Corte di Cassazione ordinanza n. 19950 del 21 giugno 2022
processo tributario – autorità doganale è tenuta ad attivare il contraddittorio preventivo, rendendo consapevole il contribuente, prima dell’adozione del provvedimento di accertamento in rettifica – contraddittorio preventivo
Fatti di causa
Dall’esposizione in fatto della sentenza del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva notificato a C.I. s.r.l. un avviso di accertamento e un atto di irrogazione delle sanzioni in relazione alle operazioni di importazione di ombrelli dalla Cina, avvenute negli anni 2013 e 2014, avendo ritenuto che il valore di transazione delle merci fosse inferiore a quello effettivo risultante dalla media del sistemc1 Cognos Merce; avverso il suddetto atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Genova; avverso la pronuncia di primo grado la contribuente aveva proposto appello principale, limitatamente alla statuizione sulle spese di lite, e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva proposto appello incidentale.
La Commissione tributaria regionale della Liguria hai accolto l’appello incidentale dell’Agenzia delle Dogane ed ha ritenuto assorbito quello principale della società, in quanto limitato alla contestazione della statuizione del giudice di primo grado sulle spese di lite, in particolare ha ritenuto che: non sussisteva alcuna violazione del contraddittorio preventivo, posto che la richiesta preventiva di informazioni, di cui all’art. 181 bis, par. secondo, primo periodo, Reg. Cee n. 2454/1993, non era obbligatoria e, per quanto concerneva l’ulteriore comunicazione obbligatoria della sussistenza di fondati dubbi, da eseguirsi prima di adottare il provvedimento impositivo, la stessa era individuabile nella nota n. 12315 del 5 aprile 2016, cui la contribuente non aveva dato alcuna risposta; con riferimento al merito, lo stesso non poteva essere oggetto di valutazione, in quanto la contribuente, totalmente vittoriosa in primo grado, nel suo atto di appello principale non aveva riproposto alcuna delle questioni prospettate con il ricorso introduttivo e rimastei assorbite dalla pronuncia di primo grado, sicchè le stesse dovevano essere considerate rinunciate dalla società, non potendo assumere rilevanza la circostanza che erano state riproposte solo nelle successive memorie illustrative.
Avverso la suddetta pronuncia ha quindi proposto ricorso la società affidato a due motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli depositando controricorso.
Questa Corte, con ordinanza del 12 dicembre 2019, ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. V.S., ha depositato le proprie conclusioni con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 30 Regolamento Cee n. 2913/1992 e dell’art. 181bis, Regolamento Cee n. 2454/1993, per avere ritenuto che nella fattispecie non sussisteva alcuna violazione del contraddittorio preventivo.
In particolare, la ricorrente evidenzia che la sentenza censurata ha erroneamente ritenuto che, in caso di fondati dubbi sul valore di transazione delle merci importate, la richiesta di informazioni complementari, di cui all’art. 181-bis, paragrafo primo, Reg. Cee n. 2454/1993, non sia obbligatoria, sicchè, secondo parte ricorrente, l’amministrazione doganale non può procedere alla comunicazione con la quale informa il contribuente dei motivi per i quali sussistano i fondati dubbi qualora non abbia prima provveduto ad acquisire le informazioni complementari.
Inoltre, evidenzia parte ricorrente, con riferimento all’ulteriore profilo relativo all’obbligo di informazione scritta con concessione dei termini a difesa, che: non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che l’obbligo di informazione sui motivi per i quali sussistevano i fondati dubbi poteva ritenersi assolto mediante la notifica della nota del 5 aprile 2016; lo stesso giudice del gravame aveva rilevato che la comunicazione preventiva citava norme diverse da quelle di cui all’art. 181bis, cit., e che, comunque, era stato emesso senza che fosse stata rispettata la precedente richiesta di informazioni; inoltre, era da escludere che il breve termine di trenta giorni concesso fosse sufficiente ad assicurare alla contribuente una adeguata difesa.
