Corte di Cassazione ordinanza n. 20962 del 1° luglio 2022

principio dell’inerenza dei costi deducibili – principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili – ripartizione onere della prova

RILEVATO CHE:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Val d’Aosta il 31 marzo 2015 n. 7/01/2015, che, in controversia su impugnazione di tre avvisi di accertamento per IRPEF ed IRAP relative agli anni 2007 e 2008, oltre ad interessi moratori e sanzioni amministrative, in dipendenza di maggiori ricavi non dichiarati, ha rigettato l’appello proposto in via principale dalla medesima ed ha accolto in parte l’appello proposto in via incidentale da A.M. avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Aosta il 20 marzo 2014 n. 25/02/2014, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha parzialmente riformato la decisione di prime cure sul presupposto che il contribuente avesse adeguatamente comprovato l’inerenza dei costi deducibili. Il ricorso è affidato a tre motivi. A.M. si è costituito con controricorso. In corso di causa, il ricorrente ha chiesto di dichiarare la cessazione parziale della materia del contendere, essendo stata presentata istanza di adesione alla definizione agevolata ex art. 6, comma 2, del D.L.vo 22 ottobre 2016, convertito, con modificazioni, dalla Legge 1 dicembre 2016 n. 225, in ordine ad uno degli impugnati avvisi di accertamento. Con ordinanza interlocutoria, il collegio ha disposto l’assunzione di informazioni sulla sorte della definizione agevolata. All’esito, l’amministrazione finanziaria ha comunicato che il contribuente aveva beneficiato della definizione agevolata soltanto per le imposte dovute con riguardo all’anno 2007. In prossimità dell’adunanza camerale, il contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., chiedendo di non tener conto della definizione agevolata ai fini della decisione del ricorso.

CONSIDERATO CHE:

1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 109, comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986 917 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che la mera produzione dei documenti relativi ai costi bastasse a comprovarne l’inerenza all’esercizio dell’attività di promotore finanziario.

2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 24, 36 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, 112, 113, 115 e 116 cod. proc. civ,., in relazione all’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente omesso dal giudice di appello di pronunciare – oltre all’annullamento dell’avviso di accertamento – una decisione sostitutiva nel merito della pretesa impositiva.

3. Con il  terzo  motivo,  si  denuncia  violazione  e  falsa applicazione degli artt. 7, comma 4, del D.L.vo 18 dicembre 1997 n. 472, e 12 del R.D. 16 marzo 1942 n. 262, in relazione all’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che la «particolare tenuità» del «profilo colposo» del contribuente (anche in considerazione della ritenuta imputabilità delle infedeltà fiscali al consulente tributario) potesse costituire circostanza idonea a manifestare «la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione», ai fini della riduzione di quest’ultima fino alla metà del minimo.

RITENUTO CHE:

1. Premesso che il controricorrente ha chiesto (con la memoria ex 380-bis cod. proc. civ.) di non tener conto dell’istanza di definizione agevolata ex art. 6, comma 2, del D.L.vo 22 ottobre 2016, convertito, con modificazioni, dalla Legge 1 dicembre 2016 n. 225, che era stata presentata in relazione ad una parte della pretesa impositiva, si può procedere all’esame integrale del ricorso. Ciò posto, il primo motivo è fondato, derivandone l’assorbimento dei restanti motivi.

1.1 Difatti, è il caso di rammentare che, secondo questa Corte, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dall’art. 75, comma 5, ora art. 109, comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 medesimo, riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo. Peraltro, l’onere di provare e documentare l’imponibile maturato e dunque l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d’impresa, grava sul contribuente (Cass., Sez. SA, 11 gennaio 2018, 450; Cass., Sez. SA, 21 novembre 2019, n. 30366; Cass., Sez. SA, 19 dicembre 2019, n. 33915; Cass., Sez. SA, 2 febbraio 2021, n. 2224). Per cui, l’antieconomicità e l’incongruità della spesa sono indici rivelatori della mancanza di inerenza, pur non identificandosi con essa (Cass., Sez. 5″, 6 giugno 2018, n. 14579; Cass., Sez. 5″,  26 settembre 2018, n. 22938).

La nozione di inerenza, dunque, implica quella di congruità, sicché deve escludersi la deducibilità di costi sproporzionati o eccessivi, in quanto non inerenti (Cass., Sez. 5″, 30 maggio 2018, n. 13596), attenendo alla compatibilità, coerenza e correlazione dei costi non ai ricavi in sé, ma all’attività imprenditoriale svolta idonea a produrre redditi (Cass., Sez. 5″, 23 maggio 2018, n. 12738; Cass., Sez. 5″, 12 novembre 2019, n. 29179; Cass., Sez. 5″,  17 gennaio 2020, n. 902).

1.2 Così, descrivendo il riparto ed il contenuto dell’onere della prova in materia di inerenza, si è sottolineato che quest’ultima integra un giudizio sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa, quindi con natura qualitativa (Cass., Sez. 5″, 17 luglio 2018, 18904; Cass., Sez. 5″, 28 dicembre 2018, n. 33574; Cass., Sez. 5″, 8 giugno 2021, n. 15932). Spetta, però, al contribuente l’onere della prova “originario”, che quindi si articola ancora prima dell’esigenza di contrastare la maggiore pretesa erariale, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa. Soltanto quando l’amministrazione finanziaria ritenga gli elementi dedotti dal contribuente mancanti, insufficienti od inadeguati oppure riscontri ulteriori circostanze di fatto tali da inficiare gli elementi allegati, può contestare l’inerenza con due modalità. Da un lato, essa può contestare la carenza degli elementi di fatto portati dal contribuente e, quindi, la loro insufficienza a dimostrare l’inerenza, mentre, dall’altro, essa può addurre l’esistenza di ulteriori elementi tali da far ritenere che il costo non è correlato all’impresa (da ultime: Cass., Sez. SA, 2 febbraio 2021, n. 2224; Cass., Sez. SA,  6 luglio 2021, n. 19168).

1.3 Nella specie, quindi, il contribuente, cui incombeva l’onere della prova della inerenza dei costi per smentire le contestazioni dell’amministrazione finanziaria, non ne ha dimostrato in alcun modo l’inerenza all’attività di promotore finanziario. Pertanto, il giudice di appello ha palesemente contravvenuto al principio enunciato, avendo ritenuto che la sola documentazione (mediante fatture emesse o ricevute rilasciate a nome del contribuente e pagate in modo “tracciabile”) bastasse a· comprovare l’inerenza all’attività imprenditoriale ed a giustificare la deducibilità dal reddito delle spese per rappresentanza, ristorazione, viaggi e trasferte.

2. Alla stregua  delle suesposte  argomentazioni, dunque, valutandosi la fondatezza del primo motivo e l’assorbimento dei restanti motivi, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa alla Commissione Tributaria Regionale della Val d’Aosta, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo e dichiara l’assorbimento dei restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale della Val d’Aosta, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.