Corte di Cassazione ordinanza n. 19951 del 21 giugno 2022
la fattura non redatta secondo l’art. 21 fa venir meno la presunzione di veridicità – valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente – vizio di omessa pronuncia
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Prato dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della T. spa, per l’anno 2006, tre distinti atti di accertamento con i quali recuperava a tassazione costi ai fini Ires e Irap per euro 70.000,00 e IVA per euro 110.000,00 in relazione a tre fatture ricevute dalla controllata S. srl.
In particolare, l’Ufficio rilevava l’estrema genericità delle prestazioni indicate nelle fatture (relative a contratti di consulenza stipulati tra le due società, uno datato 16.2.2005 e l’altro riportante data 17.11.2006), la coincidenza dei soci delle due società e l’assenza di personale dipendente in capo alla S..
La T. spa proponeva tre distinti ricorsi, lamentando la violazione del principio di leale collaborazione di cui aç1li artt. 10 e12, co. 7, L. n. 212/2000, la violazione dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 7 della L. n. 212/2000, la mancanza di prova che giustificasse la ripresa a tassazione e l’applicazione delle sanzioni.
La Commissione Tributaria Provinciale di Prato, con la sentenza n. 28/5/13, accoglieva i ricorsi riuniti con riguardo all’applicazione del cumulo giuridico per le sanzioni e rigettava per il resto.
La società proponeva appello, ribadendo i motivi di cui ai ricorsi introduttivi, che la CTR di Firenze, con la sentenza n. 1174/1/14, rigettava.
Avverso questa sentenza la T… spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società lamenta, ex 360 n. 3 c.p.c, la violazione degli artt. 10 e 12, co. 7, della L. n. 212 del 2000, perché la sentenza impugnata aveva escluso l’obbligo per l’Ufficio di dar conto delle osservazioni presentate dal contribuente nell’avviso di accertamento.
Il motivo è infondato.
Secondo orientamento di questa Corte, infatti, «In tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o ara nzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo» (Cass., n. 8378/2017; n. 3583/2016).
2. – Con il secondo motivo la società deduce, ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c., il vizio di omessa pronunzia di cui all’art. 112 c.p.c., nonchè la violazione dei «principi che presiedono all’obbligo della motivazione di cui al disposto degli artt. 1, co. 1 e 7 della l. n. 212/2000» ex art. 360 n. 3 c.p.c.
In particolare, la ricorrente insiste nel rilievo della contraddittorietà della contemporanea contestazione della carenza dei requisiti di certezza e della oggettiva determinabilità dei costi, già denunciato come motivo d’appello: la CTR aveva omesso di esaminare questo motivo che, secondo la ricorrente, determinerebbe l’illegittimità degli avvisi impugnati per vizio di motivazione.
Anche questo motivo è infondato.
2.1 – Circa la violazione dell’art. 112 p.c. è opportuno premettere che il vizio di omessa pronuncia ricorre ove manchi qualsivoglia statuizione su un capo della domanda o su una eccezione di parte, così dando luogo alla inesistenza di una decisione sul punto della controversia per la mancanza di un provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, e non anche quando sia omesso l’esame di un elemento di prova (v. Cass. n. 459/2021; Cass. n. 7472/2017; n. 1539/2018) ovvero quando l’omissione riguarda una tesi difensiva che, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, determinando un’implicita pronuncia di rigetto anche in mancanza di una esplicita argomentazione (Cass. n. 29191/2017).
Nel caso di specie, la CTR ha argomentato sul punto centrale dell’accertamento, costituito dalla sussistenza dei presupposti per la ripresa a tassazione effettuata dall’Ufficio, che av12va contestato «esistenza» e <<valore delle prestazioni»,. rilevando la genericità della descrizione delle prestazioni riportata nelle fatture, l’assenza di personale dipendente e di struttura organizzativa nella società S. nonchè la coincidenza delle compagini sociali di T. e S.. L’argomento della contraddittorietà tra i concetti di «certezza» e «determinabilità» è incompatibile con questa motivazione e deve ritenersi, pertanto, implicitamente rigettato.
2.2 – Con riguardo all’asserito vizio logico della motivazione, è sufficiente precisare che ai fini della determinazione del reddito di impresa, oltre a quelli di effettività, inerenza e competenza, devono concorrere entrambi i requisiti di «certezza» in ordine alla sussistenza e della «determinabilità» in ordine all’ammontare, «della cui prova è onerata l’amministrazione finanziaria con riguardo ai componenti positivi, e il contribuente con riguardo ai componenti negativi» (Cass. n. 19166/2021) e non è ravvisabile un vizio di motivazione nella contemporanea contestazione da parte dell’Ufficio sia dell’an che del quantum del costo.
3. – Con il terzo motivo la società deduce ex art 360 3 c.p.c. la violazione degli art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) e 19 del d.p.r. n. 633 del 1972 nonché dell’art. 21 comma 2 lett. g) d.P.R. n. 633 cit., in quanto i costi erano certi (avendo causa nei due accordi citati, che la parte non aveva l’onere di registrare e munire di data certa), erano determinati nel loro ammontare (perché i contratti stabilivano espressamente la misura del corrispettivo), ed erano documentati proprio attraverso i contratti in forma scritta e le fatture in contestazione, conformi all’art. 21 cit.
Il motivo è infondato.
Secondo consolidato orientamento di questa Corte, in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove «certe». Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (non impugnabile in cassazione per il merito) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, comma 2, c.c. (Cass. n. 14237/2017, Cass. n. 9784/2010).
Il Giudice del merito ha correttamente applicato queste regole probatorie rilevando che, a fronte degli elementi gravi, precisi e concordanti accertati dall’Ufficio sopra indicati, incombeva sulla contribuente l’onere di dimostrare «che quei costi erano effettivamente deducibili».
Questa prova non era stata fornita e, prosegue la sentenza con motivazione esente da vizi logici o giuridici, non potevano ritenersi sufficienti le fatture prodotte, carenti dei requisiti di cui all’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972.
3.1 – Anche sotto questo profilo la sentenza non merita censure, atteso il contenuto delle fatture, trascritte nel controricorso dell’Agenzia: «Rimborso forfettario delle spese sostenute a tutto il 16 c.m. dai ns. amministratori nell’ambito delle attività prestate per conto della VS. società» (fattura prot. 63/2006 del 16/02/2006); «Corrispettivo a noi dovuto per il I semestre 2006 per la prestazione di ricerca, valorizzazione e commercializzazione di attività immobiliari» (fattura prot. 106/2006 del 02/03/2006); «Corrispettivo a noi dovuto per il II semestre 2006 per la prestazione di ricerca, valorizzazione e commercializzazione di attività immobiliari» (fattura prot. 690/2006 del 22/12.2006).
La descrizione risulta generica e non consente d’identificare l’oggetto della prestazione, di cui le fatture dovevano indicare natura, qualità e quantità; esse, quindi, non rispondono alle finalità di trasparenza e conoscibilità di cui all’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, funzionali alle attività di controllo e verifica dell’Amministrazione finanziaria.
L’irregolarità delle fatture, non redatte in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto in esse rappresentato e le rende inidonee a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo e alla detrazione dell’IVA (v. Cass. n. 9912/2020 e altra giurisprudenza ivi citata).
4. Le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo grado di giudizio che liquida in euro 5.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 se dovuto.
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