Corte di Cassazione ordinanza n. 19558 depositata il 17 giugno 2022
imposta di successione – trustee e conferimenti – esclusione tassazione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 4685/15, depositata il 2/11/2015, la CTR della Lombardia, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, respingeva l’originario ricorso proposto dal notaio Stucchi contro l’avviso di liquidazione relativo a maggiori importi richiesti a titolo di imposte di donazione, ipotecaria e catastale, riferito ad atto di dotazione dei Trust denominato Immobiliare Gili Lovati, istituito in epoca precedente.
La CTR riteneva che l’Amministrazione avesse correttamente emesso l’avviso nei confronti del trust, in persona del trustee e che le imposte dovessero essere pagate in applicazione dell’art. 2, commi 47 e 49, d.l. n. 262 del 2006, conv. con modif. in . n. 286 del 2006, poichè il trust era riconducibile alla categoria dei vincoli di destinazione.
Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione lii notaio Lorenzo Stucchi, formulando cinque motivi di impugnazione.
L’Agenzia delle entrate si è difesa con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 p.c. ex art. 360, n. 4), c.p.c., per avere la Regionale sostituito alle argomentazioni dell’ufficio ragioni di diritto di diverso contenuto;ciò in quanto, mentre l’Agenzia ha tassato l’atto con l’imposta di donazione sul presupposto dell’arricchimento del trust quale soggetto passivo di imposta, il decidente ha ritenuto che nel caso di specie si fosse in presenza di un vincolo di destinazione soggetto ad imposta di donazione.
2. La seconda censura deduce l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di questione tra le parti, criteri di determinazione della base imponibile- franchigie ex art. 360 n. 5) c.p.c., nonché violazione dell’art. 2, comma 49, l. n. 262 del 2006 e degli artt. 2,10 del d.lgs. n. 347/90; per avere la Regionale omesso di esaminare le doglianze proposte dal ricorrente in merito alla determinazione della base imponibile che avrebbe dovuto essere considerato pari a zero, nonché alla non debenza delle imposte ipotecarie e catastali in assenza di trasferimento immobiliare, oltre a trascurare di valutare le franchigie.
3. Il terzo motivo di ricorso investe la sentenza per violazione degli 2 e 10 del d.lgs 347/90 in relazione all’art. 2, comma, 49, d.. l. 262/2006 ex art. 360, n. 3), c.p.c., per avere la CTR erroneamente applicato le imposte ipotecarie e catastali in misura proporzionale anziché fissa non potendosi ravvisare un vero e proprio contenuto patrimoniale nell’atto costitutivo del trust.
4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell’art. 2, commi 46- 49, l. n. 262 del 2006, dell’art. 53 Cost., nonché dell’art. 2 della L. 212/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., per avere la CTR ritenuto il trust assoggettabile alle imposte sui vincoli di destinazione, ipotecaria e catastale, mentre invece doveva escluderlo dalla tassazione, dato che non partecipava ad alcuno specifico arricchimento, ancor più evidentemente nel caso di specie, ove erano stati indicati i beneficiari finali.
Assume al riguardo che la dotazione del trust è finalizzato alla realizzazione dell’effetto finale successivo che si determina nell’attribuzione definitiva del bene al beneficiario.
5. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione della 364/89 di ratifica della convenzione dell’Aja 1/7/1985, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., perché la CTR avrebbe erroneamente assimilato la costituzione del trust ai vincoli di destinazione, mentre, al contrario, il trust non è un negozio destinatorio né dunque un vincolo di destinazione ma un negozio gestorio, storicamente regolato dalla common low.
6. Osserva la Corte che vanno esaminati il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso poiché, in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” – desumibile dagli artt. 24 e 111 – deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale. Ciò in considerazione del fatto che si impone un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, ed è consentito sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 cod. proc. civ., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre (Cass. Sez. U, n. 9936 del 08/05/2014; Cass. n. 12002 del 28/05/2014).
7. Detti motivi sono fondati, assorbiti gli altri.
Dalle allegazioni contenute nel ricorso per cassazione, confermate dalla sentenza impugnata, si evince che oggetto di imposizione sono stati quattro atti di dotazione di diversi trust ed un atto costitutivo del trust Argo, con lo scopo di gestire i beni in esso conferiti per poi devolverli ai beneficiari, preventivamente individuati.
