Corte di Cassazione ordinanza n. 20508 del 24 giugno 2022
attribuzione rendite catastali – classamento di immobili – revisione delle rendite catastali urbane – motivazione – principio di autosufficienza del ricorso per cassazione
Fatti rilevanti e ragioni della decisione.
1. L.F. propone sei motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento con il quale l’agenzia delle entrate, in esito a procedura Docfa attivata dalla parte nell’aprile 2012 per diversa distribuzione degli spazi interni e ristrutturazione, ha proceduto a nuovo classamento e revisione della rendita catastale (portata da euro 5.124,00 ad euro 12.676,00); ciò con riguardo ad un immobile a destinazione speciale (cat.D) di albergo.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che:
- tanto la sentenza di primo grado quanto lo stesso avviso di accertamento dovevano ritenersi adeguatamente motivati; quest’ultimo, in particolare, conteneva elementi sufficienti ai fini della comprensione della variazione catastale adottata così come, in effetti, ampiamente confutata dalla contribuente sia in primo sia in secondo grado;
- l’asserito difetto di motivazione dell’avviso relativamente al saggio di fruttuosità applicato nel 2% non sussisteva, trattandosi di saggio indicato dalla stessa contribuente ed applicato nel minimo di cui all’articolo 29 d.P.R. 1142/49;
- la sentenza di primo grado doveva ritenersi congruamente motivata in ordine alla correttezza della variazione catastale stabilita dall’ufficio, in quanto opportunamente evidenziante vari parametri a tal fine rilevanti (struttura estesa di metri quadrati 6314, camere dotate di bagno privato, connessione wifi ed aria condizionata);
- in effetti, l’Ufficio non aveva proceduto a sopralluogo, ma ciò non doveva ritenersi necessario, secondo quanto desumibile dall’articolo 11, primo comma, decreto l. 70/88 conv.,in l.154/88;
- la rendita attribuita dall’Ufficio era congrua perché conforme alla valenza economica della struttura considerata in relazione a tutte le sue caratteristiche, ed in sede di adattamento dei parametri indicativi di cui al d.P.R. 138/98 alle concrete peculiarità dell’immobile considerato;
- le spese di lite, liquidate in euro 5.500,00 oltre accessori, andavano poste a carico dell’appellante in ragione di soccombenza.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Fissato all’udienza pubblica odierna, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina (successivamente prorogata) dettata dal sopravvenuto art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza fisica del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art.360, co. 1^ n.3, cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 6 e 7 l. 212/00, nonché 29 d.P.R. 1142/49. Per non avere la Commissione Tributaria Regionale rilevato la carenza di motivazione dell’avviso circa l’individuazione delle ‘unità immobiliari analoghe’ sulla base delle quali determinare il saggio di interesse da attribuire al capitale fondiario per stabilire la relativa rendita ex art.29 cit..
2.2 Il motivo è infondato.
La Commissione Tributaria Regionale, come detto, ha osservato che “il saggio di fruttuosità del 2% risulta indicato dalla stessa contribuente e, del resto, è il minimo applicabile nelle determinazioni di cui all’articolo 29 d.P.R. 1142/49”.
La doglianza in esame non si fa carico di questa affermazione, basata sul fatto che fu la stessa contribuente a proporre in questa percentuale il saggio in questione e che, ad ogni modo, si tratta di parametro legale minimo ed invariabile con riguardo alla tipologia di fabbricato.
Quanto stabilito dalla Commissione Tributaria Regionale risulta, ad ogni modo, corretto in diritto, dovendosi fare qui applicazione del principio di legittimità – più volte affermato – secondo cui (Cass.nn. 25555/14; 10037/03 ed altre): “In tema di reddito dei fabbricati a fini fiscali, il saggio di capitalizzazione delle rendite catastali, al quale fa riferimento l’art. 29 del d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, per la determinazione del capitale fondiario, è indicato uniformemente ed autoritativamente per ciascun gruppo senza che l’UTE abbia alcun potere discrezionale nella sua individuazione. Ne consegue che l’UTE, in mancanza di contestazioni riguardanti il gruppo di appartenenza o il valore di mercato dell’immobile (a fondamento dell’attribuzione della rendita catastale ai sensi del d.m. 20 gennaio 1990, applicabile “ratione temporis”), non può eccedere il tasso di fruttuosità (stabilito come variabile solo fra l’1 per cento e il 3 per cento) proprio dei fabbricati ad uso industriale e pari al 2 per cento, ed applicare un differente tasso, esorbitante dalla misura massima consentita. (Fattispecie in cui era stato applicato un tasso di fruttuosità del 3% per un immobile di categoria D, mentre andava obbligatoriamente individuato nella misura fissa del 2%)”.
