Corte di Cassazione ordinanza n. 19216 del 15 giugno 2022
notifica a mezzo pec della cartella di pagamento – equivalenza dei documenti informatici e delle firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” avente estensioni “.p7m” e “.pdf” – validità ed efficacia della firma per autentica della procura speciale
RILEVATO CHE
– T.C. s.r.l. in persona del legale rappresentante p.t., propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, aveva rigettato l’appello proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate e di Agenzia delle entrate – riscossione in persona dei Direttori pro tempore, avverso la sentenza n. 32/07/2019 della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno di rigetto del ricorso proposto dalla società avverso la cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato, ai sensi degli 36bis del d.P.R. n. 600/73 e S4bis del d.P.R. n. 633/72, della dichiarazione per l’anno di imposta 2013, ai fini Ires e Iva;
– l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate – riscossione resistono con controricorso;
-sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
CONSIDERATO CHE
-con il primo motivo si denuncia “Violazione di leqge per omessa, insufficiente, contraddittoria o perplessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo. Violazione o falsa applicazione del d.lgs. n. 82 del 2005, artt. 23 e 24” per non avere la CTR dichiarato l’inesistenza della notifica della cartella di pagamento in questione, mancante di attestazione di conformità dell’atto analogico a quello digitale notificato, trasmessa alla contribuente in formato PDF, priva di c.d. firma digitale;
– va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di ricorso per difetto di autosufficienza, essendo l’esposizione dei fatti di causa chiara e comprensibile, oltre che sufficientemente completa, con espressa menzione degli atti processuali su cui si fonda;
-ugualmente priva di pregio si profila l’eccezione di inammissibilità del motivo per novità dello stesso, avendo la società contribuente – come si evince dalla sentenza impugnata (pag. 2) – proposto in appello la censura, in termini ampi, di nullità della notifica della cartella eseguita a mezzo Pec;
-in disparte l’inammissibilità del cumulo tra censure per violazioni di legge e per vizi motivazionali senza però distinguere tra di essi nell’illustrazione del motivo (cfr. Cass. n. 18242 del 2003 e n. 4610 del 2016 Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26790 del 23/10/2018; Sez. 1-, Sentenza n. 39169 de/09/12/2021) il motivo sviluppato, nella specie, sostanzialmente soltanto in termini di violazione di legge1è infondato;
-questa Corte ha affermato, nell’ordinanza n. 30948 del 2019 che «Com’è noto, l’art. 26, comma secondo, del d.p.r. n. 602 del 1973 come aggiunto dall’art. 38, comma 4, lettera b), del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nel testo applicabile ratione temporis, prevede che la notifica della cartella di pagamento «può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, 2 di 6 a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. Tali elenchi sono consultabili, anche in via telematica, dagli agenti della riscossione. Non si applica l’articolo 149-bis del codice di procedura civile». A sua volta l’art. 1, lett. f), del d.p.r. n. 68 del 2005, definisce il messaggio di posta elettronica certificata, come «un documento informatico composto dal testo del messaggio, dai dati di certificazione e dagli eventuali documenti informatici allegati». La lett. i-ter), dell’art. 1 del CAD – inserita dall’art. 1, comma 1, lett. c), del d.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 -, poi, definisce «copia per immagine su supporto informatico di documento analogico» come «il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico», mentre la lett. lett. i-quinquies), dell’art. 1 del medesimo CAD – inserita dall’art. 1, comma 1, lett. c), del d.Lgs:. 30 dicembre 2010, n. 235 -, nel definire il «duplicato informatico» parla di «documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario». Dunque, alla luce della disciplina surriferita, la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d.. “copia informatica”)». Nel caso esaminato dalla Corte nella predetta ordinanza il concessionario della riscossione aveva «provveduto a inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato PDF (portable document format) – cioè il noto formato di file usato per creare e trasmettere documenti, attraverso un software comunemente diffuso tra gli utenti telematici -, realizzato in precedenza mediante la copia per immagini di una cartella di pagamento composta in origine su carta». La Corte, sulla base della predetta normativa ha escluso la denunciata illegittimità della notifica della cartella di pagamento eseguita a mezzo posta elettronica certificata, «per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente via PEC,, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico». A tal riguardo deve anche ricordarsi l’insegnamento nomofilattico (Cass., Sez. U., n. 10266 del 2018) secondo cui «In tema di processo telematico, a norma dell’art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014, di cui all’art. 34 del d.. m. n. 44 del 2011 – Ministero della Giustizia -, in conformità agli standard previsti dal Regolamento UE n. 910 del 2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse e equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”. Tale principio di equivalenza si applica anche alla validità ed efficacia della firma per autentica della procura speciale richiesta per il giudizio in cassazione, ai sensi degli artt. 83, comma 3, c.p.c., 18, comma 5, del d.m. n. 44 del 2011 e 19 bis, commi 2 e 4, del citato decreto dirigenziale»;
