Corte di Cassazione ordinanza n. 20044 del 21 giugno 2022

vizio di motivazione – OPERAZIONI STRAORDINARIE – FUSIONE- “BLACK LIST” – mera difformità del contenuto della dichiarazione trasmessa in via telematica rispetto al modello cartaceo non è di per sé sola prova idonea e sufficiente a determinare l’opponibilità all’Amministrazione dei dati contenuti in quest’ultimo – regime fiscale dei disavanzi derivanti da fusione o scissione di società e diritto intertemporale – la dichiarazione dei redditi affetta da errori è emendabile con limitato riguardo ai dati riferibili ad esternazioni di scienza o di giudizio

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate notificò alla B. Italia s.p.a. due avvisi d’accertamento, con i quali venivano rettificate le dichiarazioni Ires ed Irap relative all’anno d’imposta 2010.

Per quanto qui ancora rileva, gli atti impositivi formularono tre rilievi.

Il primo rilievo assumeva l’indeducibilità del disavanzo da annullamento – derivante dall’operazione, deliberata il 27 aprile 2004, di fusione mediante incorporazione della B. Agro s.p.a. nella B. Italia s.p.a.- che l’incorporante aveva imputato ad avviamento, le cui quote di ammortamento erano state portate in deduzione per decimi e poi, dal 2005, per diciottesimi. L’Ufficio aveva negato la deducibilità in quanto la società, nella dichiarazione presentata in via telematica, non aveva richiesto espressamente, come imponeva l’art. 6, comma 4, d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, il riconoscimento fiscale del maggior valore di avviamento iscritto in bilancio a pareggio del disavanzo da annullamento, come consentivano i commi 1 e 2 della medesima disposizione.

Inoltre, in subordine a tale ragione di indeducibilità, l’accertamento allegava l’inopponibilità all’Amministrazione della medesima fusione ai sensi dell’art. 37- bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, assumendone la natura elusiva.

Il secondo rilievo riteneva l’indeducibilità del disavanzo da annullamento – derivante dall’operazione, deliberata nel 1998, di fusione mediante incorporazione della B. Espansi s.p.a. nella B. Italia s.p.a. – che l’incorporante aveva imputato in parte ad avviamento ed in parte rivalutazione di immobilizzazioni materiali, le cui quote di ammortamento erano state portate annualmente in deduzione. L’Ufficio, anche in questo caso, aveva negato la deducibilità per la mancata espressione della relativa opzione, di cui all’art. 6, comma 4, d.lgs. n. 358 del 1997, n. 358, nella dichiarazione della società. In questo caso, tuttavia, l’Amministrazione non aveva sostenuto, in subordine, la natura elusiva dell’operazione.

Il terzo rilievo riguardava l’indeducibilità, ai sensi del comma 10 dell’art. 110 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, di costi ritenuti derivanti da operazioni con imprese ubicate in Paesi all’epoca dei fatti ritenuti a fiscalità privilegiata (inclusi nella c.d. black list), in particolare la Svizzera, al di fuori delle esimenti previste nel successivo comma 11 dello stesso articolo.

La Commissione tributaria provinciale di Milano accolse, dopo averli riuniti, i ricorsi della contribuente avverso gli atti impositivi.

Proposto appello dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza di cui all’epigrafe, lo ha rigettato, compensando le spese.

L’Agenzia ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, affidandolo a cinque motivi.

La contribuente si è costituita con controricorso.

Il Sostituto Procuratore generale dott. Giuseppe Locatelli ha formulato conclusioni scritte a norma dell’art. 23, comma 8-bis, , d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, chiedendo di accogliere il ricorso e cassare la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale in diversa composizione.