Quanto osservato rileva anche ai fini dello standard motivazionale dell’avviso, da ritenersi in effetti rispettato allorquando – come nel caso – il parametro percentuale in esso indicato trovi non solo riscontro nella Docfa di parte ma, anche e soprattutto, prescrizione diretta e vincolante nella disciplina applicabile, così da escludere che l’amministrazione Finanziaria sia tenuta a motivare sulle ragioni di applicazione conforme di un criterio predeterminato ed imposto nei suoi limiti quantitativi e di calcolo.
3.1 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta omessa motivazione circa la omessa pronuncia della sentenza di primo grado, ed in ordine alla carente specificazione delle tariffe e dei valori utilizzati dall’Ufficio per la determinazione della nuova rendita, anche considerato che nell’avviso di accertamento opposto l’Ufficio si era limitato a richiamare il fatto che si trattasse di un albergo sul mare (artt.6 e 7 l. 212/00).
Con il quarto motivo di ricorso analogamente si deduce omessa pronuncia e vizio di motivazione ex artt. 6 e 7 l. 212/00. Per non avere la Commissione Tributaria Regionale rilevato l’omessa pronuncia da parte del primo giudice e la totale assenza, nell’avviso, dell’indicazione delle tariffe e dei valori di determinazione della rendita attribuita.
3.2 I due motivi di ricorso debbono essere trattati unitariamente, in quanto sostanzialmente collimanti e portatori della medesima doglianza.
Essi sono infondati.
In primo luogo, essi lamentano il fatto che la Commissione Tributaria Regionale non si sia fatta carico della carenza motivazionale, ovvero dell’omessa pronuncia, alle quali avrebbe dato origine la sentenza di primo grado quanto a mancata specificazione dei parametri di stima utilizzati nell’avviso di accertamento opposto. Così facendo, essi non tengono conto del fatto che la sentenza di appello, quand’anche pienamente confermativa di quella di primo grado, si sovrappone e sostituisce a quest’ultima, in modo tale che solo la sentenza (sostitutiva) di appello può costituire oggetto di ricorso per cassazione per vizi suoi propri, e non per vizi ‘derivati’ della prima pronuncia. Ciò premesso, va escluso che nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale – come detto, l’unica qui rilevante – sussistano lacune motivazionali ovvero omessa pronuncia in ordine ai parametri estimativi utilizzati dall’ufficio. Ciò perché i giudici regionali hanno espressamente considerato il motivo di appello concernente l’asserita carenza motivazionale dell’avviso, e l’hanno rigettato ritenendo a loro volta che l’avviso fosse congruamente motivato perché contenente tutti gli elementi essenziali volti a porre la contribuente in condizione di rendersi edotta dei presupposti del riclassamento e della maggiore rendita, in effetti da lei puntualmente ed esaurientemente contestati in sede giudiziale.
In secondo luogo, i due motivi di ricorso in esame reiterano l’eccezione di carente motivazione dell’avviso senza considerare che quest’ultimo (peraltro neppure trascritto in ricorso né in questo indicato nella sua ubicazione all’interno degli atti processuali) interveniva all’esito di una procedura Docfa attivata dalla parte privata, così da rendersi applicabile il fermo indirizzo interpretativo di legittimità secondo il quale (Cass.n.31809/18 ed innumerevoli altre): “in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza tra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni, mentre, nel caso in cui vi sia una diversa valutazione degli elementi di fatto, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso”. Analogamente si afferma in Cass.n. 12777/18, secondo cui: “in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni, mentre nel caso in cui vi sia una divergente valutazione degli elementi di fatto indicati dal contribuente, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso”. Ora, nella concretezza del caso emerge dalla stessa narrativa della ricorrente che la maggiore rendita venne dall’ufficio attribuita all’esito di una rideterminazione estimativa degli stessi elementi di fatto emergenti dalla Docfa (presentata per diversa distribuzione degli spazi interni successiva a ristrutturazione), senza immutazione o contestazione circa lo stato dei luoghi così come descritto dalla richiedente l’aggiornamento catastale.
4.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 6 e 7 l. 212/00 nonché dell’articolo 11, primo co., decreto legge 70/88 cit., dal momento che l’Ufficio aveva proceduto a rettificare in aumento una rendita già da molti anni consolidata, ciò a fronte della sola diversa distribuzione degli spazi interni e senza procedere a necessario sopralluogo volto a far emergere gli elementi di novità.