Infine, con il presente motivo evidenzia parte ricorrente che sarebbe stata violata la disciplina relativa ai criteri utilizzabili, secondo l’art. 30, Reg. Cee n. 2913/1992, per la determinazione del valore di transazione.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
L’art. 181-bis, Reg. Cee 2454/1993, prevede che, qualora le autorità doganali abbiano fondati dubbi che il valore delle merci dichiarato in dogana rappresenti l’importo totale pagato o da pagare, ai sensi dell’art. 29, non sono tenute a determinare il valore in dogana delle merci importate in base al metodo del valore di transazione, e, in tal caso, possono richiedere che siano fornite delle informazioni complementari tenuto conto di quanto stabilito all’articolo 178, paragrafo 4. Se tali dubbi dovessero persistere, le autorità doganali, prima di adottare una decisione definitiva, sono tenute ad informare la persona interessata, per iscritto a sua richiesta, dei motivi sui quali questi dubbi sono fondati, concedendole una ragionevole possibilità di rispondere adeguatamente. La decisione definitiva con la relativa motivazione è comunicata alla persona interessata per iscritto.
Pertanto, ove sussistano fondati dubbi, l’autorità doganale è tenuta ad attivare il contraddittorio preventivo, rendendo consapevole il contribuente, prima dell’adozione del provvedimento di accertamento in rettifica, delle ragioni per cui si ritiene di non potere seguire il principio, di cui all’art. 29 CDC, secondo cui il valore delle merci importate è il valore di transazione, indicando i motivi per i quali sussistono i fondati dubbi e concedendo al contribuente un congruo termine per prospettare le proprie osservazioni.
La previsione normativa in esame non impone, differentemente da quanto sostenuto dalla ricorrente, un obbligo di richiedere informazioni complementari prima ancora di osservare il successivo obbligo di informare, con atto motivato, il contribuente della sussistenza di fondati dubbi.
In realtà, assume rilievo, in primo luogo, il dato testuale della previsione in esame, secondo cui le autorità doganali “possono” richiedere che siano fornite delle informazioni complementari, conferendo, quindi, alle stesse un potere istruttorio la cui attivazione è lasciata alla valutazione discrezionale delle autorità che procedono all’accertamento e, in questo contesto, l’ulteriore inciso “se tali dubbi dovessero persistere’: valorizzati dalla contribuente, ha rilevanza solo in relazione all’ipotesi in cui l’amministrazione doganale abbia ritenuto di dovere richiedere le suddette informazioni complementari, mentre non si pone nessuna necessità di attivazione di ulteriori indagini istruttorie quando gli elementi 9ià a disposizione dell’autorità doganale siano tali da non richiedere alcun ulteriore indagine o verifica istruttoria, dovendosi, in tal caso, unicamente porsi la necessità di assicurare il rispetto del contraddittorio preventivo in relazione all’adozione dell’avviso di accertamento.
D’altro lato, la necessità di assicurare il contraddittorio preventivo non può che essere configurato in relazione alla tutela del diritto di difesa del contribuente, e la Corte di giustizia ha precisato che il suddetto principio trova applicazione ogni volta che l’amministrazione finanziaria si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, per cui i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione (sentenza del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, C-129/13 e C-130/13, EU:C:2014:2041, punto 30 e giurisprudenza ivi citata; 20 dicembre 2017, causa c-276/16, Preqù).
Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera di applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa applicabile non preveda espressamente siffatta formalità (v., in tal senso, sentenze del 18 dicembre 2008, Sopropé, C-349/07, EU:C:2008:746, punto 38, nonché del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema J’-lellmann Worldwide Logistics, C-129/13 e C-130/13, EU:C:2014:2041, punto 31).