La controricorrente ha chiesto che si tenesse la discussione orale nella pubblica udienza ed ha successivamente prodotto memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, deve respingersi l’eccezione della controricorrente di inammissibilità dei vari motivi del ricorso per la mancata esposizione sommaria dei fatti di causa e per la «mancata deduzione funzionale dei motivi di ricorso in violazione del principio di autosufficienza». Invero, il corpo del mezzo evidenzia, nei vari motivi, le pretese violazioni dell’art. 366, primo comma, nn. 1, 3 e 4 cod. civ., apparendo idoneo a porre la Corte, oltre che la controparte, nelle condizioni di comprendere lo specifico contenuto critico dell’impugnazione, in relazione all’iter ed all’esito del giudizio di merito che ha generato la decisione impugnata.

2. Con il primo motivo si censura, ai sensi dell’ 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli art. 6, commi 2 e 4, d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358;

3, comma 2, e 4, comma 1, lett. a), d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344. Attingendo la decisione relativa tanto al primo quanto al secondo rilievo, derivanti dall’incorporazione rispettivamente di B. Agro e di B. Italia, la ricorrente deduce che la CTR ha errato nel ritenere che, per ottenere il riconoscimento fiscale gratuito, ex art. 6 d.lgs. n. 358 del 1997, dei maggiori valori iscritti a pareggio dei disavanzi da annullamento emersi a seguito delle operazioni di incorporazione (di     società interamente posseduta dall’incorporante),   non   fosse   più  necessario che la società contribuente manifestasse espressamente tale opzione nella dichiarazione dei redditi (in luogo dell’opzione per la tassazione normale, che non avrebbe consentito tale riconoscimento gratuito, stante il carattere fiscalmente “neutrale” delle fusioni), poiché lo stesso art. 6 d.lgs. n. 358 del 1997, era stato abrogato dall’ art. 3, comma 2, d.lgs. n. 344 del 2003, relativamente alle operazioni di fusione perfezionatesi dopo il 31 dicembre 2003.

Inoltre il successivo art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 344 del 2003, nel dettare la disciplina intertemporale, aveva previsto che « resta ferma l’applicazione dell’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 8 ottobre 1997, n. 358, relativamente alle operazioni di fusione e scissione deliberate dalle assemblee delle società partecipanti fino al 30 aprile 2004;», determinando pertanto, nel relativo limite temporale, la sopravvivenza del solo comma 2 dell’art. 6 d.lgs. n. 358 del 1997, che consentiva il riconoscimento fiscale dei maggiori valori senza l’applicazione dell’imposta sostitutiva, ma non anche quella del comma 4 dello stesso art. 6, che condizionava il riconoscimento gratuito alla richiesta della società che intendeva avvalersene nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui ha effetto la fusione o la scissione.

Nella sostanza, secondo la tesi della contribuente, accolta dalla CTR, alle operazioni di fusione e scissione (quali quelle sub iudice) deliberate dalle assemblee delle società partecipanti fino al 30 aprile 2004 rimaneva applicabile (ex art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 344 del 2003) il beneficio (di cui all’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 358 del 1997) previsto del riconoscimento fiscale gratuito dei maggiori valori iscritti a fronte dei disavanzi da annullamento, senza che però permanesse la condizione di applicabilità della relativa opzione espressa della contribuente (richiesta dall’ 6, comma 2, d.lgs. n. 358 del 1997).

Rileva tuttavia la ricorrente che l’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 344 del 2003, nel mantenere espressamente in vita temporaneamente il comma 2 del ridetto art. 6, comma 2, d.lgs. n. 358 del 1997, che prevede l’agevolazione, ha necessariamente conservato implicitamente la contemporanea vigenza del comma 4 della stessa norma, che disciplinava le modalità di godimento del beneficio e richiedeva l’espressione della relativa opzione.

