Corte di Cassazione ordinanza n. 19208 del 15 giugno 2022
ricorso in cassazione – violazione di legge
RILEVATO
Ricorre la soc. contribuente avverso la sentenza della CTR per l’Emilia-Romagna che ha confermato la pronuncia della CTP di Bologna ove non erano apprezzate le ragioni della parte privata in tema di agevolazioni per le società sportive dilettantistiche.
Il ricorso affidato a tre motivi cui controdeduce la parte pubblica.
La curatela della società ricorrente, medio tempore dichiarata fallita, ha depositato istanza di trattazione urgente.
CONSIDERATO
Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 90 1. n. 289/2002, art. 148, terzo comma, TUIR, dell’art. 4, comma quarto, d.P.R. n. 633/1972 e degli art. 67, lett. m), e 69 TUIR, per non aver applicato alla società ricorrente i requisiti dell’associazione sportiva dilettantistica.
Il motivo non coglie la ratio deàdendi, ove si evidenzia il carattere assolutamente fittizio della soc. contribuente, inserita 1n un meccanismo di gestione di palestre con numeri, fatturato e impianti gestiti che travalica il carattere dilettante. Donde il motivo è inammissibile.
Con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c. e 42 d.P.R. n. 600/1973 per pronuncia ultra petita, avendo rigettato l’appello facendo riferimento anche ad asserite divisioni di utili, ove gli atti impositivi motivavano sulla natura commerciale.
Più precisamente, la CTR ha fatto riferimento ad asserite azioni di divisione degli utili per escluderne la sussistenza, con una circostanza che ove riscontrata, avrebbe secondo la CTR “smascherato la reale intenzione di arricchimento (cfr. pag. 29 dell’impugnata sentenza). Conseguentemente, non costituendo ratio decidendi, il motivo è inammissibile.
Con il terzo motivo si avanza censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c., dell’art. 42 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 90 1. n. 289/2002, per aver la CTR argomentato e dichiarato esservi “attività con le modalità proprie dell’operatore di mercato”, quando gli atti impositivi fa riferimento unicamente alla “natura commerciale” della contribuente.
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, tn via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 m. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846;
Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Pertanto, il ricorso è inammissibile e tale va dichiarato;
le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio di legittimità a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in €. settemilatrecento/00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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