Corte di Cassazione ordinanza n. 21444 del 6 luglio 2022
dazi – dogane – estinzione – cause scindibili – prescrizione – procedimento penale
RILEVATO CHE
1. A seguito di una verifica parziale nei confronti della società S. S.p.A., veniva contestata alla detta società contribuente, con verbale di accertamento in data 23 marzo 2001, l’evasione di diritti doganali in relazione ad operazioni di importazione di banane fresche da Paesi A.C.P. nel periodo 1997 – 2000, mediante utilizzo di titoli d’importazione («AGRIM») necessari all’importazione di prodotti ortofrutticoli contingentati, utilizzo che secondo l’Ufficio era finalizzato alla indebita fruizione di dazi agevolati. Nel verbale, come risulta dalla sentenza impugnata, si contestava la vendita simulata di banane tramite lo spedizioniere doganale F.A. S.r.l. (società all’epoca diversamente denominata) a 57 (cinquantasette) operatori del settore ortofrutticolo. L’Ufficio contestava due tipologie di simulazione, la prima preordinata alla cessione di titoli di importazione tra un operatore «tradizionale» e un operatore «nuovo arrivato», la seconda tra operatori «tradizionali» in assenza di autorizzazione da parte dell’Autorità competente. Il ruolo degli importatori, secondo l’Ufficio, era meramente «cartolare», nel senso che tutte le operazioni di importazione sarebbero state finalizzate a consentire a S. S.p.A. di disporre della merce, la quale veniva da S. riacquistata dagli importatori, dopo che la stessa era stata detenuta, nelle more del riacquisto, presso magazzini di stoccaggio del gruppo S.. L’operazione complessiva avrebbe consentito, pertanto, a S. di importare banane a dazio agevolato altrimenti non fruibile in caso di importazione diretta, tramite indebito utilizzo dei titoli di importazione, con conseguente aggiramento delle norme eurounitarie di contingentamento del regime tariffario agevolato. Contestualmente si procedeva a inoltro di notizia di reato alla Procura della Repubblica, il cui procedimento si concludeva con decreto di archiviazione in data 4 luglio 2008. All’esito, venivano notificati agli operatori coinvolti diversi inviti di pagamento dei maggiori dazi dovuti.
2. A seguito di separate impugnazioni proposte dai singoli contribuenti, la CTP di Savona ha accolto i ricorsi, ritenendo maturata la prescrizione triennale delle azioni di recupero dei crediti erariali.
3. La CTR della Liguria, con sentenza in data 31 ottobre 2012, previa riunione di tutti i ricorsi, ha rigettato gli appelli dell’Ufficio e ha dichiarato assorbite le ulteriori questioni, confermando l’eccezione preliminare di prescrizione dell’azione di recupero dei maggiori dazi. In particolare, il giudice di appello ha osservato che il termine di prescrizione può essere interrotto solo ove entro tre anni dal compimento dell’operazione doganale venga formulata una notitia criminis. Ha, quindi, osservato il giudice di appello che – all’atto dell’inoltro della notizia di reato in data 23 marzo 2001 – dovevano ritenersi prescritte le operazioni contabilizzate nel 1997 e parte di quelle relative al 1998, ove contabilizzate oltre il triennio precedente l’inoltro della notizia di reato. Il giudice di appello ha, poi, ritenuto prescritte anche le operazioni contabilizzate successivamente a tale data, non essendo la prescrizione stata tempestivamente interrotta in epoca successiva all’inoltro della notitia criminis. Il giudice di appello ha, poi, ritenuto irrilevante a tale riguardo l’emissione del decreto di archiviazione, in quanto privo di accertamento di un reato e ha, infine, osservato che gli elementi utilizzati dall’Autorità Doganale sarebbero stati gli stessi originariamente contenuti nella notitia criminis.