2.1 Il motivo è fondato, limitatamente al primo rilievo, ovvero alla fusione per incorporazione della B. Agro.

Infatti, come questa Corte ha già rilevato in decisione resa tra le stessa parti e relativamente alla medesima fattispecie, « Mantenendo espressamente in vita il secondo comma del prefato articolo 6, ove prevede la possibilità di agevolazione, si deve ritenere mantenuto in vita anche il comma quarto che ne indica le modalità. Non si potrebbe infatti fruire del beneficio se fossero abrogate le modalità attuative. Donde è corretta la tesi ermeneutica dell’Avvocatura nel negare beneficio a chi non abbia poste in essere le attività formali richieste, peraltro necessarie a rendere edotto il Fisco di quanto si intende fare, giustificandosi così non solo come mera forma, ma come strumento di conoscenza per l’Erario e trasparenza del contribuente su come intende condursi in un determinato affare.

Trattasi infatti non di mera dichiarazione di scienza, ma di manifestazione di volontà negoziale, il cui errore dev’essere riconoscibile dall’Amministrazione. Ed infatti, in questo senso è attestata la giurisprudenza di legittimità in fattispecie analoga, ove si è ritenuto che la dichiarazione dei redditi affetta da errori è emendabile con limitato riguardo ai dati riferibili ad esternazioni di scienza o di giudizio, mentre, nel caso di errori relativi all’indicazione di dati costituenti espressione di volontà negoziale, il contribuente ha l’onere, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli artt. 1427 e ss. c.c., di fornire la prova della riconoscibilità e dell’essenzialità di detti errori. […] (così, Cass. V, n. 30404/2018).» (Cass. 01/02/2022, n. 2926, in motivazione).

Nella sostanza, quindi, l’interpretazione logico-sistematica del complesso normativo interessato porta a concludere che la disposizione transitoria che consente l’applicazione ultrattiva dell’abrogato regime fiscale agevolativo, relativo alle operazioni di fusione deliberate sino al 30 aprile 2004, implica necessariamente che sia fatta salva in parallelo anche la norma, strumentale e procedimentale – di cui all’art.6, comma 4, d.lgs. n. 358 del 1997- che prevede il quomodo della fruizione dell’agevolazione prorogata, imponendo la condizione obbligatoria della manifestazione della volontà di avvalersi del regime di affrancamento gratuito previsto dallo stesso art. 6 comma 2, attraverso l’inserimento dell’opzione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’ imposta in cui ha effetto la scissione o la fusione. Tale inserimento soddisfa infatti lo scopo essenziale di consentire all’ Ufficio di verificare la sussistenza dei requisiti stabiliti dal ridetto art.6, commi 2 e 3, per l’accesso allo speciale regime fiscale dei disavanzi da fusione o scissione di società ( Cass. 24/06/2021, n. 18239; Cass. 24/06/2021, n. 18235).

Proprio in considerazione della finalità sostanziale di permettere all’Ufficio di accertare tempestivamente la ricorrenza dei presupposti del regime fiscale in questione, prescelto dal contribuente con una dichiarazione di volontà (e non di mera scienza: Cass. 01/02/2022, n. 2926, cit.; Cass. 23/11/2018, n. 30404), deve escludersi che, come dedotto nella memoria della controricorrente, la necessità della richiesta di cui al comma 4 dell’art. 6 d.lgs. n. 358 del 1997 integri un eccessivo formalismo procedurale che si ponga in contrasto con il principio di cui all’art. 6 CEDU, in materia di diritto ad un equo processo. Principio, peraltro, che presuppone l’esistenza di una «controversia», che anche nel significato più lato ipotizzabile, non sussiste al momento della dichiarazione dei redditi del contribuente, procedura non contenziosa e unilaterale, senza opposizione tra le parti (cfr. Corte EDU, 24/08/2010, Alaverdyan c. Armenia, § 35).

Fermo restando, comunque, che lo stesso art. 6 CEDU non si applica ai procedimenti tributari, poiché la materia fiscale fa ancora parte del nocciolo duro delle prerogative del potere pubblico, in quanto rimane predominante il carattere pubblico del rapporto tra il contribuente e la comunità ( Corte EDU, 12/07/2001, Ferrazzini c. Italia, § 29).

