Corte di Cassazione ordinanza n. 21184 depositata il 5 luglio 2022
inesistenza della notifica – sanatoria della notifica per raggiungimento dello scopo – art. 36 – bis
RILEVATO CHE:
1. Maria Pettinato ricorre con due motivi contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, awerso la sentenza n.1202/2/14, pronunciata in data 5 giugno 2014, depositata in data 6 giugno 2014 e non notificata, con la quale la Commissione tributaria regionale della Calabria ha rigettato l’appello della contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa della cartella di pagamento emessa ex art.36–bis d.P.R. n. 600/1973, con cui l’ufficio riprendeva a tassazione gli interessi passivi ai fini dell’Irpef dell’anno 1976;
2. con la sentenza impugnata, la t. r. riteneva legittima la procedura adottata dall’amministrazione finanziaria per il recupero delle imposte dovute sulla base dei dati esposti dalla contribuente nella dichiarazione e della documentazione allegata;
rilevava che la normativa di riferimento stabiliva che la deduzione degli interessi passivi non poteva superare il limite dei tre milioni di lire, se non in presenza di prestiti o mutui agrari di ogni specie;
riteneva, infine, che correttamente il primo giudice avesse affermato la validità della notifica della cartella di pagamento;
3. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 7 giugno 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
4. la contribuente ha depositato memoria;
CONSIDERATO CHE:
1.1 con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art.65, secondo e quarto comma, P.R. 29 settembre 1973.n.600, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.;
secondo i ricorrenti erroneamente la C.t. r. non avrebbe rilevato l’inesistenza della notifica della cartella esattoriale intestata al de cuius e notificata a quest’ultimo, dopo la sua morte, presso il suo ultimo domicilio, ove era stata ricevuta materialmente da un parente;
1.2 il primo motivo è infondato;
alla luce del più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (vedi Cass. 1156/2019, che richiama Cass. n. 17251/2013 e Cass. n.17198/2017), che questo collegio condivide, la tempestiva proposizione del ricorso del contribuente avverso la cartella di pagamento (evenienza realizzatasi nel caso di specie) produce l’effetto di sanare ex tunc la nullità della relativa notificazione, per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 cod. proc. civ., pur non determinando il venir meno della decadenza, eventualmente verificatasi medio tempore, del potere sostanziale di accertamento dell’Amministrazione finanziaria;
in primo luogo deve rilevarsi l’evoluzione, in generale, in senso restrittivo, del concetto di inesistenza della notifica, come affermato, in tema di notificazione del ricorso per cassazione, dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n.14916/2016;
inoltre, la sanatoria dell’eventuale vizio di nullità della notifica, per raggiungimento dello scopo, riguardo anche ad un atto sostanziale e non processuale, come l’avviso di accertamento, costituisce un approdo consolidato della giurisprudenza di questa Corte, sin dalla sentenza delle Sezioni Unite, 5 ottobre 2004, n. 19854, che ha affermato che <<la natura sostanziale e non processuale (né assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria>>;
tali principi operano anche in tema di notifica delle cartelle esattoriali, per le quali si è detto che < < la nullità della notifica della cartella di pagamento è sanata se la consegna della stessa ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale dello stesso, in omaggio alla regola generale sancita dall’art. 156, comma 3, cod. proc. civ. (v.Cass. n. 11051 del 2018), sicché è inammissibile l’eccezione con la quale si lamenti esclusivamente detto vizio procedimentale, senza illustrare un concreto pregiudizio del diritto di difesa (Cass. n. 3805 del 2018; Cass. S.U. n. 7665 del 2016), come nella specie parte ricorrente ha omesso di prospettare>> (Cass. n. 13760/2019);
nel caso di specie, è pacifico tra le parti e risulta dalla sentenza impugnata che la notifica dell’atto, intestato al de cuius ed a lui indirizzato (e non agli eredi collettivamente ed impersonalmente), era stata effettuata presso il suo ultimo domicilio, in mancanza della comunicazione di cui all’art. 65, secondo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, che non ha equipollenti (Cass. n. 23416/2015, n. 27284/2014); né è contestato che l’Agenzia delle entrate fosse in possesso delle necessarie informazioni circa il decesso del contribuente, in quanto la stessa amministrazione finanziaria riconosce che, a seguito della morte di Pietro Mazza, era stata presentata la dichiarazione dei redditi percepiti fino al suo decesso;
la notifica, effettuata conformemente alla previsione legislativa presso l’ultimo domicilio del de cuius, avrebbe dovuto essere indirizzata collettivamente ed impersonalmente agli eredi;