L’art. 2, d.l. n. 262 del 2006, conv. con modif. in l. n. 286 del 2006, al comma 47 ha istituto l’imposta sulle successioni e donazioni «sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54». Nel reintrodurre nell’ordinamento l’imposta sulle successioni e donazioni (abrogata dall’art. 13 l. n. 383 del 2001) la norma appena riportata ha rimodulato la configurazione del tributo, ampliandone la base impositiva con l’inclusione di tutti i trasferimenti a titolo gratuito ed anche degli atti con cui si costituiscono vincoli di destinazione. È evidente che l’estensione dell’imposizione al più ampio genus degli atti a titolo gratuito (rispetto alla species delle sole liberalità previste in origine dall’art. 1 del d.lgs. n. 346 del 1990) conduce a correlare il presupposto del tributo all’accrescimento patrimoniale (senza contropartita) del beneficiario, anziché all’animus donandi, che infatti difetta negli atti a titolo gratuito diversi dalle liberalità. Anche per quanto riguarda la costituzione dei vincoli di destinazione, questa Corte, superando le incertezze interpretative originariamente sorte, è oramai consolidata nel ritenere che l’art. 2, comma 47, cit. abbia mantenuto, come presupposto impositivo, quello stabilito dall’art. 1 d.lgs. n. 346 del 1990, e cioè il “reale trasferimento” di beni o diritti, e quindi il “reale arricchimento” dei beneficiari, aggiungendo espressamente, tra gli atti suscettibili d’imposizione (oltre ai trasferimenti a titolo gratuito, anche) la costituzione dei vincoli di destinazione, per evitare che un’interpretazione restrittiva, determinata dal rinvio all’abrogato d.lgs. n. 346 del 1990, potesse portare, in tali ipotesi, all’esclusione dell’imposta, che invece non era contemplata nel d.lgs. n. 346 del 1990, semplicemente perché, all’epoca, la costituzione di tali vincoli non era ancora prevista nel nostro ordinamento (così Cass., Sez. 5, n. 1131 del 17/01/2019; v. anche Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019 e, in motivazione, Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020).
Tale soluzione risponde alla necessità di operare una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame (artt. 53 e 23 Cost.), attribuendo giusto rilievo al fatto che l’imposta disciplinata dal d.lgs. n. 346 del 1990, richiamato dall’art. 2, comma 47, sopra riportato, non può non essere posta in relazione con “un’idonea capacità contributiva”.
Pertanto, nell’ambito concettuale dei negozi costitutivi di vincoli di destinazione sono senza dubbio compresi gli atti di destinazione di cui all’art. 2645 ter c.c., come pure qualsiasi atto volto alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, e dunque anche l’istituzione di un trust (v. infra), ma ciò non è sufficiente a giustificare l’applicazione dell’imposta in questione, perché deve operarsi un effettivo trasferimento di ricchezza, che sia indice di un’acquisita maggiore capacità contributiva. Come più volte evidenziato da questa Corte (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020; n. 29507/2020; n. 8719 /2021), ferma restando l’indubbia discrezionalità del legislatore nell’individuare i presupposti del tributo, quest’ultimo deve pur sempre muoversi in un ambito di ragionevolezza, e di non arbitrio (Corte Cast., sentenza del 15/05/2015, n. 83), perché la capacità contributiva, in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese, esige l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza (così Corte Cast., ordinanza 28/11/2008, n. 394).
Secondo l’art. 2 della Convenzione dell’Aja del 10 luglio 1985, ratificata con la L. n. 364 del 1989, con l’espressione trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – ponendo dei beni sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato. Tale figura assume connotazioni diverse a seconda delle modalità con cui viene istituito, delle finalità che persegue e dei soggetti che rivestono le diverse figure (settlor, trustee, guardian, ecc… ). Vi sono però alcuni elementi caratterizzanti comuni, i quali possono essere individuati: 1) nel nucleo causale unitario costituito dalla combinazione dello scopo di destinazione con quello, ad esso strumentale, di segregazione patrimoniale; 2) nell’attuazione del vincolo di destinazione mediante intestazione meramente formale dei beni al trustee ed attribuzione al medesimo di poteri gestori e di disposizione circoscritti e mirati allo scopo; 3) nell’attribuzione al beneficiario (ove esistente) di una posizione giuridica che non è di diritto soggettivo, ma di aspettativa o di interesse qualificato ad una gestione conforme alla realizzazione dello scopo (così, in motivazione, Cass., Sez. 5, n. 16699 del 21/06/2019). Come sopra evidenziato, il trust non è dotato di una propria personalità giuridica e il trustee è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non in qualità di legale rappresentante del trust, ma come colui che dispone dei beni e dei diritti in esso conferiti in conformità alle istruzioni e in coerenza con lo scopo a cui il patrimonio è destinato. È pertanto evidente il carattere fiduciario del rapporto fra disponente e trustee, il quale acquista la proprietà dei beni o dei diritti conferiti nel trust, non a proprio vantaggio – perché non incrementano il suo patrimonio