Corte di Cassazione ordinanza n. 19072 del 14 giugno 2022
accertamenti bancari – presunzioni – motivazione mancante – errore di fatto previsto dall’art. 395 cpc – omessa pronuncia
Rilevato che:
1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza di primo grado che aveva in parte accolto le doglianze di C.G. relative ad un avviso di accertamento per Irpef, Iva e Irap per l’anno 2008, emesso nei suoi confronti ed originato da movimentazioni su conti correnti bancari intestati o cointestati al medesimo e ad alcuni suoi congiunti, da considerarsi operazioni imponibili; la Commissione provinciale, in particolare, aveva escluso la riferibilità al contribuente dei conti correnti cointestati con i genitori e la compagna e di quello intestato al fratello.
2. Ricorre contro la sentenza della Commissione tributaria regionale l’Agenzia delle Entrate, con quattro motivi; resiste con controricorso C.G..
Il controricorrente ha depositato istanza di sospensione del processo fino al 31 dicembre 2020, ai sensi dell’art. 6, decimo comma, d.l. 23/10/2018, n. 119, sul presupposto di aver presentato istanza di definizione agevolata della lite; in data 16 dicembre 2020 ha depositato istanza di estinzione del giudizio e, in subordine, di trattazione, ai sensi dell’art. 6, tredicesimo comma, d.l. 119 del 2018.
L’Agenzia delle Entrate, in data 22 dicembre 2020, ha depositato istanza di fissazione dell’udienza per diniego di definizione agevolata, producendo la notifica del provvedimento di diniego, circostanza di cui lo stesso ricorrente dava atto; il diniego è fondato sia sull’errato calcolo delle somme dovute sia sul mancato riscontro del versamento.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 23 marzo 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis.1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31/08/2016, n.168, conv. in l. 25/10/2016, n. 197.
Considerato che:
1. Preliminarmente si rileva che in data 16 dicembre 2020 il controricorrente ha depositato un’istanza1 volta all’estinzione del giudizio con decreto presidenziale ai sensi dell’art. 391 proc. civ., con conseguente passaggio in giudicato della decisione di appello, ove entro il 30 dicembre 2020 non fosse intervenuta istanza di trattazione da parte dell’Agenzia delle Entrate; in subordine ha chiesto, ove l’estinzione dovesse essere intesa come riferita all’intero giudizio e non al solo grado di legittimità, la trattazione della controversia.
L’istanza è superata dal successivo deposito di istanza di trattazione da parte dell’Agenzia ricorrente, avvenuto in data 22 dicembre 2020, cui è allegato il provvedimento di diniego della definizione agevolata, notificato alla parte personalmente in data 28 luglio 2020 e al suo difensore in data 3 agosto 2020; per cui nessuna ipotesi di estinzione si è verificata.
2. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione dell’art. 36 lgs. 31/12/1992, n. 546, e dell’z1rt. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; lamenta, in generale, che la sentenza impugnata non descriva compiutamente le deduzioni svolte dal contribuente nel ricorso nè la sentenza di primo grado nè i motivi di appello dell’ufficio e che le argomentazioni decisorie siano <<generiche, astratte, apodittiche, inconferenti e irrazionali>>; in particolare, evidenzia che i Jiudici, dopo aver ritenuto legittimo l’avviso, non sussistendo un precipuo obbligo di autorizzazione giurisdizionale alle indagini bancarie, abbiano però ritenuto fondate le doglianze di merito del contribuente, legando i due passaggi argomentativi con una locuzione (<<ne consegue>>) inspiegabile; che, in relazione al conto intestato al fratello del contribuente, la sentenza non abbia esaminato l’elemento, dedotto dall’ufficio e ammesso dalla controparte, che su tale conto C.G. aveva la delega ad operare (configurandosi sul IPUnto anche violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.); che, in relazione al conto cointestato con la compagna, i giudici di appello si siano limitati a statuire che <<già in primo grado la Commissione tributaria ha accertato trattarsi di entrate riconducibili ai redditi di lavoro della stessa>>, senza però rispondere al motivo di appello che aveva contestato la presenza di una prova in tal senso; che, in relazione al conto cointestato al contribuente, ai suoi genitori e al fratello, la Commissione abbia motivato evidenziando che esso, da un’attestazione rilasciata da Poste Italiane s.p.a., era risultato, con riferimento alle operazioni 2007, movimentato solo da B.D. e C.C., senza però spiegare perchè la situazione del 2007 dovesse ritenersi verificata anche nel 2008, anno cui si riferisce l’accertamento.
