Corte di Cassazione ordinanza n. 21178 depositata il 5 luglio 2022
recupero di somme erroneamente oggetto di sgravio – per errore disposto lo sgravio – termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento
RILEVATO CHE:
1. R.S. ricorre con sei motivi contro l’Agenzia delle entrate, che è rimasta intimata non avendo notificato alcun controricorso, avverso la sentenza n.390/28/2013, pronunciata in data 13 novembre 2013, depositata in data 30 dicembre 2013 e non notificata, con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’appello del contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa della cartella di pagamento per Irpef 1998 e 2000, emessa quale ruolo straordinario in relazione al recupero di sgravio indebito, emesso dall’ufficio con atto dell’8/5/2008, notificato il 18/5/2009.
2. Con la sentenza impugnata, la c.t.r. premetteva che <<secondo la Cassazione (Sez. 5, sent. n. 13934 del 24/06/2011) il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo (artt. 18 e 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), i quali costituiscono la causa petendi rispetto all’invocato annullamento dell’atto medesimo, con conseguente duplice inammissibilità di un mutamento delle deduzioni avanti al giudice di secondo grado, ovvero dell’inserimento di temi d’indagine nuovi>>.
Tanto premesso, i giudici di appello ritenevano che, nella fattispecie, < <appare indubbio che il contribuente abbia impugnato il provvedimento nella (errata) presupposizione che il medesimo fosse stato adottato in applicazione dell’art. 36 – bis d.P.R. n.600/1973, all’uopo facendo riferimento alla sentenza (rectius: ordinanza) della Corte Costituzionale n.178/2008, nella parte in cui essa si è pronunciata in ordine alla costituzionalità della medesima disposizione>>.
Dunque, la C.t.r. affermava che appariva una domanda del tutto nuova, in quanto tale inammissibile, quella avanzata dal contribuente nel giudizio di appello.
Ciò in quanto <<il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità dell’atto impositivo, è strutturato come un giudizio d’impugnazione del provvedimento, in cui l’oggetto del dibattito è circoscritto alla pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, ed entro i limiti delle contestazioni sollevate dal contribuente. Pertanto, si ha domanda nuova per modificazione della causa petendi, inammissibile in appello, quando i nuovi elementi dedotti dinanzi al giudice di secondo grado comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere, in definitiva, una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado, e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio. Tale appare essere, di tutta evidenza, la nuova prospettazione avanzata dal contribuente innanzi a questa Commissione tributaria regionale, che, di conseguenza, non può che rigettare l’appello in epigrafe>>.
3. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 17 maggio 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 – bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31 agosto 2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197.
CONSIDERATO CHE:
1.1 Con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art.36 lgs. 31 dicembre 1992, n.546, in relazione agli artt.112 cod. proc. civ. e 111 Cost., ex art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ.
Secondo il ricorrente, nella sentenza impugnata manca completamente l’iter esplicativo della decisione adottata, sia in relazione alla rilevata tardività della cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato, sia in ordine alla diversa fonte giuridica della rettifica effettuata dall’ufficio, sia, ancora, con riferimento alle ragioni per le quali l’iniziale causa petendi dovesse ritenersi illegittimamente modificata in appello.
1.2 Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art.112 proc. civ., in combinato disposto con gli artt. 19 e 57 d.lgs. 31 dicembre 1992, n.546, ex art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ.
Afferma il ricorrente che il giudice di appello ha ritenuto che il contribuente avesse esteso il petitum e la causa petendi, poiché non li aveva correttamente interpretati, dovendosi concludere che la C.t.r. abbia ritenuto che l’iscrizione a ruolo straordinario, con l’indicazione in nota “recupero sgravio indebito”, costituisse altro titolo della pretesa, diverso dall’accertamento di cui all’art.36 – bis d.P.R. 29 settembre 1973, n.600.
Secondo il ricorrente, si trattava all’evidenza di una nuova iscrizione dell’originaria pretesa, basata sul controllo automatizzato ex art. 36 – bis d.P.R. n.600/1973 delle dichiarazioni Unico 1998 e 2000.
1.3 Con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 19 e 57 d.lgs. 31 dicembre 1992, 546, ex art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ.
Il ricorrente rileva che la questione posta al giudice di primo grado, e reiterata in appello, era la intempestività della cartella di pagamento, che, secondo il contribuente, risultava emessa oltre i termini di cui all’art.25 d.P.R. 29 settembre 1973; n.602.
La nuova iscrizione a ruolo costituiva una nuova imposizione, basata sullo stesso titolo della precedente (il controllo automatizzato ex art. 36–bis d.P.R. n.600/1973), avvenuta, però, oltre i termini di decadenza.
1.4 Con il quarto motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art.25 d.P.R. 29 settembre 1973, n.602, con riferimento alla disciplina transitoria di cui all’art.36, comma 2, lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, in combinato disposto con l’art.36 – bis d.P.R. 29 settembre 1973, n.600, in relazione ali’ art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.
Secondo il ricorrente, in ragione degli effetti provocati dall’annullamento in autotutela della precedente iscrizione a ruolo, la nuova iscrizione non poteva che essere censurata dal contribuente se non con riferimento al medesimo ed unico titolo della pretesa.
1.5 Con il quinto motivo, il ricorrente denunzia l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio sulla questione della tardività della cartella ex art.25 d.P.R. 29 settembre 1973, n.602, in relazione all’ art.360, primo comma, n.5, cod. proc. civ.