-orbene, come condivisibilmente affermato da Cass. n. 6417 del 2019,
«tale principio di equivalenza si applica anche alla validità ed efficacia della firma per autentica della procura speciale richiesta per il giudizio in cassazione, ai sensi degli artt. 83, comma 3, c.p.c., 18, comma 5, del d.m. n. 44 del 2011 e 19 bis, commi 2 e 4, del citato decreto dirigenziale (Cass. 27 aprile 2018, n. 10266), dovendosi altresì tenere conto che è stato affermato che la natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria; sicché, stante il rinvio disposto dall’art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973 (in tema di notifica della cartella di pagamento) all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile», non vi è ragione per non estendere anche alla cartella di pagamento l’applicazione di tale principio. Se a ciò si aggiunge che «In caso di notifica a mezzo PEC, la copia su supporto informatico della cartella di pagamento, in origine cartacea, non deve necessariamente essere sottoscritta con firma digitale, in assenza di prescrizioni normative di segno diverso» (Cass. n. 30948 del 2019; n. 36462 del 2021), allora è ben evidente la conformità ai suddetti principi della statuizione d’appello che non ritiene necessaria una comunicazione pec con estensione “.p7m” del file atteso che la consegna telematica aveva comunque comportato la conoscenza dell’atto e determinato il raggiungimento dello scopo legale;
-con il secondo motivo si denuncia in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. per avere la CTR liquidato le spese di giudizio a favore dell’Agenzia ancorché quest’ultima non fosse costituita a mezzo dell’Avvocatura dello stato o con un legale ma con dei funzionari delegati dell’ufficio legale;
-il motivo è infondato;
-al riguardo vanno richiamati, in questa sede, i principi di diritto recentemente affermati da questa Corte (cfr. Cass. n. 4473/2021, n. 20590 del 2021);
– l’art. 15 co. 2 bis del D.lgs. n. 546/1992, vigente ratione temporis (in forza delle modifiche apportate dal I. 24 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla legge 24.3.2012 n. 27), dispone, infatti, che, nel caso in cui la parte pubblica, risultata vittoriosa, sia stata assistita da un proprio funzionario o da un proprio dipendente, si applica per la liquidazione il «compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo, ivi previsto», prevedendo espressamente, pertanto, la liquidazione dei compensi per l’attività difensiva svolta in giudizio (cfr. da ultimo Cass. n. 23055/2019);
– a tale citato orientamento questa Corte intende dare continuità, non tralasciando che, di recente, è intervenuto un diverso orientamento giurisprudenziale sul punto;
– con ordinanza n. 27444/2020, infatti, questa Corte, eliminando la statuizione di condanna alle spese processuali, pronunciata dal giudice di merito nei confronti del contribuente, preso atto che l’Agenzia delle Entrate era stata in giudizio senza il ministero del difensore, ha escluso che la parte privata potesse essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Ufficio per diritti e onorari;
– la citata ordinanza, ha escluso, in radice la riconoscibilità dei compensi, per il solo fatto che l’Agenzia delle Entrate era stata in giudizio «senza il ministero di difensore» dovendo conseguentemente «escludersi che la parte privata possa essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Ufficio per diritti e onorari» e tale argomentazione è stata supportata anche dal riferimento alla sentenza n.8413/2016 di questa Corte, con cui si erano ritenuti liquidabili a favore entrambe le decisioni citate non riguardano, tuttavia, la materia tributaria., in quanto nella prima (n. 11389/2011) si verte in materia di opposizione a sanzione amministrativa (con cognizione del Giudice di Pace) per una opposizione ad «un verbale-avviso di accertamento» emesso dal Comune di Roma, in seguito ad una violazione del Codice della Strada, mentre nel secondo caso (n. 18066/2007), si tratta di opposizione, proposta innanzi al Tribunale ordinario, avverso ordinanza ingiunzione, emessa da Azienda Sanitaria, per violazione della normativa prevista in materia di macellazione di bovini, ed anche in quest’ultimo procedimento, invero, questa Corte richiamava espressamente la normativa stabilita «nel procedimento oppositivo di cui alla L. n. 689 del 1981, ove l’amministrazione opposta si sia avvalsa della facoltà di resistere in giudizio “personalmente”, costituendosi a mezzo di un proprio funzionario, come previsto dall’art. 23, comma 4″, riconoscendo come rimborsabili, “ex art. 91 c.p.c., solo gli esborsi concretamente sostenute le spese cd. “generali” o “vive”, ove documentati e richiesti»;