2.1 Il motivo non è fondato quanto al vizio di mancanza della motivazione ed è altresì inammissibile nella parte in cui censura un’omessa pronuncia.
2.2 Con riguardo al primo profilo, la mancanza della motivazione rilevante ai sensi dell’art. 132, 4, cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 546 del 1992), riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, si configura quando la motivazione <<manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata>> (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; successivamente tra le tante Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 01/03/2022, n. 6626).
2.3 La motivazione della sentenza impugnata non è riconducibile ad alcuna di tali ipotesi in quanto, in primo luogo, come emerge dalla parte in cui descrive le difese dell’ufficio appellante e le controdeduzioni dell’appellato, essa individua le questioni oggetto di lite nella legittimità dell’estensione delle indagini finanziarie ai conti correnti nella disponibilità del contribuente e nella presenza o meno di indici di verifica della <<concreta e sostanziale riferibilità o, al contrario, la totale estraneità del contribuente alle operazioni bancarie effettuate su tali conti>>, avendo il contribuente evidenziato che <<l’Agenzia delle Entrate è tenuta a provare, sia pure mediante presunzioni, la fittizia intestazione del conto, e che tale prova mancherebbe nel caso de quo>>; in secondo luogo, dopo aver risolto in senso favorevole all’ufficio la questione della necessità o meno di un’autorizzazione giurisdizionale per le indagini bancarie, la sentenza esclude che nel caso di specie vi fosse la prova della riconducibilità al contribuente delle operazioni effettuate, esaminando poi, seppur molto succintamente, le risultanze istruttorie per ciascun conto corrente.
Deve quindi escludersi che la sentenza sia affetta da vizio motivazionale, inteso nei termini in precedenza illustrati.
2.4 Il motivo è altresì inammissibile nella parte in cui deduce una omessa pronuncia per non aver la T.P. tenuto conto della circostanza di fatto, ammessa dalla controparte, che il contribuente avesse una delega ad operare sul conto corrente intestato al fratello; ed infatti l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. deve concernere una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della domanda di appello) e non una circostanza di fatto (Cass. 22/01/2018, n. l539; Cass. 05/12/2014, n. 25761; Cass. 04/12/2014, n. 25714).
3. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente censura la violazione e falsa applicazione degli 2697, 2727, 2729 cod. civ., 32 d.P.R. 29/09/1973, n. 600, 54 d.P.R. 26/10/1972, n. 633, 32 d.P.R. 600 del 1973 e 51 d.P.R. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; in particolare l’Agenzia deduce che, in relazione al conto intestato al fratello del contribuente, la Commissione regionale non abbia considerato che il rapporto di parentela, la delega ad operare sul conto e lo svolgimento di attività di impresa fossero elementi gravi, precisi e concordanti per ritenere che anche tale conto fosse nella disponibilità del contribuente accertato sicct’1è, ove questi non avesse dato dimostrazione che le movimentazioni bancarie non erano a lui riferibili e fornito le giustificazioni di cui agli artt. 32 d.P.R. 600 del 1973 e 54 d.P.R. 633 del 1972, si dovesse ritenere che i versamenti e i prelevamenti sul conto corrente fossero ricavi evasi dell’imposizione, e, a fini Iva, i versamenti fossero corrispettivi evasi e i prelevamenti acquisti senza fattura.
3.1 Il controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del motivo in quanto incompatibile con la deduzione dell’omessa pronuncia, oggetto del primo motivo.
L’eccezione non è fondata una volta chiarito che in realtà la doglianza contenuta al riguardo nel primo motivo non configura un reale vizio di omessa pronuncia, non risultando censurata l’omessa valutazione di una domanda o di una eccezione.
3.2 Il controricorrente eccepisce poi l’inammissibilità del motivo perché fondato sulla deduzione di un fatto (la presenza della delega) che non risulta accertato nella sentenza impugnata mentre laddove tale fatto fosse stato pacifico l’Agenzia avrebbe dovuto proporre revocazione per errore di fatto.