4. Propone ricorso per cassazione l’Ufficio, affidato a due motivi; resistono con controricorso i contribuenti D.F., M.S. S.r.l., senza ulteriori memorie, nonché (con memorie) S. S.p.A., GI.BI. S.r.l., G.A., P.F.C. s.r.l., B.K.M. (i quali hanno depositato una ulteriore memoria anche in replica alle conclusioni del P.M.), D.I.E. S.r.l., P.A., P.G., G.S., P.R., P.M., M.A.M.A, M.G., I.T., I. D., D.A.M., L.P., L.M., C.A., P.M., M.G., M.A., I.T., I.D. D.A.M.. Hanno proposto ricorso incidentale i controricorrenti D.F. (affidato a due motivi e condizionato), D.I.E. S.r.l. (affidato a due motivi e condizionato anch’esso), nonché il controricorrente M.S. S.r.l., affidato a un solo motivo. Gli altri contribuenti intimati non si sono costituiti in giudizio.
5. Con ordinanza comunicata in data 10 febbraio 2022 è stata disposta la rinnovazione della notificazione a quarantaquattro contribuenti intimati, nella specie F.A. S.r.l., S.A. S.r.l., I.G., BRESCIANI IRIS, PASSANTINO ELEONORA, DEL PRETE ANTONIO, E. S.n.c. di G.S. & FRATELLI, T.G. & C. S.n.c., F.F. S.p.A., S.F.M. S.r.l., G.F. G. S.p.A., C.D., T.L., T. di T.L. e S.n.c., C.B. S.r.l. in liquidazione, G. S.n.c. di S.G. & C., DI L.B., G.L., F.LLI C. S.a.s. di C.M., C.M., G.G. S.a.s. di G.V. & C., P. E C. S.n.c., S.M.E., F.O. DI F. R.E.M. & C. S.a.s., I.E. DI L.R., L.R., L.M., M.G., M.M., M.P., I. S.r.l., F.M., C.R., P.B., in proprio e quale socia di P. P. e C. R., P. P. DI P. B. & C., V. M., V. N., V. P., B. C., B. C. & C. S.n.c., C. L., C. S.p.A., G. G. I. S.r.l., B. S.p.A., S. F. S.A.
CONSIDERATO CHE
1.1 Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 2935 cod. civ. e dei principi in materia di decorrenza del termine prescrizionale, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non operante la sospensione del decorso del termine prescrizionale di cui all’art. 84 (secondo) comma, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (TULD) e all’art. 221, par. 4, Reg. (CEE) n. 2913/92 del 12 ottobre 1992 (CDC), relativamente alle pretese daziarie precedenti il triennio prescrizionale di cui all’art. 84 cit. già verificatosi all’atto dell’inoltro della notitia criminis. Il ricorrente deduce che la pretesa tributaria non si sarebbe potuta azionare prima che fossero state individuate le responsabilità delle parti contribuenti coinvolte nell’azione elusiva. Osserva il ricorrente che l’individuazione delle responsabilità delle parti coinvolte sarebbe avvenuta all’esito della chiusura delle indagini per effetto dell’utilizzo degli atti processuali conseguenti all’emissione del decreto di archiviazione, in assenza dei quali il termine di prescrizione non avrebbe preso a decorrere. Ritiene, pertanto, parte ricorrente censurabile l’affermazione del giudice di appello, secondo cui sarebbero prescritti i diritti richiesti con gli atti impositivi relativi ad operazioni di importazione per le quali il termine triennale di cui all’art. 221 CDC fosse già decorso al momento dell’inoltro della notitia criminis.