Tanto premesso, deve ritenersi che l’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 344 del 2003, nel mantenere espressamente in vita temporaneamente il comma 2 del ridetto art. 6 d.lgs. n. 358 del 1997, che prevede l’agevolazione, ha, necessariamente ed implicitamente, conservato la contemporanea vigenza del comma 4 della stessa norma, che disciplinava le modalità di godimento del beneficio e richiedeva l’espressione della relativa opzione.

Può quindi formularsi il seguente principio di diritto: « In materia di regime fiscale dei disavanzi derivanti da fusione o scissione di società, la disposizione intertemporale di cui all’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 344 del 2003, che mantiene ferma l’applicazione dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 358 del 1997 (abrogato con riguardo alle operazioni di fusione e scissione perfezionate dopo il 31/12/2003) alle fusioni e scissioni deliberate fino al 30/04/2004, rinvia implicitamente al comma 4 dello stesso art. 6 e si interpreta nel senso che anche per tali operazioni la società che vuole avvalersi del riconoscimento fiscale gratuito dei maggiori valori da imputazione del disavanzo da annullamento delle azioni o quote deve farne richiesta nella dichiarazione dei redditi del periodo di imposta in cui ha effetto la fusione o la scissione».

2.2 Nel caso di specie, la fusione mediante incorporazione della B. Agro) si è perfezionata dopo il 31 dicembre 2003, ma è stata comunque deliberata entro il 30 aprile 2004 e rientra pertanto nell’area cronologica di applicazione della disposizione intertemporale di cui all’art. 4, comma 1, a), d.lgs. n. 344 del 2003. Essa era, pertanto, ratione temporis soggetta all’applicazione dell’art. 6, comma 4, d.lgs. n. 358 del 1997 e richiedeva la condizione dell’ espressione dell’ opzione nella relativa dichiarazione dei redditi. La sentenza impugnata non è allora conforme al principio appena esposto, in quanto la ratio decidendi espressa, a proposito della deducibilità del disavanzo da annullamento derivato dalla fusione, è fondata sulla ritenuta inapplicabilità alla fattispecie del quarto comma dell’art. 6, comma 4, d.lgs. n. 358 del 1997, che la CTR , fermandosi ad una lettura meramente letterale dell’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 344 del 2003- assume derivare dall’abrogazione di quest’ultima disposizione da parte dell’art. 3, comma 2, d.lgs. n. 344, per effetto della quale erroneamente ritiene che fosse venuto meno, per la contribuente, l’obbligo di esprimere la relativa opzione nella compilazione della dichiarazione dei redditi.

2.3 Il motivo è invece inammissibile con riferimento al rilievo relativo alla fusione mediante incorporazione della B. Espansi s.p.a..

Invero quest’ultima, perfezionatasi nel 1998, e quindi nella vigenza originaria dell’art. 6, commi 2 e 4, d.lgs. n. 358 del 1997, prima della ridetta novella, era certamente sottoposta a sua volta al predetto obbligo dichiarativo, per cui la tesi della ricorrente sul punto è fondata in diritto. Tuttavia la censura non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata che, decidendo sul rilievo in questione, non afferma che l’opzione non dovesse essere manifestata, limitandosi ad attribuire rilevanza all’errore di lettura imputabile al sistema informatico erariale (tale ratio è invece attinta dal quarto motivo di ricorso, sul quale v. infra).

3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’ 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli art. 6, commi 2 e 4, d.lgs. n. 358 del 1997; 3, comma 2, e 4, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 344 del 2003, n. 344; 1427 e 2697 cod. civ.

La ricorrente attinge ulteriormente la decisione relativa al primo rilievo, derivante dall’incorporazione di B. Agro, con riferimento alla ratio decidendi ulteriore con la quale la CTR, dopo aver affermato che nel caso di specie non era necessario che la contribuente avesse espresso nella dichiarazione dei redditi la volontà di avvalersi del regime fiscale più favorevole di cui all’art. 6, commi 2, d.lgs. n. 358 del 1997, essendo stato abrogato il successivo comma 4 della stessa disposizione, ha aggiunto che «In ogni caso […] la dichiarazione cartacea redatta dalla società contiene la compilazione dei righi RR24 e RR29 (omessa invece, per semplice errore materiale, nella dichiarazione telematica), a chiara dimostrazione della volontà di optare per il riconoscimento fiscale dei nuovi maggiori valori […]».