L’eccezione non è fondata in quanto l’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga ad un’errata valutazione delle risultanze processuali (Cass. 26/01/2022, n. 2236), presupposti non sussistenti nel caso di specie ove i giudici di appello non hanno escluso l’esistenza del fatto ma hanno motivato ritenendo che l’ufficio avrebbe dovuto dimostrare elementi ulteriori rispetto a quelli allegati e provati (<<l’Ufficio accertatore avrebbe dovuto fornire più pregnanti indicazioni per dimostrare che l’interpretazione è fittizia e che reale titolare dei rapporti era il sig. Caputo; … si sarebbe dovuto dimostrare tra l’altro che il soggetto terzo non esercita a,lcuna attività lavorativa e non è titolare di propri redditi>>).
3.3 Con una terza eccezione il controricorrente eccepisce Il difetto di autosufficienza in quanto l’Agenzia non consentirebbe d;i valutare la decisività della questione non chiarendo quale fosse il conto intestato al fratello, quali fossero le movimentazioni sul conto, e per quali importi.
L’eccezione non è fondata alla luce della riproduzione, nel ricorso dell’Agenzia, dell’intero ricorso di primo grado del contribuente, ove tali elementi sono compiutamente riportati.
3.4 Quanto al merito del primo motivo, nell’ambito dei poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria, l’art. 32, primo comma, 7), d.P.R. 29/09/1973, n. 600 disciplina l’accertamento di tipo bancario, prevedendo la facoltà dell’Ufficio di richiedere all’ente creditizio documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto con i loro clienti.
Poiché la disposizione non limita l’acquisizione della documentazione ai soli conti bancari formalmente intestati al contribuente accertato, si deve ritenere che l’acquisizione può estendersi anche ai conti correnti intestati a terzi soggetti, ma alla condizione che, pur in mancanza della formale titolarità, il conto sia nella disponibilità di fatto del contribuente sottoposto a verifica fiscale; solo in presenza di tale condizione (formale intestazione ovvero disponibilità di fatto del conto), il cui onere probatorio compete all’Ufficio, diviene operante la presunzione legale stabilita dall’art. 32, primo comma, n. 2), secondo cui gli importi riscossi (versamenti), rilevati sui conti intestati o riconducibili di fatto al contribuente, devono essere considerati proventi dell’attività svolta dall’interessato, con spostamento dell’onere probatorio sul contribuente, al quale spetta fornire la prova contraria alla presunzione, dimostrando che si tratti di somme comprese nella determinazione del reddito o che non abbiano rilevanza reddituale.
In altri termini, in caso di conti bancari di cui sia formalmente titolare il contribuente accertato la presunzione che gli importi riscossi siano compensi è immediatamente applicabile; nel caso di conti intestati a terzi, l’Ufficio, al fine di avvalersi della presunzione legale in oggetto, deve fornire la previa prova, anche per presunzioni (purché qualificate), che il conto bancario intestato a terzi sia nell’effettiva disponibilità del contribuente, al quale pertanto sono attribuibili le movimentazioni del conto fiscalmente rilevanti (in tal senso si sono espresse più pronunce di questa Corte: Cass. 20/12/2018, n. 32974; Cass. 13/04/2012, n. 5849; Cass. 12/01/2009, n. 374).
La prova a carico dell’ufficio può avere anche carattere presuntivo purchè qualificato; Cass. n. 32974 del 2018 ha precisato pertanto che l’esistenza di stretti vincoli familiari (nella specie era un rapporto di coniugio) tra il contribuente accertato ed il terzo titolare del conto, per assurgere a prova presuntiva qualificata della riferibilità, in tutto o in parte, al contribuente accertato delle movimentazioni del conto corrente intestato al familiare, deve essere accompagnata dalla indicazione di altri elementi, il cui onere di allegazione è a carico dell’Ufficio, idonei a dimostrare, in via logico-presuntiva, che la situazione reddituale del coniuge terzo intestatario del conto è incompatibile o comunque non può giustificare le movimentazioni riscontrate sul conto che, per tale ragione, può fondatamente ritenersi nella disponibilità effettiva del contribuente accertato.