Ritiene il ricorrente che il giudice di appello, se avesse correttamente ricondotto la nuova iscrizione a ruolo alla precedente iscrizione ex art.36 – bis d.P.R. n.600/1973, avrebbe rilevato la tardività della cartella di pagamento, notificata il 18 maggio 2009 per imposte relative all’anno 1998 e 2000, per le quali i termini di decadenza, ex art.25 d.P.R. n.602/1973, come modificato dalla I.n.156/2005, applicabile in base alla disciplina transitoria di cui all’art.36, comma 2, d.lgs. n.46/1999, erano rispettivamente il 31 dicembre 2004 ed il 31 dicembre 2006.
1.6 Violazione e/o falsa applicazione degli artt.25 d.P.R. 29 settembre 1973, n.602, come modificato dalla 1.31 luglio 2005, n.156, 36, comma 2, lgs. 26 febbraio 1999, n.46, e 36 bis d.P.R. 29 settembre 1973, n.600, in relazione ali’ art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.
Deduce il ricorrente che il giudice ha implicitamente avallato la legittimità di una cartella di pagamento, i cui termini di decadenza, previsti in relazione all’art. 36 – bis d.P.R. n.600/1973, secondo la normativa transitoria, erano spirati, trattandosi dì pretesa iscritta a
ruolo, a seguito del controllo automatizzato, rispettivamente, delle dichiarazioni relative agli anni d’imposta 1998 e 2000.
In applicazione della normativa richiamata, invece, il giudice avrebbe dovuto rilevare la decadenza dalle pretese, laddove, secondo la disciplina transitoria (art. 36, comma 2, d. lgs. n. 46/1999), la cartella avrebbe comunque dovuto essere notificata, a pena di decadenza, entro il quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, relativamente alle dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001 (quindi- per l’anno d’imposta 1998 – dichiarazione Unico 1999 – il termine di decadenza era già spirato al 31 dicembre 2004; – per l’anno d’imposta 2000 – dichiarazione Unico 2001 – il termine era già spirato al 31 dicembre 2006).
2.1 I motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati e vanno accolti.
2.2 La fattispecie riguarda l’iscrizione a ruolo straordinario di imposte oggetto di una precedente cartella emessa ai sensi dell’art.36· bis d.P.R. n. 600/1973 e successivamente oggetto di sgravio a seguito di annullamento in autotutela.
Deve pertanto ritenersi che al caso di specie sia correttamente applicabile il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui in tema di recupero di somme erroneamente oggetto di sgravio, l’Agenzia delle entrate ha facoltà di emettere una nuova cartella di pagamento nel rispetto, per l’anno di imposta di riferimento, dei termini di decadenza stabiliti dal d.P.R. n.602/1973, sempreché sulla prima cartella, notificata in relazione all’originaria iscrizione a ruolo, non vi sia stata impugnazione e pronuncia di sentenza passata in giudicato e fermo restando l’onere per l’ufficio, prima di procedere alla reiscrizione a ruolo ed al successivo invio della cartella esattoriale, di provvedere ad una comunicazione preventiva in favore del contribuente (Cass. n. 26765/2020; conf. Cass. n.22221/2019; Cass. n. 677/2019; Cass. n. 8292/2018).
In particolare, si è detto che l’Amministrazione finanziaria, la quale ha per errore disposto lo sgravio della prima cartella, può emettere un’altra cartella, purché i termini per l’emissione della stessa non siano decorsi in relazione al periodo di imposta cui attiene il recupero.
In detta ipotesi, non è necessaria una motivazione dell’atto, in quanto avente il medesimo contenuto di quello precedente ed emanato allo scopo di reiterare la stessa pretesa impositiva (cfr. Cass. n.8292/2018, citata).
Nel caso di specie la sentenza della C.t.r. non ha fatto corretta applicazione dei citati principi e deve essere cassata.
Risultando, peraltro, dalla stessa sentenza che l’iscrizione a ruolo straordinario, per imposte risalenti al 1998 ed al 2000, è stata notificata in data 18 maggio 2009, ben oltre i termini previsti per la notifica della cartella di pagamento ex art.25 d.P.R. n.602/1973, nella formulazione vigente ratione temporis, e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, il ricorso introduttivo del contribuente va accolto.
Invero, in tema di riscossione delle imposte sui redditi, la disciplina transitoria dettata dall’art. 1 del d.l. n. 106 del 2005, conv. con modif. dalla legge n. 156 del 2005, in tema di termini di decadenza per la notificazione delle cartelle di pagamento per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni presentate entro i termini indicati nella stessa disciplina, si applica anche alle cartelle di pagamento notificate dopo la sua entrata in vigore (cfr. Cass. n.1858/2020; vedi anche Cass. n. 29845/2017, che chiarisce che <<in tema di riscossione delle imposte sui redditi, l’art. 1 del d.l. n. 106 del 2005, convertito con modificazioni nella legge n. 156 del 2005 – dando seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2005, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, nella parte in cui non prevedeva un termine di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alle imposte liquidate ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 – ha fissato, al comma 5-bis, i termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alla pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni, ed ha stabilito all’art. 5-ter, sostituendo il comma secondo dell’art. 36 del d.lgs. n. 46 del 1999, che, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni, la cartella di pagamento debba essere notificata, a pena di decadenza, per le dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione>>).
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del doppio grado del giudizio di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente;
compensa le spese del doppio grado del giudizio di merito;
condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00, per compensi, oltre il 15% per spese generali, euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge.