Corte di Cassazione ordinanza n. 19742 del 20 giugno 2022
dichiarazione di successione – omessa – azione accertatrice – decadenza – azione di riscossione
RITENUTO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe la CTR del Lazio ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e rigettato l’originario ricorso della contribuente, relativo alla liquidazione della maggiore imposta di successione di Raffaele P., deceduto in data 24/6/1998, notificata in data 11/12/2009 a P.G., a seguito di presentazione, in data 11/12/2009, della denuncia di successione da parte del coerede P.P., per la madre C.S..
Avverso la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, formulando quattro motivi d’impugnazione.
L’Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva, riservandosi di partecipare, ai sensi dell’art. 370, comma 1, c.p.c., alla udienza di discussione.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 3, n. 3, l. n. 212 del 2000, 3, 24 e 97, Cast., per non avere la CTR ritenuto soggetto a decadenza e prescrizione il potere impositivo dell’Ufficio.
Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza, per omessa pronuncia sulla dedotta questione di legittimità costituzionale delle norme che regolano la materia oggetto di giudizio e, in particolare, l’art. 27, n. 6, d.lgs. n. 346 del 1999. Evidenzia che l’accertamento dell’imposta di successione deve avvenire in un determinato lasso di tempo e che l’interpretazione data dal giudice di appello al comma 6 dell’art. 2, d.lgs. n. 346 del 1999…. determina una illegittima proroga del termine di decadenza entro il quale deve essere esercitato il potere impositivo. Ripropone, altresì, la questione di legittimità costituzionale della predetta disposizione per evidente disparità di trattamento, mancato rispetto dell’esigenza di certezza del diritto nonché del diritto di difesa, come dei principi di buon andamento ed imparzialità dall’Amministrazione.
Con il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 42, d.p.r. n. 600 del 1973 e 97 Cost., per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento impugnato anche se non sottoscritto dal capo dell’Ufficio o da altro funzionario della carriera direttiva dal primo validamente delegato.
Con il quarto motivo deduce, in relaziione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 e.e., per non avere la CTR ritenuto onerata l’Amministrazione finanziaria della dimostrazione della regolarità e correttezza dell’atto impugnato, con riferimento al funzionario che materialmente lo ha sottoscritto. Evidenzia che il giudice di appello ha trascurato di considerare che, alla luce della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale e della prevalente giurisprudenza, la mancata osservanza di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 42, d.p.r. n. 600 del 1973, determina la nullità dell’avviso di accertamento e che, nella fattispecie esaminata, difetta la prova della delega in capo al funzionario il cui nominativo era riportato nell’atto impositivo.
Le ultime due censure, che vanno esaminate prioritariamente e congiuntamente, sono inammissibili e comunque infondate.
Sussiste, ad avviso della contribuente, il dedotto vizio di sottoscrizione dell’impugnato avviso di accertamento e liquidazione dell’imposta di successione perché non risulta provata dall’Amministrazione finanziaria l’esistenza di una deleçia nominativa al funzionario della terza area che ha provveduto a sottoscrivere l’atto.
La sentenza di appello è conforme al principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui “In tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell‘art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito dalla l. n. 44 del 2012“. (Cass. n. 5177/2020).
Quanto agli ulteriori profili censori, va rilevato che i motivi di ricorso qui esaminati, per come risultano formulati, non consentono di individuare, richiamandone i contenuti, la portata del ricorso introduttivo e di quello in appello, né tantomeno l’impugnata sentenza affronta la questione dell’onere della prova al riguardo agitata dalla P., né, infine, l’odierna ricorrente chiarisce quando avrebbe sottoposto la specifica questione al giudice di merito, come era suo onere fare per evitare l’inammissibilità per novità della censura. (Cass. n. 25546/2006, n. 17049/2015, n. 8206/2016, 17515/2017).
Anche le prime due censure sono infondate.
Quanto alla prima, la ricorrente non considera che l’art. 27, commi 4 e 6, d.lgs. n. 346 del 1990, dopo aver fissato in cinque anni dall’apertura della successione il termine di decadenza per procedere alla liquidazione d’ufficio dell’imposta, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione di successione, precisa che l’intervenuta decadenza non dispensa dal pagamento dell’imposta (“l’imposta è dovuta anche se la dichiarazione è presentata oltre il termine di decadenza stabilito dal comma 4; in questo caso le disposizioni dei commi 2, 3 e 5 si applicano con riferimento a tale dichiarazione.”), ove sia presentata volontariamente la dichiarazione di successione.
In altri termini, una volta decorsi cinque anni dall’apertura della successione, l’Amministrazione non può più procedere alla liquidazione d’ufficio dell’imposta di successione, tuttavia, il contribuente resta giuridicamente obbligato al pagamento della stessa se è ha provveduto a presentare la dichiarazione di successione (Cass. n. 25417/2020, n. 694/2015).
L’Amministrazione, inoltre, può verificare la dichiarazione di successione presentata dal contribuente notificando, se del caso, un avviso per la maggiore imposta dovuta.
Come questa Corte ha affermato, a seguito dell’intervenuta decadenza il contribuente non è più soggetto all’azione accertatrice dell’Ufficio, ma resta comunque destinatario dell’azione di riscossione (Cass. n. 24927/2016 così, in motivazione) per cui poco conta che l’Amministrazione sia decaduta dal potere di accertamento in quanto, ove sia presentata, sia pure tardivamente, la dichiarazione di successione, essa non deve accertare nulla, perché è proprio il contribuente ad offrire i dati per la – corretta – liquidazione dell’imposta e se in sede di autoliquidazione quest’ultimo compie degli errori, l’Amministrazione può, anzi, deve procedere alla rettifica, notificando l’avviso di accertamento, dovendo assolversi l’obbligo tributario essere in maniera conforme alla legge. (Cass. n. 20967/2013, n. 694/2015 cit.).
Nella specie, la ricorrente si è limitata ad allegare che, decorsi i cinque anni dall’apertura di successione, nessun atto avrebbe potuto costituire un valido titolo per pretendere il pagamento dell’imposta, senza tenere conto del disposto normativo contenuto sopra illustrato, sicché la censura non risulta meritevole cji accoglimento.
Neppure ha pregio, sotto diverso profilo, la doglianza concernente l’omessa pronuncia sulla questione di legittimità costituzionale della norma, in quanto la relativa eccezione, strumentale rispetto alla domanda giudiziale, non può considerarsi oggetto di un’autonoma domanda rispetto alla quale il difetto di esame sia configurabile quale vizio di omessa pronuncia.
La questione, ancorché in ipotesi non esaminata dal giudice inferiore, resta deducibile e rilevabile nei successivi stati e gradi del giudizio che sia validamente instaurato, ove rilevante ai fini della decisione (Cass. n. 15092/2005; n. 22123/2010; Cass. n. 5621/2006; Cass. n. 15092/2005).
La CTR, a differenza di quanto affermano dalla ricorrente, ha preso espressamente in considerazione la questione di legittimità dell’art. 27, comma 6, d.lgs. n. 346 del 1990, respingendola, in quanto ha confutato le argomentazioni svolte dall’allora appellante affermando la permanenza dell’obbligo tributario, con riferimento a quanto spontaneamente dichiarato dal contribuente, oltre il termine dato all’Amministrazione per attivarsi al fine di introitare l’imposta di successione, trattandosi di conseguenze derivanti dalla condotta posta in essere dallo stesso contribuente, che non collide con alcuno degli invocati principi costituzionali.
Nessuna statuizione sulle spese processuali deve essere adottata non avendo l’Agenzia delle Entrate svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Si dà atto, ai sensi del d.P.R. n. 11S del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.