personale, ma restano separati e segregati – ma per compiere gli atti di gestione (e, se previsti, di disposizione), che consentano di realizzare lo scopo per il quale il trust è stato istituito, non nell’interesse proprio, ma di terzi. Come emerge da quanto appena evidenziato, l’istituzione del trust e la destinazione ad esso di beni o diritti non implicano, da soli, un effettivo incremento di ricchezza in favore del trustee, nei termini sopra evidenziati, e pertanto non possono costituire un indice di maggiore forza economica e capacità contributiva di quest’ultimo. I beni e i diritti non sono a lui attribuiti in modo definitivo, essendo egli solo tenuto solo ad amministrarli e a disporne (se richiesto), in regime di segregazione patrimoniale, in vista del trasferimento che dovrà poi compiere. Né può ritenersi che la dotazione del trust – così come la sua costituzione – produca un effetto incrementativo della capacità contributiva del disponente, il cui patrimonio non subisce alcun miglioramento. E, non si può neanche affermare, almeno in via generale, che, grazie alla sola costituzione del trust, i terzi beneficiari, ove esistenti, acquisiscano già un qualche incremento patrimoniale, che comporta una maggiore capacità contributiva, verificandosi tale effetto migliorativo nella sfera giuridica di questi ultimi solo quando il trustee abbia portato a termine l’attività ad esso demandata, per la quale ha ottenuto l’attribuzione strumentale e temporanea della titolarità dei beni. La strumentalità dell’atto istitutivo e di dotazione del trust ne giustifica pertanto, nei termini indicati, la neutralità fiscale, tenuto conto che l’indice di ricchezza, al quale deve sempre collegarsi l’applicazione del tributo, non prende consistenza prima che il trust abbia attuato la propria funzione (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020). L’apposizione del vincolo sui beni conferiti nel trust, in quanto tale, determina l’utilità rappresentata dalla separatezza dei beni (limitativa della regola generale di cui all’art. 2740 c.c.), la quale non concreta, di per sé, alcun effettivo e definitivo incremento patrimoniale in capo al trustee, ma soltanto al beneficiario finale, ove esistente, ma in un momento successivo, quando il trust ha raggiunto lo scopo per cui è stato costituito. Prima di questo momento, l’utilità, insita nell’apposizione del vincolo, si risolve, dal lato del conferente, in un’autorestrizione del potere di disposizione, mediante la segregazione e, dal lato del trustee, in un’attribuzione patrimoniale meramente formale, separata dai beni personali del trustee. Come sopra evidenziato, tenendo come parametro l’art. 53 Cost., occorre circoscrivere l’applicazione dell’art. 2, comma 47, cit., correlandola, in senso restrittivo, al rilievo della capacità contributiva comportata dal trasferimento del bene, sicché, quando il conferimento costituisce un atto sostanzialmente neutro, che non arreca un reale e stabile incremento patrimoniale al beneficiario meramente formale della attribuzione, resta esclusa la ricorrenza di un trapasso di ricchezza suscettibile di imposizione indiretta (così da ultimo Cass., Sez. 5, n. 1131 del 17/01/2019; v. anche Cass., Sez. 5, n. 11401 del 30/04/2019, in tema di trasferimento dal mandante al mandatario di un bene immobile oggetto di mandato a vendere).
Pertanto, in questa materia, né l’istituzione del trust e né il conferimento in esso dei beni che ne costituiscono la dotazione integrano, da soli, un trasferimento imponibile, costituendo invece atti neutri, che non danno luogo ad un passaggio effettivo e stabile di ricchezza.
In questi casi, l’imposta sulle successioni e donazioni, prevista dall’art. 2, comma 47, cit. è dovuta non al momento dell’istituzione del trust o in quello di dotazione patrimoniale dello stesso, fiscalmente neutri, ma semmai in seguito, al momento dell’eventuale trasferimento dei beni o dei diritti a terzi, perché, come sopra evidenziato, solo tale atto costituisce un effettivo indice di ricchezza ai sensi dell’art. 53 Cost. (così Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019; Cass., Sez. 5, n. 16699 del 21/06/2019). In sintesi, il trustee acquista sì la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma non gode delle facoltà tipiche del proprietario e non acquisisce alcun vantaggio per sé, assumendo la titolarità di tali beni solo per poter compiere gli atti di gestione e di disposizione necessari al raggiungimento dello scopo per cui il trust è stato istituito. A prescindere dalle diverse finalità per cui il trust, può essere impiegato (successorio, familiare, liquidatorio, ecc.. ), ciò che rileva, ai fini della individuazione della misura delle imposte dovute, è il meccanismo astratto sopra descritto presente ogni volta in cui è effettuata tale operazione negoziale. Il trustee acquista la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma si tratta di un trasferimento strumentale, perché finalizzato al perseguimento degli scopi indicati nell’atto costitutivo del trust, che non incrementa il patrimonio personale del trustee, perché i beni trasferiti restano separati, e segregati, essendo destinati a restare temporaneamente sotto il controllo del trustee prima della destinazione ai beneficiari finali.