1.2 Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 84, secondo e terzo comma, d.P.R. n. 43/1973 (TULD), in riferimento all’art. 11 lgs. 8 novembre 1990, n. 374 e all’art. 3 Reg. (CEE) n. 1697/79 del 24 luglio 1979 e all’art. 221, par. 4, Reg. (CEE) n. 2913/92 (CDC). Osserva il ricorrente che l’inoltro di una notizia di reato comporta la sospensione del termine prescrizionale in correlazione con la pendenza del relativo procedimento penale, sia per l’accertamento dei maggiori dazi i cui presupposti costituiscano astrattamente ipotesi di reato, sia per il successivo procedimento di riscossione; pertanto, deduce il ricorrente principale, una volta rilevata l’assenza di decorso della prescrizione per effetto della pendenza del procedimento penale, la CTR avrebbe dovuto ritenere sospeso il suddetto termine a termini dell’art. 221, par. 3, CDC, dal momento dell’inoltro della notitia criminis sino alla chiusura del procedimento penale, indipendentemente dall’esito del procedimento stesso e, pertanto, sino alla pronuncia del decreto di archiviazione. Deduce, inoltre, il patrono erariale che ciò avverrebbe indipendentemente dagli elementi che l’Amministrazione avesse inteso porre a fondamento degli atti impositivi e, quindi, ancorché detti elementi fossero già in possesso dell’Amministrazione finanziaria al momento dell’inoltro della notitia criminis.
1.3 Con l’unico motivo del ricorso incidentale il contribuente M.S. S.r.l. deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dal fatto che le operazioni doganali di sdoganamento erano state pagate direttamente dalla contribuente, circostanza decisiva ai fini della decisione circa la natura fittizia delle operazioni di importazione per cui è causa. Il ricorrente incidentale ripropone, poi, ulteriori questioni rimaste assorbite dalla decisione sulla questione della prescrizione, quali la violazione del diritto di difesa, la violazione dello statuto del contribuente e del principio del contraddittorio non essendo stati portati a conoscenza della contribuente gli atti prodromici, nonché la richiesta di risarcimento danni.
1.4 Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato i contribuenti D.F. e D.I.E. s.r.l. in liquidazione deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 12, comma 7, l. 27 luglio 2000, n. 212, nella parte in cui la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata sull’eccezione pregiudiziale di difetto del contraddittorio per mancata concessione del termine di sessanta giorni tra la notifica del processo verbale e l’invito al pagamento. Assumono i ricorrenti incidentali che l’emissione ante tempus non sarebbe consentita neanche in tema di tributi doganali e che l’originario processo verbale era stato notificato alla sola importatrice S..
1.5 Con il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato i medesimi ricorrenti incidentali deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 7, l. n. 212/2000 e dell’art. 11, comma 5-bis lgs. n. 374/1990 e dell’art. 2697 cod. civ., non essendosi la sentenza impugnata pronunciata sull’eccezione pregiudiziale relativa al difetto di motivazione e alla prova dell’invito al pagamento, in quanto fondato esclusivamente sulle risultanze di un processo verbale, il che non comporta rispetto dell’obbligo di motivazione degli atti impositivi.
2. Va rilevato preliminarmente che il ricorso non è stato rinotificato ex art. 291 cod. proc. civ. a una delle parti originariamente intimate, oggetto di notificazione del ricorso iniziale (già parte del giudizio di appello), il contribuente DI L.B.. Anche tale intimato è stato contemplato nell’ordinanza comunicata in data 10 febbraio 2022, notifica che è stata effettuata agli altri intimati presso i procuratori domiciliatari. Tuttavia, nessuna notificazione è stata eseguita nei confronti del suddetto contribuente intimato, come si evince dalla relata di rinnovazione della notifica a mezzo PEC, che non contempla tale contribuente, già assistito nel grado di appello da difensore diverso da quelli nei confronti dei quali è stata rinnovata la Ne consegue che, essendo stata del tutto omessa l’ottemperanza all’ordine di rinnovazione della notifica del ricorso per cassazione, originariamente nulla, discende a termini dell’art. 291 cod. proc. civ. l’inammissibilità del gravame proposto nei confronti dell’intimato suindicato (Cass., Sez. VI, 10 luglio 2018, n. 18194; Cass., Sez. II, 30 maggio 2017, n. 13637; Cass., Sez. VI, 24 settembre 2013, n. 21869).
