Corte di Cassazione ordinanza n. 19057 del 14 giugno 2022

prove contrarie – sempre ammesse eccezione in senso improprio o una mera difesa

Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento n. Tk 010102278/2010 per l’anno 2005 nei confronti del contribuente Genovese Sandro con cui era individuata una maggiore pretesa fiscale a seguito di accertamento di ricavi non esposti in contabilità.

In relazione a tale avviso di accertamento, proponeva ricorso il contribuente assumendo l’infondatezza della pretesa per violazione dell’art. 51 del DPR 633/1972.

La commissione provinciale di Avellino, accoglieva parzialmente il ricorso, compensando le spese di lite.

Proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dolendosi dell’accoglimento parziale, riconoscendo che potevano essere escluse dal calcolo della pretesa solo le operazioni bancarie di cui al nr 22 e 50 , e quindi i maggiori compensi percepiti dovevano essere individuati in 119604,60 ai fini della rimodulazione della pretesa ai fini irpef , irap, iva..

Si costituiva anche il contribuente che chiedeva la conferma della sentenza impugnata.

La CTR di Napoli sez. st. di Salerno, con sentenza nr. 6835/02/2014 accoglieva l’appello dell’ufficio fiscale.

Proponeva ricorso in Cassazione il contribuente, affidandosi a tre motivi così sintetizzabili:

  1. error in iudicando violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cpc e dell’art. 57 del Dlgs n. 547/1992 in riferimento all’art. 360 3 cpc violazione del divieto dello ius novorum .
  2. error in iudicando violazione e falsa applicazione degli artt. 32,38,39 del Dpr 29 1973 n. 600 in riferimento all’art. 360 n. 3 3 e 5 cpc;
  3. error in iudicando violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del dpr 29 sett. 1973 n. 600 in riferimento all’art. 360 n. 5 cpc.

Si costituiva con controricorso l’Agenzia delle Entrate, chiedendo il rigetto del gravame.

Nel corso del giudizio di legittimità si costituiva il nuovo difensore per il ricorrente riportandosi al ricorso già presentato.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo il ricorrente assume che l’Agenzia Delle Entrate con l’atto di appello avrebbe alterato l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia allorchè ha riconosciuto giustificate talune movimentazioni bancarie ed in pari tempo chiedendo la conferma dell’accertamento con riferimento alle altre voci.

Tale motivo è infondato. L’Agenzia proponendo l’appello non è incorsa in alcun mutatio libelli. Con il riconoscere che solo alcune voci dovessero essere espunte dall’accertamento e non nella misura determinata dal primo giudice, ha in sostanza ha ritenuto solo in parte fondata la sentenza di primo grado che aveva falcidiato i ricavi non dichiarati

Nell’aver chiesto la riduzione dell’accertamento (ed in misura di gran lunga inferiore a quanto determinato dl giudice di primo grado) e la modifica della sentenza di primo grado, in sostanza l’Agenzia è rimasta nel solco della difesa svolta in primo grado in cui aveva sostenuto la fondatezza dell’avviso di accertamento e l’infondatezza delle eccezioni del contribuente. Invero con l’atto di a.ppello, si evince che l’unico motivo riguardava esclusivamente la maggior parte degli importi ripresi a tassazione dall’ufficio e che erano stati esclusi in illegittimamente e senza adeguata motivazione dal giudice di primo grado.  L’aver    dedotto nell’appello che dovesse essere espunti dall’avviso di accertamento solo limitati movimenti bancari, e quindi chiedendo la conferma dell’avviso, l’agenzia non ha minimante sollevato un’eccezione  in senso stretto,  ma eventualmente un’eccezione in senso improprio o una mera difesa. In definitiva l’appello non ha ampliato l’originario thema decidendum, ma tutt’al più operato una mera riduzione della pretesa fiscale , non incorrendo, pertanto, nel divieto di proporre nuove eccezioni di cui all’art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992, limitandosi a contestare le valutazioni del giudice di primo grado, che aveva falcidiato la pretesa tributaria, senza peraltro modificare la “causa petendi”, e senza che, in alcun modo, fossero alterati i termini della controversia, riguardando pur sempre la legittimità della pretesa fiscale.

Con il secondo motivo la parte come emerge dall’esposizione  del motivo si duole del fatto che il giudice di appello non abbia valutato “in alcun modo gli elementi forniti dal ricorrente-contribuente in grave violazione delle previsioni della norma di cui all’art. 38 dpr n. 600/1973 “. In sostanza il ricorrente sostiene di aver dato la prova contraria in ordine alle presunzioni prese in considerazione dalla Agenzia ai fini di individuare la pretesa fiscale. Invero il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata in quanto la CTR ha ritenuto che l’Ufficio abbia fornito la prova dei fatti posti a base delle pretesa fiscale sulla base di quegli elementi già evidenziati nell’accertamento .

Qualora, con giudizio di fatto rimesso al giudice del merito, la Amministrazione abbia fornito una prova nei termini di cui sopra, l’onere a carico della medesima si intende assolto  Nel caso il giudice ha dato atto che nella movimentazione dei titoli negoziati dal contribuente avvocato sul proprio conto, si poteva evincere che trattavasi di compensi professionali non avendo dato il contribuente la prova per sovvertire la presunzione di legge, per esempio depositando fattura relativo al proprio compenso professionale per tali risarcimenti e quietanze assicurative . Né ha ritenuto convincenti le affermazioni che alcuni assegni erano stati da lui versati per mero favore a tale G.F., in mancanza di prova circa la restituzione dell’importo e del prelievo corrispondente all’importo di tali assegni.

Da ciò emerge che il giudice di secondo grado ha dato atto che la tesi esposta dal contribuente non ha trovato alcun riscontro probatorio. Va infine, chiarito secondo la giurisprudenza di questa Corte, che allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni – le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito – rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi ad individuare gli effetti che ne discendano, secondo il criterio dello “id quod plerumque accidit”, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità, se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi.

Com’è noto, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che questi ultimi sono registrati in contabilità e che i primi sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; posto che, in materia, sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non una mera affermazione di carattere generale, non essendo possibile ricorrere all’equità (in senso analogo Sentenza n. 25365 del 05/12/2007, n. 14675 del 2006). Nelcaso , il ricorrente neppure indica prove specifiche offerte non valendo la mera asserzione o il mero convincimento personale . Comunque il giudice ha dato atto che tali valutazioni non erano in grado di inficiare le presunzioni acclarate. Nel caso quindi le doglianze si risolvono in censure motivazionali che non conferiscono al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, avendo solo il potere di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti.

Con il terzo motivo il contribuente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo, avendo dato la prova che le movimentazioni bancarie non erano sintomatiche di reddito occultato.

Anche tale motivo è infondato. L’omesso esame di un fatto decisivo resta integrato solo a fronte di una totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ma non anche per eventuali divergenze valutative sulla questione oggetto di lite, non essendo il giudizio per cassazione un terzo grado di merito (Cass. S.U. n. 24148/2013; Cass. n. 12779/2015). Nel caso il giudice come si è detto ha valutato i fatti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del grado liquidate in euro 2500 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 .