Corte di Cassazione ordinanza n. 19953 del 21 giugno 2022
redditometro – prova contraria – requisiti – diritto intertemporale
FATTI DI CAUSA
1. Con tre avvisi di accertamento sintetico ai sensi dell’art. 38, quarto comma, d.P.R. 600 del 1973, relativi agli anni 2006, 2007 e 2008 l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Udine, recuperava a tassazione a fini Irpef, nei confronti di K.S. un maggior reddito.
2. La Commissione tributaria provinciale di Udine, adita con ricorso dal contribuente, confermava la pretesa tributaria.
3. La Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, con la sentenza 959/08/2015, pronunciata in data 12 gennaio 2015 e depositata in data 4 marzo 2015, oggetto dell’odierno ricorso, accoglieva l’appello del contribuente e annullava gli avvisi.
In particolare, la C.T.R. riteneva che gli elementi indicativi di capacità contributiva di cui al quarto comma dell’art. 38 d.P.R. 600 del 1973 non determinassero una presunzione le9ale ma mere presunzioni semplici, liberamente apprezzabili ai sensi dell’art. 2729 cod. civ. e che il cd. spesometro, introdotto dalla modifica dell’art. 38 operata dal d.l. 31/05/2010, n. 78, fosse applicabile anche ai periodi di imposta antecedenti al 2009; in conseguenza di ciò, valutando le argomentazioni del contribuente, riteneva che le presunzioni offerte dall’ufficio non costituissero una base ragionevolmente certa per determinarne la capacità di spesa e quindi la capacità contributiva, in considerazione dell’eccessiva sproporzione tra il valore del reddito accertato sinteticamente e le spese sostenute dal contribuente; di conseguenza annullava gli avvisi.
4. Ricorre, contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, l’Agenzia delle entrate, con un motivo di ricorso; è rimasta intimato K.S., cui il ricorso è stato notificato a mezzo p.e.c. presso il difensore dott. S.L., costituito nel giudizio di appello.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte.
5. La causa è stata trattata all’udienza pubblica del 22 aprile 2022, nelle forme di cui all’art. 23, comma 8-bis, l. 28/10/2020, n. 137, convertito dalla I. 18/12/2020, n. 176.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate censura la violazione dell’art. 38, quarto e sesto comma, P.R. 29/09/1973, n. 600, nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 22, primo comma, d.l. 31/05/2010, n. 78 conv. con mod. in I. 30/07/2010, n. 122, e dello stesso art. 22, primo comma, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ.
La ricorrente deduce infatti che la C.T.R. abbia errato:
– ritenendo applicabile al caso in esame l’art. 38, quarto comma, nella formulazione successiva alla modifica di cui al d.. 78 del 2010, laddove invece l’art. 22 di quest’ultimo prevede che le nuove norme si applichino solo per gli accertamenti relativi ai redditi’ i cui termini di dichiarazione non fossero scaduti al momento dell’entrata in vigore;
– ritenendo che la prova contraria potesse essere fornita dal contribuente anche mediante l’allegazione della sproporzione tra le spese sostenute per il mantenimento dei beni indice e il reddito accertato sinteticamente, laddove l’art. 38, sesto comma, prevede che la prova contraria debba avere ad oggetto la circostanza che il reddito determinato sia costituito, in tutto o in parte, dia redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte.
2. Il motivo è fondato, in entrambe le censure in cui si
2.1 In primo luogo, infatti, come affermato più volte da questa Corte, la questione su quale sia la norma applicabile è questione di diritto intertemporale che va a identificare, nella successione fra più norme, quella da dover applicare; ma il diritto intertemporale necessariamente recede a fronte di esplicita previsione di diritto transitorio che identifichi la norma applicabile; nel caso in esame, con disposizione di diritto transitorio, il d.l. n. 78 del 2010, art. 22, primo comma, statuisce che le modifiche apportate all’art. 38 del P.R. n. 600 del 1973 producono effetti solo per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine cli dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto, ossia per gli accertamenti del reddito relativi a periodi d’imposta successivi al 2009 (Cass. 06/10/2014, n. 21041, ribadita da Cass. 6/11//2015, n. 22746, Cass. 26/02/2016, n. 3885, Cass. 21/06/2016, n. 12861).
La C.T.R. ha pertanto errato, a fronte di un’espressa disciplina di carattere transitorio, nell’applicare la nuova normativa motivando che il vecchio redditometro rientrasse «nel genere degli accertamenti standardizzati per i quali vale la regola che la tonna più evoluta prevale su quelle precedenti».
2.2 In secondo luogo, il sistema del «redditometro» collega alla disponibilità, in capo al contribuente, di determinati beni e servizi un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione.
Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi,, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass.. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017,, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335).
Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva) attraverso idonea documentazione che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588).
Questa Corte ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente «sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere» (Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332).
Nel caso di specie la C.T.R. ha quindi errato laddove, premessa la natura di presunzione semplice degli elementi indice di capacità contributiva (relativi al possesso di immobili e di veicoli), ha poi ritenuto che «le presunzioni sostenute dall’ufficio non offrono una base ragionevolmente sufficiente per determinare la capacità di spesa del contribuente e da sole non bastano a rivelare l’entità della sua reale capacità contributiva», concludendo che i risultati del calcolo del reddito in base alle rate di mutuo e ai costi di mantenimento di motocicli ed auto fossero sproporzionati e fuorvianti, così di fatto sostanzialmente privando i parametri del redditometro del valore di presunzione legale.
3. In conclusione il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata con rinvio alla C.T.R. del Friuli Venezia Giulia, per nuova decisione; alla C.T.R. va demandata la decisione sulle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia alla C.T.R. del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, cui demanda la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
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