Ancora, in particolare, il conferimento di una delega a favore del contribuente è idoneo a fondare una presunzione circa la riferibilità all’attività imprenditoriale svolta dal medesimo delle movimentazioni (attive e passive) poste in essere sul conto corrente bancario intestato ad un terzo, gravando poi sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria (Cass. 11/09/2018, n. 22089; Cass. 20/04/2018, n. 9845).
Infine, la parte può censurare la violazione delle norme in tema di presunzioni quando il giudice di merito abbia ritenuto un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così rifiutandosi di sussumere sotto la norma dell’art. 2729 e.e., fatti che avrebbero avuto le caratteristiche per esservi sussunti e, quindi, incorrendo per tale ragione in una sua falsa applicazione.
Nel caso di specie, la C.T.R. di Milano non ha fatto corretta applicazione di tali principi di riparto dell’onere probatorio, affermando, invero genericamente, che l’ufficio, sul quale gravava l’onere di provare che il conto intestato al fratello del contribuente fosse nella disponibilità di quest’ultimo, non lo abbia assolto (<<meritano accoglimento le argomentazioni del contribuente circa il difetto di prova della riconducibilità a se medesimo delle operazioni effe.ttuate>>) ed evidenziando poi che <<l’Ufficio accertatore avrebbe dovuto fornire più pregnanti indicazioni per dimostrare che l’interpretazione è fittizia e che reale titolare dei rapporti era il sig. Caiputo; … si sarebbe dovuto dimostrare tra l’altro che il soggetto terzo non esercita alcuna attività lavorativa e non è titolare di propri redditi>>.
Così statuendo, infatti, da un lato, ha obliterato del tutto le allegazioni relative non solo al rapporto di parentela ma anche alla delega in favore di C.G. ad operare sul conto corrente intestato al fratello, allegazioni idonee a fondare il ragionamento presuntivo circa l’ulteriore fatto che il conto bancario, fosse nella disponibilità del primo; allegazione, relativa alla delega, infine, introdotta in giudizio dallo stesso ricorrente (a fronte della deduzione, da parte dell’ufficio, della disponibilità di fatto anche ciel conto del fratello), come emerge dalla trascrizione delle controdeduzioni del contribuente operate nel ricorso dell’Agenzia; dall’altro lato, ha addebitato all’ufficio ulteriori e indebiti oneri probatori, quali quello di dover provare anche che il soggetto terzo non esercitasse alcuna attività lavorativa e non fosse titolare di propri redditi.
Il motivo, pertanto, deve essere accolto.
4. Col terzo motivo la ricorrente Agenzia censura la violazione dell’art. <<2617>> civ., con riferimento al paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., in relazione alla statuizione resa dai giudici di appello in merito al conto cointestato tra C.G. e Galimberti Manuela, ove essi avevano dichiarato trattarsi di entrate riconducibili ai redditi di lavoro della stessa; sul punto lamenta, a fronte della generica statuizione dei giudici di primo grado che vi fosse la prova che le entrate derivassero da redditi di lavoro della medesima, di aver dedotto in appello <<in via di doglianza, non esservi prova che le entrate sul conto corrente cointestato … fossero redditi di lavoro di quest’ultima>>.
5. Col quarto motivo di ricorso, l’ufficio censura la violazione e falsa applicazione degli 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 d.P.R. 633 del 1972 nonché degli artt. 2697, 2727, 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ.; la censura attiene alla statuizione relativa al conto corrente cointestato al resistente, ai genitori e al fratello, di cui la C.T.R. ha escluso la riferibilità al primo evidenziando che, in base ad una attestazione di Poste Italiane, era risultato che nel 2007 gli unici soggetti ad operare sul conto erano stati B.D. e C.C..
Il motivo si compone di due censure; con la prima l’ufficio, premesso in fatto che l’avviso attiene ad operazioni del 2008 (l’avviso è riprodotto, in parte qua, nel ricorso), evidenzia che il Caputo, essendo cointestatario del conto, era onerato della prova che le movimentazioni sul conto nel 2008 fossero riferibili ad altri soggetti, non essendo pertinente quanto ritenuto dalla C.T.R. in relazione al diverso anno 2007; con la seconda, la ricorrente evidenzia che, ben potendo i genitori operare per conto del figlio, questi non avrebbe dato la prova che le operazioni fossero estranee all’attività di impresa, prova necessaria ai sensi degli artt. 32 d.P.R. 600 del 1973 e 54 d.P.R. 633 del 1972.