Assume infatti la ricorrente che la dichiarazione fiscale è unica ed è quella trasmessa in via telematica all’Amministrazione, mentre la copia cartacea della stessa, che il contribuente sottoscrive e conserva per finalità di controllo, non può essere difforme dall’originale inviato e, ove lo sia, comunque non prevale su quest’ultimo.

Inoltre, aggiunge la ricorrente, la mancata compilazione di una parte della dichiarazione trasmessa all’Amministrazione in via telematica, ove pure configurasse un errore, riguarderebbe nel caso di specie una dichiarazione di volontà (quella di aderire al regime fiscale de quo), per cui il vizio dedotto potrebbe rilevare solo ove essenziale e riconoscibile dall’Ufficio, che non avrebbe potuto rendersene conto ricevendo la dichiarazione telematica, priva dell’esercizio dell’opzione.

Il motivo è ammissibile e fondato.

Infatti, « in tema questa Corte ha già chiarito, con ferma giurisprudenza cui si intende qui dare continuità, che la modalità di trasmissione per via telematica della dichiarazione fiscale per il tramite di centri di assistenza o professionisti abilitati comporta una presunzione di identità tra i dati risultanti all’esito della trasmissione all’anagrafe tributaria e i dati presenti nel modello cartaceo sottoscritto dal contribuente, perché la via telematica costituisce una modalità di invio della dichiarazione; ne consegue che, ove sia eccepita una discordanza di dati in sede di gravame avverso la cartella di pagamento, non è l’Amministrazione finanziaria a dover fornire la prova della conformità, ma il contribuente a dover dimostrare la difformità, ai sensi dell’art. 2697, comma secondo, cod. civ., trattandosi di deduzione dell’inefficacia del fatto costitutivo della pretesa tributaria azionata, ed essendo egli onerato, in base all’ordinaria diligenza, di conservare una copia del modulo cartaceo anche oltre il termine di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 (Cass. 11/12/2013, n. 27712; Cass. 30/8/2013, n. 20047; Cass. 10/1/2013, n. 385; 27/7/2012, n. 13440);

che, in altre parole, la procedura di presentazione della dichiarazione in via telematica, prevista dall’art. 3 d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, comporta che la dichiarazione e la sua presentazione costituiscano, diversamente dal sistema cartaceo (per il quale vi è una dichiarazione distinta dalla prova del suo invio o della sua presentazione all’Ufficio), un unico, complesso atto, che viene ad esistenza giuridica soltanto con l’invio da parte del contribuente, il quale, quindi, non può addurre dati diversi desunti da una propria dichiarazione cartacea (salvo il caso di errore da lui compiuto nel formare ed inviare la dichiarazione, eventualmente emendabile secondo le regole generali), attesa la irrilevanza di quest’ultima, poiché non costituente copia della dichiarazione presentata all’Ufficio, in quanto l’elaborazione telematica attribuisce certezza (superabile solo con rigorosa prova contraria attinente al sistema informatico di trasmissione dei dati) della conformità del file (contenente la dichiarazione) giunto all’amministrazione a quello inviato dal contribuente. (Cass. n. 385 del 2013)» (Cass. 16/06/2017, n. 15015, in motivazione).

Pertanto, la mera difformità del contenuto della dichiarazione trasmessa in via telematica rispetto al modello cartaceo della stessa, in possesso del contribuente, non è di per sé sola prova idonea e sufficiente a determinare l’opponibilità all’Amministrazione dei dati contenuti in quest’ultimo.