Pertanto, l’obbligo del contraddittorio preventivo va posto in stretta relazione con l’adozione di un successivo atto impositivo, sicchè, prima dell’adozione dell’atto impositivo, il contribuente deve essere messo a conoscenza delle ragioni su cui l’amministrazione finanziaria intende fondare la pretesa e, eventualmente, prospettare le proprie osservazioni, mentre, salvo previsioni specifiche, lo stesso non può essere configurato con riferimento ad attività meramente istruttorie, essendo l’amministrazione finanziaria libera di potere stabilire su quali elementi di prova fondare i presupposti della propria pretesa. Con riferimento, poi, al profilo di censura relativo all’inosservanza dell’obbligo di informare il contribuente della sussistenza dei fondati dubbi, va osservato che il giudice del gravame ha ritenuto che “la nota suddetta abbia soddisfatto la condizione prevista dall’art. 181bis, comma 4, citato, essendo stata inviata alla C.I. prima della decisione definitiva, assunta dall’Autorità doganale con successivo avviso di accertamento prot. 18630 del 24 maggio 2016 (posteriore di cinquanta giorni alla richiesta di chiarimenti, rimasta senza risposta)”.
Sotto tale profilo, risulta inconferente la circostanza,, prospettata con il presente motivo, che l’ufficio avrebbe citato, nella comunicazione preventiva, una previsione normativa diversa ovvero la non congruità del termine: il giudice del gravame, invero, ha valutato che la nota in esame avesse il contenuto della comunicazione preventiva, riconducendo l’atto informativo nell’ambito della previsione di cui all’art. 181-bis, cit., ed ha, altresì, ritenuto congruo il termine concesso primo dell’adozione dell’atto, accentuando, peraltro, la circostanza che, nel corso del suddetto termine, la ricorrente non aveva provveduto in alcun modo a interloquire con l’amministrazione doganale.
Sul contenuto della nota, peraltro, la ricorrente si limita a riferire in ordine alla sintomatica palese atipicità, senza, tuttavia, specificare se la stessa, quanto al contenuto, non potesse essere ricondotta, nonostante la valutazione compiuta dal giudice d1el gravame, alla comunicazione preventiva di cui all’art. 181-bis, cit ..
Infine, inammissibile è il profilo di censura relativo alla violazione dell’art. 30, Reg. Cee n. 2913/1992, che viene prospettato censurando l’avviso di rettifica in quanto il valore de:I bene in dogana era stato ricostruito senza seguire la rigida sequenza di criteri indicati nel suddetto articolo.
Invero, il suddetto profilo attiene ad una questione sulla quale il giudice del gravame, come detto, non si è pronunciato, avendo escluso la possibilità di esaminare il merito della controversia una volta definita la questione del rispetto del contraddittorio endoprocedi mentale.
Con il secondo motivo di ricorso sii censura la si:?ntenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 56, decreto legislativo n. 546/1992, per avere ritenuto che la ricorrente, totalmente vittoriosa nel giudizio di primo grado, aveva tardivamente riproposto le questioni rimaste assorbite a seguito della suddetta pronuncia, solo con la memoria illustrativa.
Parte ricorrente evidenzia che, diversamente da qU1anto ritenuto dal giudice del gravame, nella fattispecie in esame, in cui la ricorrente aveva proposto appello principale avverso la sola statuizione sulle spese, la stessa aveva correttamente riproposto le questioni di merito mediante le memorie illustrative conseguenti alla proposizione dell’appello incidentale da parte dell’Agenzia delle entrate.
Il motivo è fondato.
Il giudice del gravame ha ritenuto che la parte era decaduta dalla facoltà di riproporre nel giudizio cli appello le questioni rimaste assorbite dalla pronuncia di primo grado ad essa favorevole, in quanto “le questioni non riproposte non possono essere portate all’attenzione del giudice del gravame con le memorie successive a quella di costituzione o alla proposizione dell’appello, che consuma il potere di impugnazione, limitandolo ai motivi espressamente proposti”.
La suddetta considerazione non è corretta, perché non tiene conto della peculiarità della presente vicenda processuale.
Nella fattispecie in esame, la società, totalmente vittoriosa nel giudizio di primo grado, aveva proposto appello principale unicamente avverso la statuizione relativa alle spese, avendo contestato la pronuncia di compensazione delle stesse.
