giugno 2022

motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione – 

Rilevato che:

1. la Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Lombardia ha rigettato l’appello del contribuente avverso la sentenza (n. 242/21/2012) della Commissione tributaria provinciale di Milano che, dopo averli riuniti, aveva parzialmente accolto i ricorsi proposti da Alberto Conte contro gli avvisi di accertamento ai fini Irpef, per gli anni d’imposta 2005, 2006 e 2007, che rettificavano i redditi dichiarati dal contribuente;

2. in particolare, per quanto ancora rileva, la C.T.R., illustrate le operazioni contestate (infra descritte), ha aderito alla decisione di primo grado in ragione del fatto che (cfr. 2-3 della sentenza qui impugnata) «l’evasione si è concretizzata con l’iscrizione in bilancio da parte della Conte S.r.l. del valore dell’avviamento relativo al conferimento d’azienda con la conseguente indebita deduzione delle relative quote di ammortamento e con il mancato pagamento dell’imposta sostitutiva sulla plusvalenza con l’accredito sui c/c dei soci Conte Franco ed Alberto di ingenti somme di denaro», e ancora che (ibidem) «le operazioni in questione vanno inquadrate nell’ambito delle indagini effettuate nei confronti di Asteria S.p.A. e Doride S.p.A. appartenenti al Gruppo Mythos composto da 1200 società, nel corso delle quali veniva riscontrato che tale gruppo aveva pianificato e implementato a favore dei propri clienti, tra cui la s.p.a. Conte, operazioni straordinarie di partecipazioni societarie volte a generare risparmi di imposte in capo agli stessi con evasione fiscale»;

3. il contribuente ricorre, con cinque motivi, per la cassazione della sentenza di appello; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

Considerato che:

1. con il primo motivo di ricorso [«I) Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. 546/1992 e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.»], il ricorrente assume di avere documentato, nel giudizio di merito, l’illegittimità delle singole riprese a tassazione in quanto: (a) per i periodi di imposta 2005, 2006, 2007, gli importi di euro 133.342,80 (2005), euro 133.342,80 (2006), euro 122.230,90 (2007), consistevano in bonifici mensili, di euro 11.111,90 cadauno, disposti dalla Doride S.p.a., nel corso del medesimo triennio, a titolo di pagamento rateizzato dell’utile di esercizio chiuso al 05/12/2002 conseguito da Cedro S.a.s. di Franco Conte & C., della quale erano soci al cinquanta per cento ciascuno i fratelli Franco Conte e Alberto Conte; (b) per il periodo di imposta 2006, l’importo di euro 150.000,00 riguardava l’acquisto titoli che traeva origine dalla disponibilità di un conto corrente acceso dal contribuente presso Unicredit Banca: in particolare, a fronte di un addebito per euro 150.000,00 sul detto conto bancario vi era stato un accredito di titoli di pari importo sulla gestione patrimoniale (n. 1758814) aperta dal contribuente; (c) sempre per il periodo di imposta 2006, l’importo di euro 75.000,00 recuperato a tassazione riguardava l’esecuzione della delibera di finanziamento a favore del socio adottata dall’assemblea ordinaria della Conte S.r.l. e regolarmente iscritti nel bilancio della società chiuso al 31/12/2006; (d) per lo stesso periodo di imposta (2006), infine, la rettifica per euro 10.450,00, era del tutto immotivata. Svolte queste premesse, il ricorrente censura la sentenza impugnata che, senza dare conto delle ragioni della decisione e senza prendere posizione sui motivi di appello, ha semplicisticamente confermato la decisione di primo grado, mettendo in luce, come si diceva (cfr. p. 2 del “Rilevato che”), che «le operazioni in questione vanno inquadrate nell’ambito delle indagini effettuate nei confronti di Asteria S.p.a. e Doride S.pa. appartenenti al Gruppo Mythos»;

2. con il secondo motivo [«II) Violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 44 del d.p.r. 22/12/1986 n. 917, nonché degli artt. 36 e 61 d.lgs. 546/92 e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.»], con riferimento alle riprese sub (a) del primo motivo (periodi di imposta 2005, 2006, 2007: importi di euro 133.342,80 (2005), euro 133.342,80 (2006), euro 122.230,90 (2007)), il ricorrente ribadisce che si trattava di bonifici mensili (di euro 11.111,90 cadauno), disposti dalla Doride S.p.a. (la quale si era accollata il debito della Cedro S.a.s.), nel corso del medesimo triennio, a titolo di pagamento rateizzato dell’utile di esercizio chiuso al 05/12/2002 conseguito da Cedro S.a.s. di Franco Conte & C., della quale erano soci al cinquanta per cento ciascuno i fratelli Franco Conte e Alberto Conte. Tanto premesso, si ascrive alla sentenza impugnata di non avere rilevato che detti importi erano privi di rilevanza fiscale nel triennio in esame sia perché avrebbero dovuto essere tassati per trasparenza, in capo ai soci, nel periodo di imposta nel quale erano maturati (2002), sia perché, all’epoca della tassazione (annualità 2005-2007), il contribuente non era più socio della Cedro S.a.s.;