Inoltre, come già argomentato a proposito del primo motivo, l’espressione della volontà di avvalersi del regime di affrancamento gratuito previsto dall’ art. 6, comma 2, d.lgs. n. 358 del 1997, attraverso l’inserimento dell’opzione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’ imposta in cui ha effetto la fusione, non integra una mera dichiarazione di scienza, ma è una manifestazione di volontà negoziale, per cui il contribuente ha l’onere, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli artt. 1427 e ss. cod civ., di fornire la prova della riconoscibilità e dell’essenzialità dell’asserito errore (Cass. 01/02/2022, n. 2926, cit., in motivazione). Pertanto questa Corte ha già escluso

– sul presupposto che la mancata scelta del contribuente di affrancare gratuitamente il disavanzo di fusione ex art. 6 del d.lgs. n. 358 del 1997, in alternativa all’iscrizione di una posta a titolo di avviamento, abbia valenza negoziale- che integri un’ipotesi di errore riconoscibile e quindi emendabile l’omessa compilazione dei righi RR24-RR29 della dichiarazione (Cass. 23/11/2018, n. 30404, cit.) La CTR, nel caso di specie, non ha fatto buon governo di tali principi, limitandosi a ritenere sufficiente la prova del contenuto del modello della dichiarazione cartacea nel possesso del contribuente.

3.1 All’accoglimento del primo, nei limiti di cui ante, e del secondo motivo, consegue la cassazione della sentenza impugnata, relativamente alla decisione sul primo rilievo, attinente l’incorporazione della B. Agro, con rinvio al giudice a quo per i necessari accertamenti e per ogni questione rimasta assorbita. 

4. Con il terzo motivo si censura, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli 6, commi 2 e 4, d.lgs. n. 358 del 1997; 3, comma 2, e 4, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 344 del 2003, n. 344; 1427 e 2697 cod. civ.; 3, comma 1, e 9 d.P.R. n. 322 del 1998.

La ricorrente attinge ancora la decisione relativa al secondo rilievo, derivante dall’incorporazione della B. Espansi, con riferimento alla ratio decidendi con la quale la CTR afferma che la mancata compilazione del rigo RN28 nella dichiarazione dei redditi de qua è dipesa da un mero errore di lettura del Modello Unico, commesso dal sistema informatico dell’Agenzia.

Assume la ricorrente che la contribuente aveva l’onere di provare sia l’esistenza dell’errore in questione, sia la sua riconoscibilità ai sensi dell’art. 1427 cod. civ., e che erroneamente «Secondo la CTR, sarebbe stato provato che la volontà negoziale […] era stata espressa dalla società, ma il sistema informatico di lettura delle dichiarazioni telematiche aveva commesso un errore di lettura.».

5. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 4, proc. civ., l’omissione totale della motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alla decisione sul secondo rilievo, derivante dall’incorporazione della B. Espansi, in quanto la CTR non avrebbe «motivato in fatto» la sussistenza dell’errore di lettura commesso dal sistema informatico, di cui al motivo che precede.

5.1 Il terzo ed il quarto motivo vanno trattati congiuntamente ed Deve innanzitutto premettersi quanto argomentato già, a proposito del secondo motivo, in ordine sia alla natura di manifestazione di volontà (e non di mera scienza) della dichiarazione richiesta per fruire del regime in parola; sia alla relazione tra la dichiarazione dei redditi trasmessa in via telematica e quella cartacea; sia alla presunzione di identità tra i dati risultanti all’esito della trasmissione all’anagrafe tributaria e i dati presenti nel modello cartaceo sottoscritto dal contribuente, con conseguente onere probatorio a carico del contribuente che sostenga il contrario; sia, in particolare, alla necessità della « rigorosa prova contraria attinente al sistema informatico di trasmissione dei dati» ( Cass. 16/06/2017, n. 15015, cit., in motivazione).

