Corte di Cassazione ordinanza n. 20060 del 21 giugno 2022
indeducibilità dei costi per operazioni oggettivamente inesistenti
Rilevato che:
l’Agenzia delle entrate, sulla base della documentazione esibita dal contribuente in risposta all’apposito invito, notificò a F.D. avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2007, con cui ne rettificò la dichiarazione, ai fini dell’IPERF, dell’IRAP e dell’IVA, riscontrando indebite deduzioni e detrazioni.
L’adita Commissione tributaria provinciale rigettò il ricorso proposto dal contribuente avverso l’atto impositivo e la decisione, appellata da F.D., è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale della Calabria, con la sentenza indicata in epigrafe. In particolare, il Giudice di appello riteneva che, correttamente,
l’Amministrazione finanziaria avesse ritenuto indeducibili alcuni costi e non inerenti altri, a fronte della genericità delle fatture allegate a conforto e in assenza di valida prova di segno contrario da parte del contribuente.
Per la cassazione della sentenza F.D. ha proposto ricorso, su sei motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art.380 bis-1 cod. proc. civ.
Considerato che:
1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la sentenza impugnata di nullità per motivazione meramente apparente, essendosi limitata la C.T.R. ad aderire alla sentenza di primo grado, senza dare contezza dei motivi di appello svolti dal contribuente.
1.1 La censura è, all’evidenza, infondata laddove dalla lettura della sentenza impugnata emerge, inequivocabilmente, che la T.R. ha dato contezza dei motivi di appello svolti dal contribuente e questi ha rigettato con motivazione congrua e sufficiente, esplicitando le ragioni poste a fondamento della decisione e non, come dedotto, limitandosi a un mero rinvio per relationem alla decisione di primo grado.
2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.5, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art.57 del d.lgs.n.546 del 1992, e si censura la sentenza impugnata per avere pronunciato, oltre i limiti della domanda, affermando che l’irregolarità delle fatture faceva venir meno la presunzione di veridicità di quanto in esse rappresentato e sostenendo, contrariamente al vero, che l’Ufficio avrebbe contestato l’effettività delle operazioni.
2.1 Anche tale censura è infondata, non ravvisandosi i prospettati ultrapetizione e nova in appello. Appare evidente, dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata, che le argomentazioni (oggetto di censura e, peraltro, estrapolate dal più ampio contesto motivazionale) sono state svolte dal giudice di appello – peraltro, con corretti riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte – a supporto dell’insufficienza delle fatture, siccome prive dei requisiti minimi previsti dalla legge (natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi) a fare ritenere riferibili la spesa/costo all’attività di impresa e deducibili i costi indicati nelle fatture medesime. Egualmente infondata la prospettata novità delle questioni, laddove emerge, da tutti gli scritti difensivi, che l’Agenzia delle entrate ebbe a contestare la regolarità delle fatture.
3. La violazione e/o falsa applicazione dell’art.109, comma quinto, del P.R. n.917 del 1986 (TUIR) e dell’art.2697 cod. civ. viene dedotta con il terzo motivo di ricorso. Secondo la prospettazione difensiva erroneamente la sentenza impugnata avrebbe addossato al ricorrente l’onere di provare l’inerenza dei costi del Centro elaborazione dati della F. s.a.s. riportante la dicitura “elaborazioni dati per vs. conto”.
4. Con il quarto motivo, il ricorrente -premesso di avere fornito sin dal primo grado di giudizio una serie di documenti comprovanti le prestazioni rese dai i due C.E.D., in favore della sua attività professionale di commercialista, e che l’Agenzia delle entrate non aveva sollevato alcuna contestazione in proposito nei due gradi di merito- deduce l’errore in diritto commesso dalla Commissione regionale, nel non avere ritenuto, in virtù del principio di non contestazione, pacifici i suddetti fatti e conseguentemente il diritto alla detrazione ai fini dell’IVA.
5. Le censure, connesse possono trattarsi congiuntamente e sono infondate. Non sussiste la dedotta violazione di legge alla luce del reiterato orientamento di questa Corte (v., tra le altre 33915 del 19/12/2019, in termini Cass. n. 30366 del 2019, n. 11873 del 2018) in materia di deducibilità dei costi d’impresa, secondo cui la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
5.1 Nel caso in esame, peraltro, la sentenza impugnata motiva la correttezza del disconoscimento ad opera dell’Ufficio della deduzione di alcuni costi, non solo sulla base della irregolarità delle fatture ma anche di ulteriori elementi in fatto (quali la confusione e commistione tra la F. s.a.s. di F. D. e C., della quale il contribuente era socio accomandatario e la F. s.a.s. di F.R. e C., costituita in data successiva a quella in cui nei registri risultavano contabilizzate le fatture; nonché la sottoscrizione del contratto, depositato in atti al fine di fornire la prova del rapporto sottostante, ad opera del solo contribuente, nelle due vesti di socio accomandatario della Società fornente la prestazione e di professionista che avrebbe dovuto fruire della stessa, e privo, comunque di data certa) il cui accertamento da parte del Giudice di merito non è stato attinto con il
6. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione di varie disposizioni della legge n.212 del 2000 (Statuto del contribuente). Il ricorrente lamenta, in sostanza, la mancanza, nella fattispecie, dell’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale.
6.1 La censura è inammissibile per essere stata formulata per la prima volta in questo giudizio. Nel silenzio sul punto della sentenza impugnata, il ricorrente, con assoluto difetto di specificità, non indica come e quando abbia introdotto in giudizio la relativa questione che, pertanto, deve ritenersi, come peraltro eccepito in controricorso dall’Agenzia delle entrate, nuova.
7. Infine, con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n.600 del 1973 laddove l’avviso di accertamento impugnato risulta sottoscritto su delega del Direttore provinciale, nominato non a seguito di un pubblico concorso, e, quindi, privo di poteri come sancito dalla Corte costituzionale con la sentenza n.37 del 2015.
7.1 La censura non merita accoglimento. Anche in tale caso il ricorrente, con difetto di specificità, non indica di avere introdotto la questione, come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, con il ricorso introduttivo del giudizio. Si è, infatti, condivisibilmente statuito che gli effetti della sentenza n.37 del 2015 della Corte Costituzionale non possono essere fatti valere con motivi aggiunti né possono essere rilevati d’ufficio, in considerazione dell’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche e della previsione di un termine di decadenza per l’impugnazione degli atti tributari (v.Cass. 20.10.2015 n.21307; conf.Cass.n.18488/2015).
8. In conclusione, per le considerazioni sopra svolte, il ricorso va rigettato e il ricorrente, soccombente, condannato alle spese in favore dell’Agenzia delle entrate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese che liquida in complessivi euro 7.000 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.