-la normativa tributaria si fonda, tuttavia, su una diversa e più specifica disciplina, in quanto l’art. 15 d.. lgs. 546/92, ha, sempre, normativamente previsto la ripetibilità di dette spese, nell’ipotesi in cui l’attività difensiva sia stata svolta da funzionari dell’amministrazione finanziaria o da dipendenti di enti locali, con alcune varianti attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi;
– come precisato da Cass. n. 20590 1jel 2021, quindi, il tema della condanna alle spese è stata, nel tempo, specificamente affrontato con vari interventi legislativi; il decreto-legge 8 agosto 1996, n. 437, coordinato con la legge di conversione 24 ottobre 1996, n. 556, prevedeva all’art. Art. 12. (Modifiche alla disciplina sul processo tributario) comma 1 lett. b) quanto segue: <<Nella liquidazione delle spese a favore dell’ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari dell’amministrazione, e a favore dell’ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza»; con successiva modifica, a far data dal 1.1.2013, in forza della legge 24 dicembre 2012, n. 228, all’art. 1 comma 32, la disposizione veniva così precisata: «Nell’articolo 15 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, al comma 2-bis le parole: «si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti» sono sostituite dalle seguenti: «si applica il decreto previsto dall’articolo 9, comma 2, del decreto–legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto»;
– infine, con la disposizione attualmente vigente, di cui al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, con decorrenza 01/01/2016, all’art. 9 comma 1 lett. f) n. 2-sexies, attualmente in vigore, si prevede che «nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza»;
– pur con alcune varianti, attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi, il principio della ripetibilità delle spese, in caso di contenzioso con enti, assistiti da propri funzionari, è stato sempre confermato, e per completezza, non va omesso che del tema è stata investita anche la Corte Costituzionale (ord. 8/10/2010, n. 292), che, tuttavia., non ha esaminato la questione nel merito, avendo ritenuto il quesito proposto manifestamente inammissibile per carenza di chiarezza motivazionale nell’ordinanza di rimessione;
considerato che in tutte le disposizioni che si sono succedute, pur mantenendo costante il parametro del compenso spettante agli avvocati, si sia stabilito che il compenso debba essere riconosciuto, è evidente che, in materia tributaria, il processo ha una sua autonomia, non solo per specifiche disposizioni normative, ma anche, evidentemente, per la gestione del processo stesso, che, al di là di quello che avviene nel contesto di altri procedimenti, richiede una particolare competenza nella trattazione, sia che ci si trovi in presenza di difesa tecnica, sia che questa difesa,, sulla base delle stesse norme procedurali, sia svolta da un funzionario o dipendente all’uopo delegato;
sotto altro profilo, va evidenziato come la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 117 del 1999, investita, tra l’altro, del terna della disparità di trattamento tra la normativa di cui all’art. 23 legge n. 689/81 (modifiche al sistema penale) e dell’art. 91 c.p.c., in ragione dell’inoperatività dell’onere delle spese processuali a carico del soccombente, abbia ritenuto la manifesta infondatezza della questione, in ragione del riconoscimento al legislatore della più ampia discrezionalità nel dettare le norme processuali, con il solo limite della non irrazionale predisposizione degli strumenti cli tutela, ed in particolare, la Corte ha affermato che: a) l’istituto della condanna del soccombente al pagamento delle spese di giudizio, pur avendo carattere generale, non ha portata assoluta ed inderogabile; che b) il regolamento delle spese processuali non incide sulla tutela giurisdizionale del diritto di chi agisce o si difende in giudizio; che, infine, c) un modello processuale non necessariamente deve costituire un parametro per un rito diverso, essendo giustificata la non simmetrica costruzione delle norme processuali in tema di spese di lite, allorquando esse si sostanzino in strumenti processuali ricollegati a differenti sistemi, in sé compiuti ed affatto autonomi, diretti a regolare materie non omogenee;
in tal senso, la Corte ha fatto esplicito riferimento al processo tributario (art. 15 d.lgs n. 546/1992), indicandolo come riferimento inidoneo per ritenere sussistente la violazione del principio di uguaglianza tra le norme citate;
-da quanto argomentato, si evince la particolarità normativa prevista in materia di spese e compensi processuali nell’ambito del processo tributario, che, come visto, è stata mantenuta costante nel tempo e che impedisce di decidere in senso difforme, in violazione di una volontà chiaramente espressa dal legislatore, e si deve, quindi, anche in questa sede, in aderenza al dettato normativo, riconoscere come corretta la condanna alle spese in favore dell’amministrazione;
-sulla scorta di quanto precede, il ricorso va pertanto rigettato;
-le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 2.300,00 oltre spese prenotate a debito;
Dà inoltre atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.