Tanto premesso, la motivazione rassegnata sul punto dalla CTR è incomprensibile e contraddittoria riguardo alla stessa individuazione dell’assunto errore del sistema informatico ed alla prova sulla quale il suo accertamento sarebbe fondato. Afferma infatti la CTR che «la mancata compilazione del rigo RN28 è dipesa da un mero errore di lettura, da parte dell’Agenzia delle Entrate, del Modello Unico[…] ». Tuttavia, dalla motivazione non è invero comprensibile come siano logicamente conciliabili mancata compilazione ed errore di lettura, giacché non si può errare nel leggere ciò che non è compilato. Inoltre, la mancata compilazione del rigo RN28 non è logicamente conciliabile neppure con l’affermazione, immediatamente successiva, che erano stati indicati importi anche in una colonna dello stesso rigo. Infine, la ricostruzione, comunque contraddittoria, dell’assunto errore è del tutto priva di riferimenti concreti alle relative fonti di prova.

Va allora ricordato che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” integrano anomalie motivazionali che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé ( Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053, ex plurimis).

Ed è stato altresì chiarito che «La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost.» (Cass30/06/2020, n. 13248).

Pertanto, «In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.» (Cass. 14/02/2020, n. 3819).

Giova, infine, ricordare che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, il giudice non può, nella motivazione, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto “statico” della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto “dinamico” della dichiarazione stessa (cfr. Cass23/01/2006, n. 1236; Cass29/07/2016, n. 15964; Cass. 20/12/2018,n. 32980).

All’accoglimento del terzo e del quarto motivo consegue pertanto la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice a quo.

6. Con il quinto motivo si censura, ai sensi dell’ 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., lamentando la ricorrente che il giudice a quo ha omesso di pronunciarsi sui motivi d’appello che riguardavano il terzo rilievo, avente ad oggetto l’indeducibilità di costi ritenuti derivanti da operazioni con imprese ubicate in Paesi all’epoca dei fatti ritenuti a fiscalità privilegiata ed inclusi nella c.d. black list. Rileva infatti la ricorrente che erroneamente la CTR ha, con formula conclusiva, affermato che «ogni altra deduzione trova assorbenza nella parte motiva esposta», nonostante l’assenza di una necessaria implicazione logica tra quanto espressamente deciso e motivato, in tema di effetti delle fusioni, e la questione della deducibilità dei costi black list.

Il motivo è ammissibile è fondato, risultando dall’appello erariale, trascritto in parte qua nel ricorso, oltre che dalla stessa sentenza impugnata, che, anche dopo l’intervento di un atto di autotutela parziale dell’Amministrazione, residuava una parte del contenzioso, attinente il rilievo di indeducibilità dei predetti costi, sul quale la CTR non si è espressamente pronunciata.

L’indipendenza logica, in fatto ed in diritto, di tale ultima questione, rispetto a quelle espressamente decise e motivate dalla CTR, esclude quindi la fondatezza del loro assorbimento, dichiarata (invero con generica clausola di stile) dalla CTR.

All’accoglimento del quinto motivo segue pertanto la cassazione della sentenza impugnata in parte qua, con rinvio al giudice d’appello.

7. Parte controricorrente ha indicato, al punto 7 del controricorso, quattro «motivi di illegittimità dell’atto impugnato», costituenti «argomentazioni [… che] non sono state esaminate, siccome assorbite, nemmeno dai giudice del gravame», che ha “riproposto”, non facendone oggetto di ricorso incidentale.

In caso di accoglimento del ricorso principale, le questioni che il giudice di appello non abbia deciso in senso sfavorevole alla parte vittoriosa, ove siano state effettivamente assorbite, possono essere eventualmente riproposte davanti al giudice di rinvio (Cass., Sez. Un., 08/10/2002, n. 14382; conformi, da ultimo, Cass. 05/01/2017, n. 134; Cass. del 22/09/2017, n. 22095; Cass. 12/06/2020, n. 11270).

P.Q.M.

Accoglie il primo, nei termini di cui in motivazione, il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.