Corte di Cassazione ordinanza n. 19702 del 17 giugno 2022
IVA – detraibilità – operazione di sale and sale back
RILEVATO CHE
– C.M., titolare dell’omonima ditta individuale, impugnava un avviso di accertamento, emesso per l’anno d’imposta 2006, con il quale veniva rettificata la dichiarazione IVA ex art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, disconosciuto il credito derivante dall’acquisto di un bene strumentale e recuperato il relativo imponibile ai fini IRAP;
– la CTP di Bari accoglieva il ricorso;
– l’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione e la CTR della Puglia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello;
– la CTR rilevava la liceità dell’operazione che era consistita nell’alienazione alla G. s.p.a. e nell’immediato riacquisto dalla stessa società del medesimo bene strumentale (un aratro – anno di fabbricazione 2002), ad un prezzo superiore (da corrispondere con pagamento immediato parziale e, per la restante parte, con 60 rate mensili nell’arco di cinque anni, sulla base di un contratto di finanziamento), allo scopo di acquisire liquidità immediata e di conservare al contempo l’uso del bene, senza, quindi, che fosse prevista la sua movimentazione fisica;
– la complessa operazione realizzata, resa necessaria dall’esigenza di reperire risorse finanziarie per l’attività aziendale e di mantenere contestualmente, in capo all’imprenditore, la disponibilità del bene strumentale, era stata ritenuta valida ed effettiva; il giudice del gravame non ravvisava alcuna condotta elusiva o fraudolenta ai fini dell’IVA, in quanto la compensazione era avvenuta in modo regolare, e riteneva che, qualora non si ammettesse la detrazione d’imposta relativa al riacquisto del bene strumentale, si concretizzerebbe una inammissibile duplicazione impositiva, in palese violazione del principio di neutralità dell’IVA;
– l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione, con un motivo;
– il contribuente resiste con controricorso, illustrato con memoria;
CONSIDERATO CHE
– con l’unico motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 10, 19, 21, comma 7 del d.P.R. n. 633/1973 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’operazione non fosse fittizia, perché posta in essere allo scopo (legittimo) di finanziare l’azienda, mentre il contribuente, in realtà, attraverso un’operazione oggettivamente inesistente (la vendita simulata del bene strumentale), si era precostituito un credito IVA (risultante dalla fattura di acquisto di un bene mai ceduto), con conseguente danno per l’Erario;
– preliminarmente va disattesa l’eccezione del controricorrente di inammissibilità del motivo, per difetto di autosufficienza (per non avere l’Ufficio ricorrente trascritto i documenti da quali si evincerebbe che il pagamento per il riacquisto del bene sia stato effettuato a mezzo cambiali facendo ricorso alla c.d. legge Sabatini);
– poiché la vicenda riguarda l’inesistenza oggettiva della cessione del bene, sono irrilevanti sia la finalità del finanziamento che il mezzo con il quale il bene fittiziamente riacquistato sarebbe stato pagato;
– ciò premesso, la censura è fondata;
– sul punto va riaffermato il recente indirizzo di questa Sezione tributaria (Cass. 9.03.2020, n. 6526), riguardante un’analoga controversia in materia di sale and sale back, secondo il quale: «Ai sensi degli artt. 10, par. 2, e 17, par. 1, della sesta direttiva 77/388/CEE, “in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra degli affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme”, applicabile alle operazioni in esame ratione temporis, il diritto alla detrazione nasce quando l’imposta detraibile diventa esigibile, ossia all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi. Da ciò consegue che il diritto a detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi, con l’effetto ulteriore che, in difetto della cessione effettiva dei beni ovvero della prestazione, dei servizi, un siffatto diritto non può sorgere, non essendo sufficiente che di essa sia fatta menzione nella relativa fattura. Ne deriva che il diritto alla detrazione è subordinato alla condizione che le operazioni corrispondenti siano state effettivamente realizzate, non ostandovi il principio della neutralità fiscale, il quale, costituendo la traduzione del principio generale della parità di trattamento, consente – appunto – un trattamento differenziato degli operatori economici in assenza di operazioni imponibili rispetto a quelli che hanno posto in essere un’operazione imponibile effettivamente realizzata (Corte UE 27.6.2018, SGI). Per completezza, si aggiunge che il principio della neutralità fiscale non osta al diniego di detrarre l’IVA a monte opposto al destinatario di una fattura, a ragione dell’assenza di un’operazione imponibile, anche se, nell’avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente della fattura, l’IVA dichiarata da quest’ultimo non è stata rettificata (Corte UE 31.1.2013, LVK). Il diritto alla detrazione dell’IVA. richiede, dunque, quale sua condizione sostanziale che l’operazione imponibile sia effettivamente realizzata, indipendentemente dagli scopi e dai risultati della stessa, senza che l’Amministrazione finanziaria sia obbligata a procedere ad indagini dirette ad accertare la volontà del soggetto passivo, o a tener conto dell’intenzione di un operatore, diverso dal soggetto passivo, che intervenga nella stessa catena di cessioni (Corte UE 27.6.2018, SGI; 21.11.2013, Dixons Retail). La buona o mala fede del soggetto passivo che chiede la detrazione dell’IVA non incide infatti sulla questione se la cessione sia effettuata ai sensi dell’art. 10, par. 2 della sesta direttiva sopra menzionata. Sotto altro aspetto, poi, si rileva che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede dell’operatore, il quale sa di certo se e in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per cui ha versato il corrispettivo (così Cass. ord. 14.9.2016 n. 18118)”.
– non essendo ravvisabile nel caso in esame una cessione imponibile ai fini dell’IVA, va escluso l’esercizio del diritto di detrazione (cfr. anche Cass. 24.06.2021, 17710);
– parimenti fondata è la pretesa erariale concernente il versamento dell’IVA esposta nella fattura di vendita, posto che, secondo la disposizione di cui all’art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633/1972, “se viene emessa fattura per operazioni inesistenti … l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”;
– pertanto, la semplice emissione del documento contabile, completo in tutti i suoi elementi formali, in quanto suscettibile di essere utilizzato a fini fiscali – o ad altri fini giuridicamente rilevanti – ove non sia stato tempestivamente eliminato e sottratto al commercio giuridico determina l’insorgenza del rapporto impositivo (Cass. 14.2.2019, n. 4344; Cass. 27.5.2015, n. 10939);
– sempre secondo l’indirizzo giurisprudenziale prima richiamato, ciò non si pone in contrasto con il principio di neutralità dell’IVA in quanto l’art. 21 n. 1 lett. c) della ricordata sesta direttiva – laddove prevede che l’IVA esposta nella fattura sia dovuta indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione soggetta ad IVA – mira ad eliminare il rischio di perdita del gettito fiscale che può derivare dal diritto a detrazione previsto dall’art. 17 della sesta direttiva, prevalendo, dunque, la funzione ripristinatoria conseguente all’eliminazione dell’anomalia creata in difetto di rettifica od annullamento della fattura concernente dati difformi dalla realtà dell’operazione economica (Corte UE 31.1.2013, Stroy Trans; 18.6.2009, Stadeco);
– la sentenza impugnata è, dunque, errata, avendo ritenuto non provata l’inesistenza della cessione, che invece era insussistente;
– il ricorso deve essere, pertanto accolto e la sentenza cassata;
– non essendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto, la controversia può essere decisa nel merito con rigetto dell’originario ricorso del contribuente;
– le spese dei gradi di merito devono essere compensate tra le parti, in considerazione dell’evoluzione della giurisprudenza, anche unionale, in materia, mentre quelle di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente.
Compensa le spese dei gradi di merito e condanna il contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.300,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
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