Corte di Cassazione ordinanza n. 19197 del 14 giugno 2022
plusvalenze
RILEVATO CHE
1. al ricorrente V.G. veniva notificato un avviso relativo al periodo di imposta 2005, con il quale veniva accertata una plusvalenza corrispondente ad una maggior imposta di € 102.292,00 conseguente alla cessione di un terreno in Roma, località Infernetto, con sovrastanti due locali magazzino. La prefata plusvalenza era assoggettata a tassazione separata con accertamento di maggior imposta come sopra.
2. L’avviso di accertamento veniva dal V.G. impugnato davanti alla CTP di Roma per illegittimità del provvedimento per mancata specificazione dell’iter logico in base al quale la compravendita di fabbricato era stata qualificata come invece di area fabbricabile, e, del resto, già nel preliminare si parlava di fabbricati con destinazione industriale ed artigianale, immobili peraltro in normale stato di conservazione. La CTP, nel contraddittorio delle parti, accoglieva il ricorso affermando che si trattava di vendita di locali magazzino, non potendosi imputare al venditore attività come la demolizione che l’acquirente potrebbe svolgere successivamente.
3. La CTR, adìta dall’Agenzia, accoglieva l’appello. In particolare il giudice d’appello sottolineava come fosse stato espressamente specificata nell’atto di vendita la destinazione dei due locali alla demolizione; come fosse stato attribuito all’atto il codice negozio 1119, proprio delle cessioni di terreni edificabili; e come infine l’area sia stata poi effettivamente edificata, il che dimostrava che il contratto (rectius l’oggetto del contratto) era rappresentato non dal fabbricato ma dal terreno.
4. Avverso la prefata pronuncia il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. L’Agenzia ha depositato controricorso per resistere.
CONSIDERATO CHE:
1. con l’unico motivo il ricorrente V.G. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 132 cod. proc. civ., 67, 1°comma, lett. b) del n. P.R. 22 dicembre 1986, n.917 (TUIR), 2697 e 2729, c.c., in relazione all’art.360, 1° comma, num.3, cod. proc. civ. Sostiene infatti il ricorrente che il giudice d’appello abbia operato una violazione sostanziale delle norme denunciate.
In particolare lo stesso avrebbe trascurato che ai fini dell’art.67 TUIR ciò che rileva è la destinazione edificatoria originariamente conferita ad un’area non edificata, in sede di pianificazione urbanistica, e non quella ripristinata su area già edificata, non rilevando inoltre condotte non riconducibili al venditore, mentre gli elementi considerati dal giudice d’appello sono irrilevanti o estranei alla posizione giuridica del contribuente. L’art.6 del contratto riguardava infatti la sfera giuridica dell’acquirente, mentre la registrazione e la tassazione era effettuata ai fini specifici di quest’imposta. Sottolineava infine il ricorrente che la stessa amministrazione con circolare n.1/E del 2007 ha chiarito che nel caso di acquisto di fabbricato da demolire ma in quel momento atto all’uso, si tratta pur sempre di acquisto di fabbricato. Lo stesso richiamava poi alcuni precedenti di questa Corte in senso a lui favorevole (Cass. 21/02/2014, n.4150; Cass. 09/07/2014, n. 15629 ).
2. L’Agenzia controricorrente ha chiesto il rigetto del ricorso, allegando essenzialmente il ragionamento della CTR, ed in specie rilevando la destinazione a demolizione dei locali precisata in contratto; il fatto che il terreno ricadesse in zona “O”; l’impegno a demolire assuntosi dall’acquirente; la richiesta da parte di quest’ultima dell’agevolazione di cui all’art.33, comma 3, l. 23/12/2000, n. 388. Il negozio non aveva dunque ad oggetto il fabbricato, e la demolizione di questo conferma l’intento speculativo della cessione.
3. Il motivo è fondato.
Va infatti dato atto che l’orientamento di questa Corte si è ormai decisamente consolidato nel senso che il presupposto applicativo dell’art.67, lett. b) TUIR è costituito dalla cessione di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti, per cui non vi può rientrare la cessione avente ad oggetto non un terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria, ma un terreno su cui sorge un edificio (per tutte Cass. 4150/2014).
Il principio è stato precisato anche da Cass. 20/06/2017, n.19129, secondo cui lo stesso “vale anche qualora l’alienante abbia presentato domanda di concessione edilizia per la demolizione e ricostruzione dell’immobile e, successivamente alla compravendita, l’acquirente abbia richiesto la voltura nominativa dell’istanza, in quanto la “ratio” ispiratrice del citato articolo 81 tende ad assoggettare ad imposizione la plusvalenza che trovi origine non da un’attività produttiva del proprietario o possessore ma dall’avvenuta destinazione edificatoria del terreno in sede di pianificazione urbanistica”, e successivamente è stato applicato ritenendosi “irrilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta la circostanza che le parti del contratto di compravendita avessero previsto la demolizione del fabbricato con successiva costruzione da parte dell’acquirente di un nuovo immobile” (Cass. 12/04/2019, n.10393), e pertanto lo stesso si applica espressamente anche in ipotesi in cui concretamente le parti abbiano considerato già in sede di contratto la demolizione in termini di certezza, come nella specie sostiene la ricorrente. Non va neppure trascurato, come prosegue la pronuncia da ultimo citata che a tale orientamento “si è uniformata la stessa Agenzia delle Entrate che, con circolare n.23/E/2020 ha escluso che, ai fini della tassazione delle plusvalenze, la cessione di un edificio possa essere riqualificata come cessione del terreno edificabile e che, in particolare, elementi di fatto come l’avvenuto rilascio del permesso di demolizione e di ricostruzione non possono qualificare la cessione di un fabbricato come una cessione di terreno, con conseguente tassazione della plusvalenza”;
4. Il ricorso va dunque accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la controversia può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, 2° comma, cod.proc.civ., con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.
5. Le spese dei gradi di merito vanno compensate mentre quelle del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della controricorrente, e vanno liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte accoglie, nei termini di cui in motivazione, il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.
Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito.
Condanna la controricorrente al pagamento in favore del ricorrente delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in € 5.600,00 oltre esborsi per € 200,00, rimborso forfetario nella misura del 15 % degli onorari, iva e c.p.a.