4.2 Il motivo è infondato per le stesse ragioni già indicate nel disattendere i due motivi che precedono.
La circostanza che l’immobile in questione fosse da tempo dotato di rendita non escludeva, di per sé, il potere-dovere dell’ufficio di procedere alla revisione di quest’ultima sulla base dell’incrementato valore del bene all’esito dei lavori di ristrutturazione e della diversa distribuzione degli spazi interni; d’altra parte, l’esigenza di aggiornamento catastale (dunque comprensivo anche del classamento e della rendita) era stata qui rappresentata dalla stessa contribuente la quale, proprio a tal fine, aveva attivato la procedura Docfa per i fabbricati già censiti.
Vi è poi da aggiungere che il giudice del merito ha reso un controllo di effettiva congruità e rispondenza della rendita attribuita ai parametri legali, osservando come la stima incrementativa desse correttamente conto dello stato dell’immobile come rinveniente dalla Docfa; così quanto, in particolare, alla sua estensione (6314 mq) ed alla pregevole tipologia delle camere d’albergo (bagno privato, connessione wifi, aria condizionata).
Quanto alla mancanza di previo sopralluogo, la decisione qui impugnata risulta corretta in diritto, essendosi in proposito stabilito (Cass.n. 374/17) che: “In tema di estimo catastale, la revisione delle rendite catastali urbane in assenza di variazioni edilizie non richiede la previa “visita sopralluogo” dell’ufficio, né il sopralluogo è necessario quando il nuovo classamento consegua ad una denuncia di variazione catastale presentata dal contribuente, atteso che le esigenze sottese al sopralluogo ed al contraddittorio si pongono solo in caso di accertamento d’ufficio giustificato da specifiche variazioni dell’immobile”.
Nel senso della non-necessità di sopralluogo in assenza di variazioni edilizie e stante l’assenza di un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale si è espressa anche Cass.n. 21923/12, la quale ha aggiunto – in termini – che l’esigenza di visita-sopralluogo va senz’altro esclusa “quando il nuovo classamento consegua ad una denuncia di variazione catastale presentata dal contribuente”, secondo quanto si desume dall’art. 11, comma 1^, d.l. n. 70 del 1988, convertito nella legge n. 154 del 1988; disposizione che, dunque, la Commissione Tributaria Regionale ha correttamente applicato.
Con specifico riguardo ad immobili della tipologia qui dedotta, si è parimenti stabilito che una cosa è l’obbligo (insussistente) di sopralluogo, ed altro quello (qui osservato) di ‘stima diretta’: “In tema di classamento, l’attribuzione di rendita ai fabbricati a destinazione speciale o particolare, e specificamente quelli classificati nel gruppo catastale D), deve avvenire, come previsto anche dall’art. 7 del d.P.R. n. 604 del 1973, mediante “stima diretta”, senza che ciò presupponga, peraltro, l’effettuazione di un previo sopralluogo, potendo l’Amministrazione legittimamente avvalersi della valutazione, purché mirata e specifica, delle risultanze documentali in suo possesso” (Cass.n. 8529/19; così n.9291/21).
5.1 Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione dei parametri di cui al d.P.R. 138 del 1998, i quali erano stati dall’Ufficio immotivatamente disattesi; purtuttavia, i criteri di stima recepiti nell’avviso erano stati ritenuti sostanzialmente congrui dal giudice regionale nonostante la violazione dei moltiplicatori nella norma previsti.
5.2 Il motivo è inammissibile.
A fronte dell’affermazione della Commissione Tributaria Regionale secondo cui i parametri utilizzati nell’avviso di accertamento rendevano conto della valenza economica della struttura alberghiera considerata in relazione a tutte le sue caratteristiche, la doglianza in esame si basa sul fatto che, al contrario, l’avviso di accertamento avrebbe violato i moltiplicatori di superficie catastale di cui all’Allegato C al d.P.R.138/98 in relazione agli immobili di specie (gruppo T4 – Pensioni).
Da un lato, la Commissione Tributaria Regionale si è soffermata sullo specifico aspetto della superficie della struttura alberghiera (mq.6314), riferendo anche ad essa la valutazione di piena correttezza dei parametri estimativi presi a riferimento nell’avviso; per il che la doglianza si risolve in una, qui non proponibile, istanza di rivisitazione di un vaglio fattuale ed estimativo della fattispecie.