tuttavia, alla luce dei principi sopra esposti, non essendovi questione di decadenza, al vizio denunciato risulta applicabile la sanatoria per il principio del raggiungimento dello scopo, in quanto la ricorrente, erede del contribuente ed, in quanto tale, responsabile solidalmente delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa, ex art. 65, primo comma, d.P.R. n. 600/1973, ha provveduto ad impugnare la cartella di pagamento anche per motivi di merito, dimostrando di avere avuto contezza del suo contenuto;
neanche è ravvisabile alcuna lesione del diritto di difesa, in quanto il rapporto processuale venuto ad esistenza a seguito della notifica della cartella esattoriale ha per parti proprio i soggetti tra i quali, alla stregua della legittimazione sostanziale, come stabilita dall’art.65, primo comma, d.P.R. n.600/1973, esso doveva costituirsi;
2.1 con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, 5, cod. proc. civ.; secondo la ricorrente, la C.t. r. non avrebbe valutato la documentazione prodotta, relativa ai contratti dei mutui fondiari ai quali gli interessi passivi si riferivano, ritenendo erroneamente la legittimità della cartella emessa ex art. 36-bis d.p.r. n. 600/1973; ritiene la ricorrente che l’ufficio non avrebbe potuto, con un semplice controllo automatizzato, considerare indeducibili gli interessi passivi, oltre il limite di tre milioni di vecchie lire posto dall’art.10 d.P.R. n. 597/1973, come modificato dalla legge n.114/1977, in quanto dalla documentazione allegata alla dichiarazione emergeva chiaramente che non si era in presenza di interessi deducibili ai sensi dell’art.10 citato, bensì di interessi per 251.376.000 di vecchie lire, che costituivano costi di impresa, come tali interamente deducibili;
doveva, dunque, ritenersi che il contribuente era incorso in un semplice errore materiale nell’aver incluso, nella dichiarazione, gli interessi passivi in questione negli oneri deducibili e non nel quadro del reddito di impresa, con conseguente deducibilità degli stessi;
2.2 il motivo è infondato ed inammissibile e va rigettato;
in primo luogo, come è stato detto, < < il potere attribuito agli uffici finanziari, in base all’art. 36 – bis, comma secondo, lettera d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, di escludere la deduzione dal reddito complessivo delle persone fisiche degli oneri non previsti dall’art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, non è esercitabile quando, per ricavarne l’indeducibilità, sia necessario procedere alla interpretazione o della documentazione allegata o della norma giuridica, occorrendo in tali casi un atto di accertamento esplicitamente motivato; esso può, invece, essere esercitato allorquando sia rilevabile ictu oculi, a seguito di controllo formale della dichiarazione (e della allegata documentazione), che il titolo, dal suo confronto cartolare , è diverso da quello richiamato dalla lettera della legge, restandone documentato uno diverso (nella specie l’ufficio aveva, correttamente, negato la deducibilità degli interessi passivi relativi a prestiti e mutui agrari prevista dall’art. 10, primo comma, lettera c), del d.P.R. n. 597 del 1973, come modificato dall’art. 5 della legge 13 aprile 1977, n. 114, poi trasfuso nell’art. 10, comma 1, lettera c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in presenza di interessi passivi afferenti ad un rapporto di apertura di credito, regolato dall’art. 1842 cod. civ.)>> (Cass. n. 8359/2006);
nel caso di specie, la parte ha indicato in dichiarazione interessi passivi, quali oneri deducibili ex art.10 d.P.R. n. 597/1973, oltre i limiti all’epoca consentiti;
pertanto, sulla base della stessa dichiarazione, a seguito di controllo automatizzato l’Agenzia delle entrate ha recuperato legittimamente a tassazione gli interessi che superavano i limiti previsti dalla norma;
la contribuente deduce che la dichiarazione era affetta da un errore meramente materiale, in quanto gli interessi passivi erano ricollegabili al reddito di impresa e, quindi, interamente deducibili, come era dato evincersi dai contratti di mutuo fondiario allegati alla dichiarazione stessa e prodotti in giudizio, di cui il giudice di appello aveva omesso l’esame;
tuttavia, il giudice di primo grado, in ciò confermato dal giudice di appello, ha ritenuto che gli interessi passivi collegati ai contratti di mutuo fondiario fossero oneri deducibili rientranti nell’ipotesi di cui all’art.10 citato e soggiacessero al limite di deducibilità all’epoca vigente;
pertanto sotto tale profilo, il motivo è inammissibile perché involgerebbe valutazioni di merito sulla natura degli oneri relativi agli immobili oggetto dei mutui fondiari già effettuate nei precedenti gradi di giudizio e precluse in sede di legittimità;
dunque, il ricorso va complessivamente rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente;
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2200,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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