Corte di Cassazione ordinanza n. 19507 del 16 giugno 2022
processo tributario – ognuno degli atti impugnabili può essere oggetto di gravame solo per vizi propri, salvo che non si tratti di atti presupposti non notificati
RILEVATO CHE
1. L’Agenzia delle entrate ha impugnato, con un unico motivo, la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito, CTR) di cui in epigrafe, in controversia originata dall’impugnazione di cartella di pagamento n. 0192014 000290909649, per l’importo di euro 7.981.417,08, con la quale si contestava il mancato pagamento delle somme dovute in forza della decisione della Commissione tributaria provinciale, n. n. 203/41/11, passata in giudicato, riguardante l’avviso di accertamento, per l’anno 2003, relativo alla società E. s.r.l. di cui l’I.M. era amministratore di fatto.
2. Si evince dalla narrativa della sentenza impugnata che, con il ricorso originario, il ricorrente lamentava l’illegittimità dell’atto impugnato in quanto, essendosi la società trasferita all’estero dal 9 marzo 2005, la notifica della cartella doveva essere effettuata presso la sede della società all’estero; contestava, inoltre, la qualità di amministratore di fatto della società. L’Agenzia delle entrate eccepiva il giudicato derivante dalla sentenza n. 203/41/11 e, quindi, l’inammissibilità delle contestazioni avversarie poiché riguardanti il merito delle e non i vizi propri della cartella impugnata.
3. La CTP accoglieva il ricorso di I.M.
4. Con la sentenza impugnata, la CTR ha accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate, confermando integralmente la sentenza di prime cure.
5. I.M. ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente, in quanto il suo contenuto rispetta i requisiti formali di cui all’art. 366, 3) e n. 4), cod. proc. civ.
1.1 Con l’unica doglianza, l’Amministrazione erariale denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, 4) cod. proc. civ.. la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 cod. proc. civ. e dell’art. 2909 cod. civ., imputando ai secondi giudici di aver sostanzialmente ribaltato i fatti irrevocabilmente accertati dalla sentenza n. 203/41/11 della Commissione tributaria provinciale di Milano (che aveva qualificato l’I.M. come amministratore di fatto della società e, quindi, soggetto legittimato a ricevere la notifica degli atti impositivi) nonché di aver violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato riguardando il thema decidendum l’impugnazione della cartella di pagamento scaturente dall’iscrizione a ruolo della pretesa fiscale di cui all’avviso di accertamento divenuto definitivo in virtù della sentenza n. 203/41/11.
2. Appare utile ricostruire, brevemente, la vicenda in esame.
2.1 È pacifico che la cartella di pagamento oggetto di impugnazione (riprodotta da ambo le parti nei propri scritti) riguarda l’iscrizione a ruolo delle somme dovute a seguito della sentenza della CTP di Milano n. 203/41/11 ed avente ad oggetto l’avviso di accertamento R1U030901475-2009, per l’anno 2003, relativo alla società E. s.r.l., notificato all’I.M. quale amministratore di fatto.
2.2 Risulta dagli atti (v. ricorso e controricorso) che I.M. impugnò tale cartella, deducendo il vizio di nullità di tale atto per essere «[…] intestato al contrario del prodromico avviso di accertamento alla sola persona fisica che viene quindi ad essere chiamato in causa per imposte ed accessori dell’ente ed a se stesso estranei»; a dire del ricorrente poiché la società E. si era trasferita all’estero, la cartella di pagamento, così come l’originale avviso di accertamento, dovevano essere notificati alla società e non al soggetto, I.M., che non rivestiva la qualità di amministratore di fatto.
2.3 Con la sentenza qui impugnata, la CTR ha rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dall’Agenzia delle entrate ai sensi dell’articolo 19 del d.lgs. 546/92 sul rilievo che con l’impugnazione della cartella il ricorrente ha fatto valere «l’errata individuazione del responsabile d’imposta e di conseguenza l’illegittimità della notifica della cartella esattoriale nei confronti del ricorrente» deducendone: «l’estraneità di quest’ultimo alla pretesa impositiva portata dalla cartella costituisce vizio proprio dell’atto impugnato in quanto tale autonomamente impugnabile dal destinatario del medesimo».
2.4 Su tale considerazione preliminare, la CTR ha respinto l’appello dell’Ufficio perché quest’ultimo non avrebbe provato né i presupposti per la responsabilità personale dell’I.M., quale amministratore della società E., ai sensi dell’articolo 2495 cod. civ. e dell’articolo 36 d.P.R. 602/73, né l’esistenza di una società di fatto tra l’I.M. e tale società.
3. Orbene, non v’è chi non veda come la CTR non solo abbia travalicato il giudicato che ha originato l’iscrizione a ruolo delle somme richieste in pagamento affermando l’applicabilità delle sanzioni all’I.M., quale amministratore di fatto, ma che abbia violato il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, pronunciando su un thema decidendum incompatibile con l’impugnazione della cartella di pagamento.
3.1 Ed invero va data ulteriore continuità all’orientamento di questa Corte secondo cui: «In tema di contenzioso tributario, posto che, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, ognuno degli atti impugnabili può essere oggetto di gravame solo per vizi propri, salvo che non si tratti di atti presupposti non notificati, non è ammissibile l’impugnazione della cartella di pagamento per dolersi di vizi inerenti agli avvisi di accertamento già notificati e non opposti nei termini» (cfr. Sez. 6 – 5, 24/05/2017, n. 13102; id., Sez. 5, 23/05/2018, n. 12759; Sez. 5, 13/10/2011, n. 21082).
3.2 Tale orientamento prende le mosse dai principi consolidati di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 16293 del 2007, secondo cui sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell’art. 19 citato, tutti gli atti con cui un ente pubblico comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, anche qualora tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento, ma con un invito bonario a versare quanto dovuto; da tanto ne consegue che gli atti di riscossione coattiva possono essere contestati solo per vizi propri e non per eccezioni di merito attinenti all’atto di accertamento dal quale è scaturito il debito. In altre parole, una volta che l’accertamento è divenuto definitivo (perché non impugnato entro il termine o per sentenza irrevocabile), gli eventuali vizi dell’atto di accertamento non potranno più essere fatti valere in sede di impugnazione della cartella di pagamento o dell’ingiunzione (conf. v. 5/06/2020 n. 10702; Cass., 13/01/2022, n. 883).
4. In conclusione, il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, – e in ossequio al principio di ragionevole durata del processo – la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, ultima parte cod. proc. civ., con rigetto del ricorso originario proposto dal contribuente.
5. Le spese di lite dei giudizi di merito vengono interamente compensate. Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza del controricorrente e si liquidano come
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di merito. Condanna il controricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in complessivi euro 15.500,00, oltre spese prenotate a debito.