Sotto altro aspetto, la censura non riproduce l’avviso di accertamento nella parte in cui, in sede di determinazione della superficie catastale, non avrebbe applicato (ovvero avrebbe erroneamente applicato) i moltiplicatori in questione. Ciò – in presenza dell’opposta valutazione di merito secondo la quale tutti i parametri utilizzati dall’ufficio, compreso quella della superficie, dovevano invece ritenersi corretti perché rispondenti alla tipologia di immobile ed alle sue caratteristiche fisiche ed economiche – preclude a questa Corte di rilevare l’effettiva sussistenza della difformità denunciata e, di conseguenza, l’effettiva lacuna decisionale nella quale sarebbe incorsa la commissione tributaria regionale. In questa situazione è dunque evidente come non appaia superabile il difetto di specificità ed autosufficienza del quale la doglianza risulta affetta, a maggior ragione considerandosi che essa neppure consente alcun raffronto, sul punto in questione, tra l’avviso di accertamento ed i dati descrittivi forniti dalla contribuente nell’istanza Docfa.
Si è di recente affermato (Cass.SSUU n.8950/22) che: “il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito”.
Ora, nel caso di specie si ha la ricostruzione dell’originario motivo di opposizione e delle statuizioni di primo e secondo grado, ma difetta ogni puntuale indicazione contenutistica degli atti rilevanti, appunto costituiti dall’avviso di cui si assume la difformità dai parametri legali di determinazione di superficie catastale e dai corrispondenti elementi di misura forniti nella procedura Docfa di parte.
6.1 Con il sesto motivo di ricorso si deduce violazione dell’articolo 15 d.lgs. 546/92 e del D.M. 55 del 2014 circa il governo delle spese di lite, dal momento che la Commissione Tributaria Regionale aveva liquidato le spese in euro 5.500,00 oltre accessori, nonostante che il valore della causa fosse pari a 7.000 euro (somma corrispondente alla differenza tra la rendita preesistente e quella variata con l’accertamento impugnato); sicchè, in base a tariffa, non poteva essere liquidata somma eccedente i 3.000 €. Neppure risultava se il giudice regionale avesse applicato la riduzione del 20% di tariffa prevista per il caso di difesa dell’Ufficio attraverso propri funzionari.
6.2 Il motivo è inammissibile.
A parte il fatto che esso non riproduce analiticamente le singole e specifiche attività processuali svolte dalla controparte, costituenti il presupposto per il controllo della liquidazione dei compensi defensionali, risulta dirimente la circostanza che la doglianza si basa su un assunto erroneo e del tutto estraneo al criterio di calcolo adottato dai giudici regionali.
Assume infatti la ricorrente, come assodato, che la lite avesse un valore ex art.15 cod.proc.civ. pari alla differenza tra rendita catastale proposta e rendita catastale attribuita con l’avviso di accertamento dedotto in giudizio. Contrariamente a quanto così ritenuto, la causa in questione aveva valore indeterminabile, proprio perché relativa alla legittimità del riclassamento con maggiorazione di rendita.
La procedura per l’attribuzione della rendita catastale non confluisce in un atto propriamente impositivo o di irrogazione di sanzione, ma si limita ad accertare il valore catastale dell’immobile sulla base del quale saranno eventualmente applicate le imposte che a tale criterio dovranno fare per legge riferimento. Si tratta, in altri termini, di un atto vincolato di assegnazione fondato su un calcolo matematico e su criteri predeterminati.
Ne segue che non è nella specie applicabile il criterio di cui all’articolo 12, secondo co., d.lgs. 546/92 secondo cui (dettato ai fini dell’assistenza tecnica) “per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni erogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle erogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”.
Ponendosi la lite catastale al di fuori della impugnazione di un atto propriamente impositivo ovvero irrogativo di sanzioni esattamente quantificabili, ricorre dunque il criterio residuale di indeterminabilità. Del resto oggi desumibile anche dall’articolo 17 bis d.lgs. 546/92 (reclamo e mediazione) come sostituito dal decreto legislativo 156 del 2015, il quale ammette eccezionalmente alla reclamabilità anche le ‘controversie di valore indeterminabile’ rientranti in quelle di cui all’articolo 2, comma secondo, primo periodo dello stesso decreto legislativo; appunto quelle che hanno ad oggetto tra il resto la ‘consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale’.
Ciò posto, nessuna doglianza viene lamentata con riguardo alla non conformità dell’importo liquidato rispetto alla tariffa concernente le liti di valore indeterminabile.
7. Ne segue il rigetto del ricorso con la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte
- rigetta il ricorso;
- condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito;
- to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
- dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
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