3. con il terzo motivo [«III) Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 61 d.lgs. 546/92 e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, 3), c.p.c., nonché violazione degli artt. 1 e 44 del d.p.r. 22/12/1986 n. 917, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.»], con riferimento alla ripresa sub (b) (importo di euro 150.000,00 per acquisto titoli), si censura la sentenza impugnata che ha confermato il recupero a tassazione senza esaminare il relativo motivo di appello con il quale veniva dedotto e documentato che l’operazione, fiscalmente irrilevante, consisteva nell’accensione di un portafoglio titoli alimentato dall’identico addebito su altro conto corrente intestato al contribuente;

4. con il quarto motivo [«IV) Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 61 d.lgs. 546/92 e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 10 delle legge 27/7/2000, 212 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente) e degli artt. 1 e 44 del d.p.r. 22/12/1986 n. 917 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.»], con riferimento alla ripresa sub (c) del primo motivo (omessa tassazione, come reddito di capitale, per euro 75.000,00), si censura la sentenza impugnata che ha confermato il rilievo senza avere preso in considerazione le argomentazioni difensive dell’appellante, che aveva documentato che si trattava di un finanziamento deliberato, in data 20/10/2006, dall’assemblea ordinaria della Conte S.r.l., iscritto in bilancio alla voce “creditiV/soci”. Sotto altro profilo, il ricorrente rileva che la sentenza impugnata vìola il principio di leale collaborazione tra fisco e contribuente e non collima con le disposizioni del t.u.i.r. sui redditi di capitale, visto che la disponibilità sul conto corrente dell’importo di euro 75.000,00, avente come causale un finanziamento da parte della Conte S.r.l., non costituiva certo un reddito di capitale, sottratto a imposizione;

5. con il quinto motivo [«V) Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 61 d.lgs. 546/92 e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, 3), c.p.c., nonché violazione dell’art. 67 del d.p.r. 22/12/1986 n. 917, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.»], con riferimento alla ripresa sub (d) del primo motivo (compensi corrisposti dalla società Conte S.r.l. per euro 10.450,00, che concorrono a formare il reddito complessivo come redditi diversi), il ricorrente censura la sentenza impugnata che ha confermato la ripresa senza spiegarne le ragioni;

6. preliminarmente, è dato rilevare che non sono stati attinti da censura i rilievi concernenti l’indebita deduzione delle quote di ammortamento dell’avviamento correlato al conferimento di azienda ed il mancato pagamento dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze (cfr. punto n. 2 del “Rilevato che”), sicché, in relazione a tali aspetti dell’accertamento fiscale, la sentenza d’appello è passata in giudicato;

7. il primo motivo è fondato, nei termini di seguito indicati e i restanti quattro motivi sono assorbiti;

7.1 sulla premessa che l’erronea sussunzione della censura entro il parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., anziché entro quello (corretto) del n. 4 dello stesso articolo, non preclude l’ammissibilità del motivo che, nella sua puntuale esposizione, a prescindere dall’imprecisa formulazione della rubrica, è univocamente riferito ad un error in procedendo tale da comportare la nullità della sentenza per la carenza strutturale dell’apparato argomentativo (al riguardo, cfr. ex multis 24/11/2021, n. 36546, in motivazione), come si evince con chiarezza dal complesso normativo menzionato nella rubrica dell’articolata doglianza, va data continuità al condivisibile principio di diritto per il quale «In tema di processo tributario è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poiché, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame»; (Cass. 05/10/2018, n. 24452; conf. ex multis 08/07/2021, n. 19417; 11/11/2020, n. 25325; 14/02/2020, n. 3819; 25/10/2018, n. 27112; 05/11/2018, n. 28139, la quale ha stabilito che «La sentenza d’appello può essere motivata per relationem, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame»). Tali precedenti sezionali sono conformi all’insegnamento delle Sezioni unite della Corte, secondo cui la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/06/2018, n.16159 [p. 7.2.], che menziona Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; conf.: Cass. Sez. U. nn. 22229, 22230, 22231, del 2016. I medesimi concetti giuridici sono espressi da Cass. Sez. U. 24/03/2017, n. 766; Cass. Sez. U. 09/06/2017, n. 14430 [p. 2.4.]; Cass. Sez. U., 18/04/2018, n. 9557 [p. 3.5.]);

8. tornando al motivo di ricorso, nel caso concreto la sentenza impugnata è viziata da motivazione apparente in quanto trascura gli enunciati princìpi di diritto e, senza fare riferimento allo svolgimento del giudizio d’appello, senza minimamente confrontarsi con i motivi d’impugnazione della decisione di primo grado, omettendo di indicare le ragioni della ravvisata legittimità delle singole riprese a tassazioni, si uniforma pedissequamente alla pronuncia di primo grado e, in conclusione, svolge una considerazione (circa la riconducibilità delle operazioni da cui sono scaturite le rettifiche delle dichiarazioni Irpef del contribuente alle indagini sul Gruppo Mythos e sulla pletora di società ad esso appartenenti) completamente eccentrica rispetto alle singole riprese fiscali, delle quali si è dato analiticamente conto in precedenza;

9. pertanto, fermo il giudicato parziale di cui si è detto (cfr. punto n. 6), accolto il primo motivo e assorbiti gli altri, la sentenza è cassata, con rinvio al giudice a quo anche per le spese del giudizio di legittimità;

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso nei termini sopra indicati, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.