Corte di Cassazione ordinanza n. 20028 del 21 giugno 2022
imposta di registro – negozio giuridico – Avviso liquidazione imposta di registro – Atti concatenati tra loro – Art. 20 DPR n. 131/1986
Ritenuto in fatto
1. La M.C. s.r.l. impugnava l’avviso di liquidazione con cui l’Ufficio, ai sensi dell’art. 20 del dPR 131/1986, procedeva a ricondurre una serie di atti societari e negoziali concatenati tra loro [costituzione, con atto del 31/7/2015, della società V.P. s.r.l. mediante conferimento dei rami di azienda da parte delle società M.C. s.r.l., F. s.r.l. (ora M.A.F. s.r.l.) ed A. s.r.l.; cessione, con scrittura privata del 6/5/2015, da parte delle società M.C. s.r.l., F. s.r.l. (ora M.A.F. s.r.l.) ed A. s.r.l. alla V. s.p.a., delle quote sociali e dell’intero capitale sociale della neocostituita V.P. s.r.l.] nello schema contrattuale della cessione del ramo di azienda, applicando l’imposta complementare di registro proporzionale al 3%, prevista per tale operazione negoziale complessiva, in luogo di quella fissa versata per ciascuno dei singoli atti.
2. La Commissione Tributaria Provinciale di Milano respingeva il ricorso.
3. Sull’impugnazione del contribuente, la Commissione Regionale della Lombardia accoglieva l’appello, rilevando che l’operazione di riqualificazione dell’intera operazione seguita dall’Agenzia delle Entrate non è più possibile con l’entrata in vigore dell’art. 1, comma 87, lett. a), della l. 205/2017, che ha modificato l’art. 20 dPR 131/86, e dell’art. 1, comma 87, lett. a), della l. 205/2017, che ha espressamente riconosciuto efficacia retroattiva alla predetta norma.
4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi; la contribuente ha resistito depositando controricorso.
5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio. Il contribuente ha depositato memoria illustrativa.
Ritenuto in diritto
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e 53 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la CTR erroneamente ritenuto che l’imposta di registro dovesse applicarsi in relazione alla natura ed agli effetti di ciascun negozio, senza tener conto del collegamento funzionale tra i singoli negozi in vista della realizzazione di un risultato economico unitario perseguito dalle parti. Tale lettura dell’art. 20 dPR citato sarebbe la sola rispettosa del parametro costituzionale della capacità contributiva.
2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017, n. 205, e 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018, n. 145, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver i giudici di seconde cure erroneamente ritenuto che la norma di interpretazione autentica imponesse all’amministrazione finanziaria di sottoporre un atto ad imposta di registro senza tener conto degli elementi extratestuali e degli atti collegati al medesimo.
3. I due motivi, da scrutinarsi congiuntamente stante la loro intima connessione, pur essendo ammissibili in quanto specifici, sono infondati. In tema di imposta di registro, ai sensi dell’art. 20 del P.R. 26 aprile 1986 n. 131, quale modificato dall’art. 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205 e dall’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali, l’amministrazione finanziaria non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile.
Invero, l’art. 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205 prevede che: «Al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 20, comma 1: 1) le parole: «degli atti presentati» sono sostituite dalle seguenti: «dell’atto presentato»; 2) dopo la parola: «apparente» sono aggiunte le seguenti:
«, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».
L’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, stabilisce che: «L’articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131».
Di recente, la sentenza della Corte Costituzionale n. 158 del 21 luglio 2020 ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, posta in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., dell’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, quale modificato dall’art. 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205 e dall’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali.
Secondo il giudice delle leggi, «il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico». Per altro verso, un’interpretazione della norma in chiave antielusiva provocherebbe «incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10-bis della Legge 212 del 2000» e «consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea)».
3.1 Da ultimo, poi, la sentenza della Corte Costituzionale n. 39 del 16 marzo 2021 ha avuto modo di tornare sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del P.R. 26 aprile 1986 n. 131, come modificato dall’art. 1, comma 87, lett. a, nn. 1 e 2, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, che è stata dichiarata manifestamente infondata con specifico riguardo all’efficacia retroattiva. Secondo il giudice delle leggi, «si deve escludere che possa essere considerato irragionevole attribuire efficacia retroattiva a un intervento che, come quello descritto, ha assunto un carattere di sistema». In tale prospettiva, la Corte Costituzionale ha ritenuto che la retroattività conseguente alla natura di interpretazione autentica riconosciuta all’art. 1, comma 87, lett. a, nn. 1 e 2, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205, trova adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasta con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, avendo riguardo al carattere di sistema assunto dall’intervento legislativo oggetto di scrutinio, che, per tale motivo, si sottrae al dubbio sollevato dal remittente. Inoltre, la medesima ragione impone di disattendere la censura di irragionevolezza della disposizione anche sotto il profilo della ipotizzata violazione dei «motivi imperativi di interesse generale» desumibili dall’art. 6 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, sottolineando che tali norme sono volte a tutelare i diritti della persona contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione, e non viceversa (vedasi anche: Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2021, n. 9065).
3.2 Adeguandosi a tale interpretazione, anche questa Corte ha ribadito che l’imposta colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto, senza tener conto di elementi extra-testuali, poiché l’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 dispone che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi» (da ultime: Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2021, nn. 4315 e 4319; Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2021, n. 9065).
3.3 Dunque, ai fini della presente decisione, non resta che prendere atto della portata retroattiva della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 145, ritenendo applicabile l’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, nel testo novellato dall’art. 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205, anche agli atti stipulati in epoca antecedente alla sua entrata in vigore per i quali i processi dinanzi ai giudici tributari siano ancora pendenti.
Invero, è pacifico che la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica – al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione – esprime univocamente l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (in termini: Cass., Sez. Un., 29 aprile 2009, n. 9941).
3.4 Nel caso di specie, stante l’applicabilità retroattiva dell’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, nel testo novellato dall’art. 1, comma 87, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205, per effetto della precisazione contenuta nell’art. 1, comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, l’amministrazione finanziaria non aveva facoltà di riqualificare la sequenza di una pluralità di atti, di eterogenea natura e struttura, nei termini complessivi ed unitari di cessione indiretta di ramo aziendale, dovendo limitarsi a verificare la corretta liquidazione dell’imposta di registro in relazione a ciascuna delle predette operazioni, i cui effetti giuridici dovevano essere singolarmente e separatamente valutati ai fini fiscali.
Ne discende che i giudici di seconde cure, nell’affermare che << … con le modifiche introdotte si è voluto disconoscere proprio la prassi dell’amministrazione finanziaria fondata su una interpretazione erronea ed “estensiva“ dell’art. 20 del TUR, mediante cui la stessa ha sino ad oggi riqualificato i conferimenti di rami di azienda seguiti da cessione delle partecipazioni rivenienti da tali conferimenti, come anche le cessioni totalitarie di azioni e quote, in cessioni di azienda (al fine di applicare a tali atti l’imposta proporzionale anzichè quella fissa)>>, hanno fatto buon governo dei principi sopra enunciati.
4. Le spese del giudizio di legittimità devono essere compensate, atteso che le sentenze della Corte Costituzionale a cui è stato fatto riferimento sono intervenute solo nel corso del presente giudizio di legittimità. Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater, dPR 30 maggio 2002, 115 (Cass. Sez. 6- Ordinanza nr 1778 del 29/01/2016).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso;
compensa tra le parti le spese di giudizio.
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