Corte di Cassazione ordinanza n. 21362 del 6 luglio 2022
riconoscimento costi anche senza contabilizzazione – esistenza ed inerenza – coerenza – onere della prova – ripartizione della prova – principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – vizio di motivazione – oggettiva inesistenza delle operazioni
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
la parte contribuente impugnava un avviso di accertamento per IRES per l’anno d’imposta 2013 relativo alla ritenuta indeducibilità per difetto di inerenza di costi;
la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente e la Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate, affermando che la parte contribuente ha fornito prova dell’esistenza, della inerenza nonché della coerenza economica del costo portato in deduzione, avendo contabilizzato e supportato con adeguata documentazione probatoria la relativa fattura.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate, affidato a due motivi di impugnazione, mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo perchè il ricorso sia dichiarato inammissibile o in subordine rimesso alla pubblica udienza della sezione quinta tributaria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
con il primo motivo d’impugnazione l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 36, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 4, c.p.c., per essere la motivazione meramente apparente;
con il secondo motivo d’impugnazione, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 3, c.p.c., per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che non gravasse sulla società contribuente l’onere della prova in ordine all’inerenza dei costi sopportati.
Il primo motivo di impugnazione è infondato.
Secondo questa Corte infatti:
in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.I. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass. n. 22598 del 2018);
in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819 del 2020);
il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cast., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 27899 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017; Cass. SU n. 8053 del 2014);
in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l.n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cast. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass. n. 27899 del 2020; Cass. n. 22598 del 2018).
La sentenza della Commissione Tributaria Regionale affermando che la parte contribuente ha fornito prova dell’esistenza, dell’inerenza nonché della coerenza economica del costo portato in deduzione, avendo contabilizzato e supportato con adeguata documentazione probatoria la relativa fattura – evidenziando in particolare non solo la presenza formale della fattura ma anche la documentazione riferita a suddetta fattura ha fornito una motivazione circa il merito della lite e in particolare dell’esistenza e della deducibilità del costo sostenuto sufficientemente chiara, ragionevole e coerente, che si colloca al di sopra del minimo costituzionale di motivazione di cui all’art. 111 Cost.
L’infondatezza del motivo di impugnazione rende superfluo l’esame delle eccezioni relative a tale motivo contenute nel controricorso.
Va invece preliminarmente disattesa l’eccezione relativa all’asserita inammissibilità del secondo motivo di impugnazione in quanto, a detta della parte contribuente, non contenente una pertinente e ragionevole censura, contenente solo principi astratti svincolati dalla fattispecie astratta. Nella specie infatti il motivo di impugnazione è proposto in maniera non solo formalmente ma anche sostanzialmente corretta, individuando specificamente il punto di doglianza nella scorretta distribuzione dell’onere probatorio quanto all’inerenza dei costi e spiegando in maniera analitica e approfondita i motivi a sostegno della suddetta tesi, mediante una puntuale ricostruzione della fattispecie accompagnata da un adeguato supporto documentale nel rispetto del principio di autosufficienza, sottoponendo a critica le parti in diritto della sentenza impugnata e confrontandole con le proprie rimostranze, dovendosi altresì tenere conto che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo cui il giudice di legittimità deve essere messo nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia ed il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa, va interpretato alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, risultando compatibile con il diritto fondamentale di accedere al giudice di legittimità e con il principio del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, purché i filtri di ammissibilità ex art. 366, comma 1, nn. 3 e 6, c.p.c., collegati alla tecnica di redazione del ricorso, non vengano letti in maniera eccessivamente formale, al solo scopo di fronteggiare il forte afflusso di procedimenti (Cass. n. 7186 del 2022).
Nel merito, il secondo motivo di impugnazione è fondato. Secondo questa Corte, infatti:
in materia di deducibilità dei costi d’impresa, la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 33915 del 2019); in tema di reddito d’impresa, ai fini della deducibilità dei costi sostenuti, il contribuente è tenuto a dimostrarne l’inerenza, intesa in termini qualitativi e dunque di compatibilità, coerenza e correlazione, non già ai ricavi in sé, ma all’attività imprenditoriale svolta, sicché deve provare e documentare l’imponibile maturato, ossia l’esistenza e la natura dei costi, i relativi fatti giustificativi e la loro concreta destinazione alla produzione (Cass. n. 2224 del 2021);
in tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 27554 del 2018; Cass. n. 17619 del 2018);
in tema di imposte sul reddito d’impresa, in presenza di contestazione dell’Amministrazione finanziaria relativa all’insussistenza di una posta passiva iscritta a bilancio, è onere del contribuente dimostrare l’esistenza e l’ammontare della stessa, oltre che l’inerenza all’attività di impresa esercitata ai fini della deduzione, senza che rilevi l’eventuale inerzia dell’Ufficio relativamente alla dichiarazione resa per periodi di imposta precedenti, contenente la medesima posta, stante l’autonomia di ciascun periodo ai fini dell’esercizio del potere impositivo, tale per cui il termine decadenziale va valutato con riferimento al periodo di imposta cui si riferisce la dichiarazione rettificata (Cass. n. 14999 del 2020);
il principio in virtù del quale è consentito all’imprenditore, in sede di accertamento dell’imposta sul reddito, dedurre dal reddito imponibile anche i costi d’impresa non risultanti dalle scritture contabili non costituisce una deroga alle regole generali in tema di riparto dell’onere della prova, restando, quindi, a carico dell’imprenditore (ovvero, dopo il suo fallimento, del curatore fallimentare) dimostrare di avere effettivamente sostenuto i costi dei quali chiede la deduzione, prova, questa, che, ai sensi dell’art. 2709 c. c., non può essere fornita attraverso la mera annotazione del costo nel libro giornale (Cass. n. 16430 del 2021; Cass. n. 5079 del 2017);
in tema di imposte sui redditi d’impresa, l’abrogazione, ad opera dell’art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1996, dell’art. 75, comma 6, del d.P.R. n. 917 del 1986, che impediva la deduzione dei costi non regolarmente registrati nelle scritture contabili, non ne determina l’automatica deducibilità, dovendo l’imprenditore dimostrare di averli effettivamente sostenuti: tale prova, tuttavia, non può essere fornita esclusivamente mediante le annotazioni del libro giornale, in quanto le stesse, per un verso, non fanno fede della veridicità dei dati in esso esposti e, per un altro, non costituiscono prova a favore dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2709 c.c. (Cass. n. 16430 del 2021; Cass. n. 18401 del 2018);
in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (nella specie, la Cassazione ha negato la deducibilità dei premi, di importo cospicuo, corrisposti dall’amministratore della società alle proprie affiliate in assenza di un supporto documentale: Cass. n. 16430 del 2021; Cass. n. 13300 del 2017).
La Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai suddetti principi laddove – affermando che la parte contribuente ha fornito prova dell’esistenza, della inerenza nonché della coerenza economica del costo portato in deduzione, avendo contabilizzata e supportata con adeguata documentazione probatoria la relativa fattura – ha erroneamente ritenuto fornita la prova della sussistenza dei costi dedotti ritenendo sufficiente la presenza delle fatture e la loro relativa contabilizzazione senza adeguatamente motivare in merito all’esistenza e all’inerenza dei costi portati in deduzione, in particolare senza approfondire se la descrizione in esse contenuta della prestazione asseritamente fornita fosse sufficientemente specifica e senza riscontrare una puntuale imputazione di un pagamento ad un determinato e compiutamente descritto servizio realmente effettuato ed inerente all’attività d’impresa, non potendosi ritenere assolto l’onere della prova semplicemente in virtù dell’esibizione di fatture ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia, cosicché non risulta raggiunta da parte del contribuente la prova dell’effettivo sostentamento del costo prima ancora che dell’inerenza della prestazione dedotta in fattura all’attività d’impresa. In definitiva la sentenza impugnata non ha fatto un corretto uso dei principi in ordine alla corretta distribuzione degli oneri della prova, accontentandosi di meri labili indizi relativi all’esistenza e all’inerenza dei costi e quindi di fatto riversando erroneamente l’onere della relativa prova in capo all’Ufficio. In effetti, pur di fronte ad una puntuale ed analitica contestazione dell’Ufficio in tutti gradi del giudizio (fin dall’avviso di accertamento, riportato finanche nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza) circa l’esistenza di costi asseritamente sostenuti ma non documentati, ha ritenuto fornita la prova della sussistenza e dell’inerenza dei costi accontentandosi di constatare in maniera alquanto generica la presenza di fatture all’interno della contabilità, senza una puntuale imputazione di ciascun pagamento ad una determinata prestazione realmente effettuata ed inerente all’attività d’impresa.
Pertanto, ritenuto infondato il primo motivo di impugnazione e fondato il secondo, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa alla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
respinge il primo motivo di impugnazione e accoglie il secondo, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione ordinanza n. 16430 del 10 giugno 2021 - In tema di imposte sui redditi d'impresa, l'abrogazione, ad opera dell'art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1996, dell'art. 75, comma 6, del d.P.R. n. 917 del 1986, che impediva la deduzione dei costi…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 10 gennaio 2022, n. 394 - In tema di imposte sui redditi d'impresa, l'abrogazione, ad opera dell'art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1996, dell'art. 75, comma 6, del d.P.R. n. 917 del 1986, che impediva la deduzione dei costi…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 13 maggio 2021, n. 12914 - In tema di imposte sui redditi d'impresa, le garanzie del rendimento locativo minimo (...) non rientrano tra gli accantonamenti tassativamente previsti dalle disposizioni sulla determinazione…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 15530 depositata il 1° giugno 2023 - In tema di imposte sui redditi delle società, la deducibilità di costi ed oneri richiede la loro inerenza all'attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 18231 depositata il 26 giugno 2023 - Sia ove il metodo di accertamento sia analitico-induttivo, sia ove venga utilizzato il metodo di accertamento induttivo cosiddetto "puro", potrebbe effettivamente violare i…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 luglio 2020, n. 14990 - Deducibilità costi in "nero" - In tema di accertamento delle imposte sui redditi ed in merito alla deducibilità di costi di impresa non registrati, l'onere della prova circa l'esistenza ed…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- L’anatocismo è dimostrabile anche con la sol
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 33159 depositata il 29 novembre 2023,…
- Avverso l’accertamento mediante il redditome
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 31844 depositata il 15 novembre…
- Si è in presenza di appalti endoaziendali illeciti
Si è in presenza di appalti endoaziendali illeciti ogni qualvolta l’appaltatore…
- Per il provvedimento di sequestro preventivo di cu
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 47640 depositata il…
- Il dirigente medico ha diritto al risarcimento qua
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 28258 depositata il 9 ottobre 20…