A seguito della proposizione dell’appello incidentale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, la società ha, quindi, riproposto le questioni, già prospettate con il ricorso introduttivo e ritenute assorbite dal giudice di primo grado, mediante successiva memoria. Il giudice del gravame ha ritenuto che la proposizione dell’appello principale aveva “consumato” il potere di impugnazione, già fatto valere con la proposizione dell’appello principale, sicchè dovevano essere considerate non ammissibili le questioni riproposte solo con la successiva memoria.
A tal proposito, va evidenziato che, secondo il costante orientamento di questa Corte (Cass. civ., 8 dicembre 2014, n. 26830; Cass. civ., 19 ottobre 2012, n. 17950), nel processo tributario la volontà dell’appellato, che sia risultato totalmente vincitore in prime cure, di riproporre le questioni assorbite, pur non occorrendo a tal fine alcuna impugnazione incidentale, deve essere espressa, non solo in modo “specifico” come richiede il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, ma anche tempestivamente, ossia, a pena di decadenza, nell’atto di controdeduzioni da depositare nel termine previsto per la costituzione in giudizio, sicchè tale volontà di riproposizione non può essere manifestata in un atto successivo.
Si è, in particolare, fatto riferimento alla stessa disciplina positiva del processo tributario di secondo grado, in particolare al disposto dell’art. 23 del decreto succitato, richiamato, per il giudizio di appello, dall’art. 54, che stabilisce modalità e termini per la costituzione in secondo grado, rinviando, appunto, a quanto previsto per il giudizio di prima istanza, laddove prevede che la parte resistente, nell’atto di controdeduzioni, “espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende valersi, proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”.
La necessità, quindi, che l’appellato prenda posizione implica, secondo questa Corte, anche la tempestiva riproposizione, nel primo atto di costituzione in giudizio dell’appellato, delle questioni disattese, o ritenute assorbite, dal giudice di primo grado.
Con più generale riferimento, poi, alla struttura ed alle finalità del processo tributario, si è osservato che tale giudizio è indubbiamente ispirato a criteri di speditezza e di concentrazione: si tratta, invero, di un processo di tipo impugnatorio con ambito delimitato, oltre che dal contenuto dell’atto impugnato, dai motivi specifici di censura formulati nel ricorso introduttivo (salva la possibilità, ma solo in casi particolari, di proporre motivi aggiunti), scandito da termini brevi e caratterizzato, di regola, dalla decisione della controversia, su base essenzialmente documentale, in un’unica camera di consiglio (o, su richiesta di parte, in udienza pubblica di trattazione), mentre non è neppure prevista la figura dell’udienza istruttoria.
Sicchè, in termini generali, si palesa pienamente coerente con il complessivo delineato quadro normativo e con le finalità acceleratorie poste a fondamento della struttura processuale in esame, senza che, d’altra parte, ciò comporti alcun aggravio all’esercizio del diritto di difesa, esigere che l’ambito della materia del contendere, devoluto al giudice del gravame, sia definito, da entrambe le parti, sin dal primo atto difensivo, con la conseguenza che anche la volontà dell’appellato di riproporre le questioni assorbite, che indiscutibilmente concorre alla determinazione della portata del thema decidendum, deve essere espressa nell’atto di controdeduzioni, da depositare nel termine prescritto, e non può essere manifestata in un atto successivo, esclusivamente destinato, come previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, citato art. 32, ad una funzione meramente “illustrativa”, cioè esplicativa, delle questioni già poste all’esame dell’organo giudicante.
Fermo restando, quindi, la adesione alla costante linea interpretativa questa Corte, secondo quanto sopra evidenziato, quel che deve essere posto all’attenzione, rilevanti ai fini della definizione della presente controversia, è il profilo relativo alla individuazione dell’insorgenza dell’interesse della parte, totalmente vittoriosa in primo grado, a riproporre in appello le questioni assorbite con la pronuncia a sé favorevole.
L’orientamento di questa Corte, secondo quanto sopra illustrato, ha riguardo ad una fattispecie processuale che presuppone l’ipotesi, “ordinaria”, di proposizione del ricorso in appello dalla parte risultata soccombente nel giudizio di primo grado, ciò in coerenza con la previsione di cui all’art. 56, d.lgs. n. 546/1992, secondo cui le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale, che non sono specificamente riproposte in appello, s’intendono rinunciate.