5.1 Il controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del motivo in quanto incompatibile con la deduzione dell’omessa motivazione, oggetto del primo motivo e senza che sia stato indicato un rapporto di subordinazione tra i motivi.
L’eccezione non è fondata, in quanto tale inammissibilità è stata ritenuta nei casi di motivo composito, simultaneamente volto a denunciare violazione di legge e vizio di motivazione, avuto riguardo al principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. 23/06/2017, n. 15651; Cass. 28/09/2016, n. 19133; Cass. 23/09/2011, n. 19443).
5.2 Con una seconda eccezione il controricorrente eccepisce il difetto di autosufficienza in quanto il ricorso non consentirebbe di valutare la decisività della questione poiché non chiarisce quale sia il conto cointestato ai genitori e quali fossero le movime11tazioni sul conto, e per quali importi.
L’eccezione non è fondata alla luce della riproduzione, nel ricorso dell’Agenzia, dell’intero ricorso di primo grado del contribuente, ove tali elementi sono compiutamente riportati, e dello stralcio dell’avviso relativo ai movimenti su detto conto (pagina 24 del ricorso).
5.3 Ciò premesso, quarto (riferito evidentemente alla disposizione dell’art. 2697 cod. civ., come si evince dal tenore complessivo dell’esposizione) e quinto motivo devono essere trattati insieme.
Trattandosi infatti di conti cointestati al contribuente accertato, non possono valere le considerazioni sopra riportate e relative alle operazioni effettuate sul conto (esclusivamente) di un terzo; le argomentazioni compiute dalla C.T.R., peraltro del tutto generiche in
particolare in riferimento al conto cointestato con la Galimberti, e, in relazione al conto cointestato con fratello e genitori, secondo cui mancherebbe la prova (evidentemente da parte dell’amministrazione) della riconducibilità al contribuente delle operazioni effettuate nonché che nel 2007 il conto era stato movimentato solo dai genitori, si pongono in contrasto con un consolidato orientamento dii legittimità; ed infatti i citati artt. 32 d.P.R. 600/1973 e 51 d.P.R. 633/1972 consentono all’Amministrazione finanziaria di procedere alla rettifica della dichiarazione su basi presuntive utilizzando i dati relativi ai movimenti su tutti i conti correnti bancari intrattenuti del contribuente, anche se cointestati ad un terzo estraneo all’impresa (cfr. Cass. 02/07/2020, n. 13505; Cass. 16/10/2015, n. 20981; Cass. 21/06/2001, n. 8457); le disposizioni indicate si riferiscono infatti ai conti <<intrattenuti>> dal contribuente, vale a dire i conti le cui poste attive o passive siano al medesimo imputabili, e tale carattere sussiste anche per i conti congiuntamente intestati al contribuente e ad un terzo, non toccando la cointestazione, nei rapporti esterni, la posizione di ciascuno dei cointestatari di creditore o debitore, rispetto a tutte le operazioni annotate; sicché non è sufficiente ad escludere l’operatività della presunzione legale il mero riferimento alla contitolarità del conto con altro soggetto né è in tal caso onere dell’amministrazione provare la riferibilità del conto al contribuente accertato, essendo invece necessario che questi offra la prova analitica dell’estraneità ai fatti imponibili degli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria (Cass. 29/07/2016, n. 15857; Cass. 04/08/2010, n. 18081).
All’uopo occorre che venga indicata e dimostrata dal contribuente la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (Cass. 25/06/2020, n. 12598).
I motivi devono quindi essere accolti.
6. Nel proprio controricorso C.G. ha chiesto applicarsi gli artt. 1, secondo comma, 5, quarto comma, e 6, primo comma, del d.lgs. 471/1997, come novellati dal d.lgs. 158/2015 con decorrenza dall’l gennaio 2016, e delle sanzioni più favorevoli previste dalle norme sopra indicate; essendo tale istanza stata proposta per la sola ipotesi ovviamente di accoglimento del ricorso, l’eventuale rideterminazione delle sanzioni spetterà alla Commissione tributaria regionale in sede di
7. Pertanto in accoglimento del secondo, del terzo e del quarto motivo, respinto il primo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla competente Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame nonché alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso; rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere alla regolazione delle spese ciel giudizio di legittimità.
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