Corte di Cassazione ordinanza n. 20061 del 21 giugno 2022

doppia conformità – omesso esame di un fatto decisivo

RILEVATO CHE

1. La società contribuente STARTSTORE S.r.l. ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2009, con il quale venivano recuperate IRES, IRAP e IVA, oltre sanzioni e accessori. L’Ufficio aveva contestato l’omessa conservazione di fatture di acquisto emesse da società prive di organizzazione, aventi ad oggetto operazioni soggettivamente inesistenti, con conseguente indetraibilità dell’IVA. Veniva, poi, rilevata l’omessa integrazione delle fatture di acquisto aventi ad oggetto operazioni intracomunitarie prive degli elementi richiesti dall’art. 46 d.l. 30 agosto 1993, n. 331. Per l’effetto, stante l’omessa conservazione delle fatture, veniva accertato induttivamente il reddito di impresa applicando l’aliquota del 9% ai redditi dichiarati.

2. La CTP di Napoli ha accolto il ricorso in relazione all’IVA detratta relativa alle operazioni intracomunitarie e alla rideterminazione induttiva del reddito, nonché in relazione all’applicazione della sanzione per infedele tenuta delle scritture contabili, confermando l’avviso nel resto, non avendo il contribuente dato la prova della buona fede in relazione alla catena a monte dei propri acquisti.

3. La CTR della Campania, con sentenza in data 19 dicembre 2014, ha rigettato l’appello principale del contribuente e l’appello incidentale dell’Ufficio. Per quanto qui ancora rileva, il giudice di appello ha ritenuto non provata la buona fede del contribuente in relazione alle operazioni di acquisto, attinenti alla catena distributiva a monte, ritenendo irrilevanti gli esiti del procedimento penale nei confronti del legale rappresentante della società contribuente, nonché ritenendo, ulteriormente, irrilevante le circostanze dell’avvenuta consegna della merce e del relativo pagamento. Diversamente, il giudice di appello ha inteso valorizzare, ai fini della consapevolezza del cessionario, sia gli elementi contenuti nel PVC, dai quali si evinceva la «totale carenza di strutture aziendali» dell’emittente, sia alcune dichiarazioni, dalle quali sarebbe risultato che la società contribuente fosse consapevole di avere acquistato merce sottocosto.

4. Propone ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’Ufficio.

CONSIDERATO CHE

1.1 Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto di non fare applicazione dei riscontri in sede penale in costanza di emissione di decreto di archiviazione ex 408 e ss. cod. proc. pen. Osserva parte ricorrente che il giudice di appello ha omesso di considerare le ragioni dell’emissione del decreto di archiviazione, in forza delle conformi richieste del Pubblico Ministero, in cui era stato dedotto che la società contribuente non potesse essere a conoscenza del ruolo di società filtro delle società a monte della catena distributiva. Osserva, inoltre, il ricorrente che il decreto di archiviazione può essere oggetto di valutazione quale prova atipica. Deduce, infine, che l’omessa valutazione del decreto di archiviazione avrebbe comportato una valutazione incompleta del quadro indiziario.

1.2 Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. in relazione ai medesimi profili, in quanto l’omessa valutazione del decreto di archiviazione avrebbe condotto a una diversa valutazione del comportamento della società contribuente cessionaria circa la mancata consapevolezza della natura di cartiera dell’emittente. Si duole, infine, il ricorrente, del contenuto delle dichiarazioni valorizzate dalla CTR, in quanto frutto di mere supposizioni.

2. I due motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili sotto entrambi i profili denunciati. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., peraltro preclusa dall’applicazione nel caso di specie dell’art. 348-ter cod. proc. civ., si rileva come non sia stato dedotto alcun fatto storico omesso dal giudice di appello, ma solo l’omesso esame di elementi istruttori (il decreto di archiviazione), che non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. VI, 8 novembre 2019, n. 28887; Cass., Sez. II, 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., Sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

3. Inammissibile è, poi, la dedotta violazione di legge in quanto, in disparte dall’omessa o incompleta indicazione del parametro normativo, il ricorrente mira a una rivalutazione del ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito a ritenere non fornita la prova dell’inconsapevolezza del contribuente di avere preso parte a una frode IVA e, per di più, ad avere positivamente accertato la consapevolezza del contribuente in tal senso dalla specifica consapevolezza di avere acquistato merci sottocosto. Così facendo il ricorrente, pur deducendo, apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., Sez. VI, 4 luglio 2017, n. 8758; Cass., Sez. VI, 3 dicembre 2019, n. 31546; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

4. La memoria di parte ricorrente non aggiunge ulteriori elementi di discussione, evidenziandosi ulteriormente come oggetto di sindacato non sia l’applicazione delle norme di legge o la violazione delle regole di riparto della prova, bensì l’apprezzamento stesso delle prove e, in particolare, di quelle «raccolte in un procedimento penale», circostanza che rimane sul piano del giudizio di merito.

5. All’inammissibilità del ricorso consegue la regolazione delle spese secondo soccombenza, spese liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.

P.Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.