Con la dotazione del trust, il disponente non vuole arricchire il trustee, il cui patrimonio personale non trae infatti alcun vantaggio, tenuto conto che i beni restano segregati, ma vuole che quest’ultimo abbia tutti i poteri per gestire e disporre di tali beni, in modo tale da poter attuare le finalità per cui il trust è stato istituito, a vantaggio dei beneficiari finali. Il trasferimento dei beni al trustee avviene pertanto in via strumentale e temporanea e, in conformità all’orientamento già espresso da questa Corte, sopra riportato, non determina effetti traslativi in favore del trustee, nei significato rilevante ai fini dell’imposizione, quale effettivo e stabile passaggio di ricchezza, poiché non comporta l’attribuzione definitiva dei beni a vantaggio di quest’ultimo, che è tenuto solo ad amministrarli e a custodirli e, a volte, a venderli, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del perseguimento dello scopo del trust.
8. Com’è noto, l’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 347 del 1990, ha stabilito che «le formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione eseguite nei pubblici registri immobiliari sono soggette all’imposta ipotecaria secondo le disposizioni del presente decreto e della allegata tariffa». All’art. 4 di tale tariffa è, poi, precisato che la trascrizione di atti o di sentenze, che non importano trasferimento di proprietà di beni immobili né costituzione o trasferimento di diritti reali immobiliari, è soggetta all’imposta fissa ivi indicata. Analogamente, l’art. 10 del medesimo d.lgs. ha stabilito che «Le volture catastali sono soggette all’imposta del 10 per mille sul valore dei beni immobili o dei diritti reali immobiliari determinato a norma dell’art. 2, anche se relative a immobili strumentali … .. L’imposta è dovuta nella misura fissa di euro 168,00 per le volture eseguite in dipendenza di atti che non importano trasferimento di beni immobili né costituzione o o trasferimento di diritti reali immobiliari … omissis».
9. L’atto soggetto a trascrizione, ma non produttivo di effetto traslativo postula dunque l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa. Come sopra evidenziato, il trustee acquista sì la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma non gode delle facoltà tipiche del proprietario e non acquisisce alcun vantaggio per sé, assumendo la titolarità di tali beni solo per poter compiere gli atti di gestione e di disposizione necessari al raggiungimento dello scopo per cui il trust è stato istituito.
10. Il trustee acquista la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma si tratta di un trasferimento strumentale, perché finalizzato al perseguimento degli scopi indicati nell’atto costitutivo del trust, che non incrementa il patrimonio personale del trustee, restando i beni trasferiti separati, e segregati, in quanto destinati a restare temporaneamente sotto il controllo del trustee prima della destinazione ai beneficiari finali. Come già evidenziato, deve dunque ritenersi che il conferimento dei beni in trust non determina effetti traslativi in favore del trustee, nel significato rilevante ai fini dell’imposizione, quale effettivo e stabile passaggio di ricchezza, poiché non comporta l’attribuzione definitiva dei beni a vantaggio di quest’ultimo, che è tenuto solo ad amministrarli e a custodirli e, a volte, a venderli, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del perseguimento dello scopo del trust. È per questo che detto atto deve ritenersi soggetto a tassazione in misura fissa, sia per quanto attiene all’imposta ipotecaria che a quella catastale (così Cass., Sez. 5, n. 975 del 17/01/2018; da ultimo, v. anche Cass., Sez. 6-5, n. 30821 del 26/11/2019; Cass., Sez. 6-5, n. 2902 del 07/02/2020; Cass., Sez. 6-5, n. 7003 dell’ll/03/2020; Cass.. Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020; Cass., Sez. 6-5, n. 9601 del 25/05/2020).
7. L’accoglimento del terzo e quarto motivo di impugnazione, comportando l’esclusione dell’applicazione dell’imposta proporzionale ( ma non della imposta in misura fissa) agli atti di dotazione dei trust nonché all’atto costitutivo del trust, rende superfluo l’esame dei restanti motivi, che devono pertanto ritenersi assorbiti. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito, a norma dell’art. 384, comma 2, c.p.c., e, il ricorso originario del professionista deve essere accolto.
8. Le spese di lite devono essere interamente compensate, tenuto conto dell’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte in pendenza del presente giudizio di legittimità.
P.Q. M.
La Corte accoglie il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, assorbiti i restanti- cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del notaio;
– compensa interamente tra le parti le spese di lite.