Questa Corte, sul punto, ha precisato che nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perchè ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via, riproposizione/rinuncia, rappresentata dal detto D.Lgs., art. 56, e art. 346 c.p.c., rispetto all’unica alternativa possibile dell’impugnazione, principale o incidentale, o dell’acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno.” (Cass. civ., 21 maggio 2020, n. 9343; Cass. civ., 6 giugno 2018, n. 14534; Cass. civ., 27 marzo 2013, n. 7702).
In tale ipotesi, invero, la parte totalmente vittoriosa non ha alcun interesse alla riproposizione delle questioni dichiarate assorbite dal giudice di primo grado: il suo interesse alla riproposizione sorge nel momento in cui la parte totalmente soccombente propone appello, poiché in caso di accoglimento delle ragioni dell’impugnazione, sorge l’interesse a che siano, eventualmente, esaminate le ulteriori questioni ritenute assorbite dal giudice di primo grado.
È in questo caso che, invero, la parte appellata, ove intenda assicurarsi che siano esaminate dal giudice del gravame le questioni sulle quali il giudice di primo grado ha ritenuto di non doversi pronunciare in quanto assorbite, dovrà riproporre le suddette questioni e dovrà farlo con le controdeduzioni, da depositare nel termine prescritto, non potendo provvedervi con un atto successivo, esclusivamente destinato, come previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, citato art. 32, ad una funzione meramente “illustrativa”, cioè esplicativa, delle questioni già poste all’es21me dell’organo giudicante.
Tuttavia, qualora, come nel caso di specie, la parte totalmente vittoriosa in primo grado abbia proposto appello principale solo sulla parte relativa alla pronuncia di compensazione delle spese, non può dirsi che, al momento della proposizione del suddetto appello, fosse già sorto il suo interesse alla riproposizione delle questioni sulle quali il giudice di primo grado non si era pronunciato in quanto ritenute assorbite.
È l’appello incidentale della parte totalmente soccombente che genera l’insorgenza dell’interesse alla riproposizione delle suddette questioni: ma, in questo specifico caso, non può ragionarsi in termini di “consumazione” del potere di riproposizione delle questioni assorbite facendo riferimento all’appello principale, proposto dalla parte totalmente vittoriosa, solo ai fini della contestazione della pronuncia sulle spese.
Poiché la parte totalmente vittoriosa nel giudizio di primo grado è costituita nel giudizio mediante la proposizione dell’appello principale ed atteso che il suo interesse alla riproposizione delle questioni ritenute assorbite sorge solo a seguito del ricorso incidentale della controparte, totalmente soccombente in primo grado, deve ritenersi che la suddetta riproposizione dovrà essere compiuta con il primo atto successivo alla presentazione del ricorso incidentale, dunque, con riferimento al caso di specie, con la memoria.
Può, invero, ragionarsi in termini di preclusione processuale solo in presenza di una facoltà estinta perché non esercitata nel rispetto di un termine ovvero consumata perché già esercitatc1, ovvero quando la stessa sia incompatibile con altra attività processuale svolta in precedenza.
Tuttavia, come detto, con la proposizione del ricorso principale, limitato alla sola censura della pronuncia di primo grado circa la statuizione sulle spese, la parte totalmente vittoriosa in primo grado non aveva ancora consumato il proprio potere di riproposizione delle questioni assorbite, e ciò in quanto il suo interesse alla riproposizione può dirsi sorto solo a seguito della proposizione dell’appello della parte totalmente soccombente.
Non correttamente, dunque, il giudice del gravame ha ritenuto di non potere esaminare le questioni assorbite riproposte solo a seguito della presentazione dell’appello incidentale della parte totalmente soccombente.
In conclusione, è infondato, il primo motivo, è fondato il secondo, con conseguente accoglimento del ricorso per il motivo accolto e cassazione della sentenza con rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il secondo motivo, rigettato il primo, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
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