3. Trattandosi, peraltro, di cause scindibili (originariamente trattate separatamente in primo grado e riunite in grado di appello), il difetto di rinnovazione della notificazione all’intimato Di Lenardo nuoce al solo rapporto processuale relativo alla parte non correttamente intimata, non potendo il difetto di notificazione del gravame ridondare, in caso di una pluralità di rapporti giuridici distinti ed autonomi – nei confronti dei soggetti regolarmente intimati, ancorché la parte ricorrente abbia omesso di eseguire l’ordine di rinnovazione della notificazione, venendo in rilievo un litisconsorzio facoltativo in cause scindibili, la cui estinzione del giudizio opera limitatamente ai soggetti destinatari del rinnovo della notifica (Cass., Sez. , 6 novembre 2020, n. 24928; Cass., Sez. VI, 16 gennaio 2020, n. 804; Cass., Sez. VI, 18 aprile 2017, n. 9773). La causa prosegue, pertanto, per le altre parti.
4. Va rigettata l’eccezione di inammissibilità proposta dal controricorrente D.F. e dal controricorrente D.I.E. S.r.l., essendo state debitamente individuate dal ricorrente principale le parti della sentenza impugnate oggetto di
5. Infondate sono le plurime eccezioni di inammissibilità del ricorso principale formulate dal controricorrente Gi.Bi. S.r.l., nonché identicamente formulate dall’altro controricorrente G.A. (sulle quali i controricorrenti tornano diffusamente nelle rispettive memorie). In particolare, infondata è l’eccezione di inammissibilità per mancata indicazione delle parti, essendo le parti del giudizio indicate dal ricorrente, così come sono stati sufficientemente esposti i fatti di causa, consentendo il ricorso introduttivo la ricostruzione della complessa vicenda processuale anche nel merito. Parimenti inammissibile è l’ulteriore eccezione di inammissibilità per omessa indicazione degli atti processuali, avendo il ricorrente fatto sufficiente rinvio agli atti di causa sui quali il ricorso si fonda. Ugualmente infondata è l’eccezione di acquiescenza parziale alla sentenza impugnata, avendo il giudice di appello (come osservano gli stessi controricorrenti: pag. 35 controricorso Gi.Bi. S.r.l. e pag. 33 controricorso Grasso) proceduto alla riunione dei diversi procedimenti pendenti ed avendo il ricorrente investito l’intera pronuncia, peraltro enunciata unitariamente e in termini analoghi in relazione a tutte le parti processuali. Infondata è, poi, l’eccezione di violazione dell’art. 372 cod. proc. civ., non risultando essere stati «spillati» atti al ricorso introduttivo, né risultando gli atti trascritti nel corpo del giudizio – ai quali i controricorrenti fanno riferimento nei rispettivi controricorsi – decisivi ai fini del giudizio, se non finanche irrilevanti. Gli atti riprodotti dal ricorrente nel ricorso e censurati dai controricorrenti attengono, difatti, alle richieste di utilizzo degli atti del procedimento penale (che sono documenti del tutto privi di decisività ai fini del presente giudizio), nonché a stralci degli atti impositivi, nonché al (menzionato) decreto di archiviazione, atti ai quali il giudice di appello ha fatto ampiamento riferimento nel corso della sentenza impugnata e quindi (quanto meno) noti alle parti processuali, introdotti nel processo e oggetto di discussione tra le parti. Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità dei fatti dedotti in ricorso, in quanto non sono stati dedotti fatti nuovi, essendo in discussione le operazioni doganali compiute tra il 1997 e il 2000 e l’operatività della prescrizione in relazione alle conseguenti obbligazioni doganali per effetto delle modalità di utilizzo dei certificati di importazione dei contribuenti, così rigettandosi anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio del contraddittorio.
6. Infondata è l’eccezione di inammissibilità dei controricorrenti Lami-Cosentino (L.P., L.M. e C.A.), essendo i motivi sufficientemente individuati quanto a corredo normativo e alle relative argomentazioni, mentre sono inammissibili le eccezioni di inammissibilità del primo e del secondo motivo, non avendo i motivi del ricorso principale ad oggetto questioni di merito, bensì di falsa applicazione della disciplina della prescrizione.
7. Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità formulata dal controricorrente S. S.r.l. in relazione al primo motivo del ricorso principale, essendo stato indicato il corredo normativo relativo all’eccezione di prescrizione, ai relativi presupposti e alla sua decorrenza.
8. Infondata è, poi, l’eccezione di inammissibilità del secondo motivo del ricorso principale articolata da Pacific Fruit S.r.l., essendo la questione della sospensione della prescrizione, pendente il procedimento penale, acquisita agli atti del giudizio, posto che – come i controricorrenti ribadiscono in memoria – nel giudizio di merito si è discusso «che ai fini dell’applicabilità dell’art. 84 TULD, il decreto di archiviazione doveva ritenersi equivalente al “decreto o sentenza, pronunciati nel procedimento penale” e pertanto suscettibile di “divenire irrevocabile”», questione rispetto alla quale il tema della sospensione del procedimento doganale è mera conseguenza dell’equiparazione del decreto di archiviazione alla sentenza penale ai fini degli effetti della pendenza del procedimento e dell’incidenza di tale evento processuale sulla decorrenza della prescrizione.
9. Infondata è l’eccezione di inammissibilità articolata dai controricorrenti P.A. e P.G., nella parte in cui ritengono insindacabile la sentenza gravata per avere ritenuto che un decreto di archiviazione non possa contenere l’accertamento di un reato, vertendosi in questo caso in ipotesi di falsa applicazione della disciplina della prescrizione, ossia se la circostanza dell’omesso accertamento di un reato abbia incidenza (come si vedrà) e in quali termini ai fini della decorrenza della prescrizione.
10. Infondata è l’eccezione di inammissibilità proposta dai controricorrenti Scandellari Gianfranco e P.R., avendo il ricorrente principale posto l’accento sulla non decorrenza della prescrizione prima che fossero individuate le responsabilità penali delle parti coinvolte nell’azione di asserito indebito utilizzo dei certificati Agrim, né risultando (come diversamente deducono i controricorrenti) un impedimento meramente fattuale ma, invece, relativo (in tesi) alla pendenza di un procedimento penale nei confronti dei contribuenti quale circostanza impeditiva della fattispecie di accertamento a posteriori dei maggiori dazi, circostanza – in ogni caso – attinente al merito della censura e non alla sua inammissibile profilazione.
11. Né può sostenersi – per le ragioni che si andranno ad esporre – che il ricorso principale proposto dal patrono erariale sia inammissibile per essere in contrasto con le pronunce di questa Corte, non risultando un orientamento di questa Corte conforme alla decisione adottata dal giudice di appello nel suo complesso.
12. Passandosi al merito, il primo motivo del ricorso principale, condividendosi le conclusioni del Pubblico Ministero, è infondato, essendo ferma questa Corte nel ritenere che l’azione di recupero a posteriori di dazi doganali può essere avviata dopo la scadenza del termine di tre anni dalla data di contabilizzazione dell’importo originariamente richiesto ove la mancata contabilizzazione sia avvenuta a causa di un atto perseguibile penalmente, ma alla sola condizione che sia trasmessa all’Autorità Giudiziaria, entro la scadenza del termine di prescrizione (e non anche dopo la sua scadenza) la notitia criminis (Cass., Sez. V, 4 aprile 2012, n. 5384; Cass., Sez. V, 12 settembre 2019, n. 22745, pronunciata in un caso del tutto analogo). La trasmissione della notitia criminis, in qualità di «primo atto esterno rivolto a prefigurare il nodo di commistione tra fatto reato e presupposto di imposta destinato ad essere sciolto all’esito del giudizio penale» (già in tal senso Cass., Sez. V, 13 ottobre 2006, n. 22014; Cass., Sez. V, 23 aprile 2010, n. 9773; Cass., Sez. V, 7 maggio 2010, n. 11181; Cass., n. 5384/2012 e successive), costituisce condizione – ove intervenga nel corso del termine di prescrizione e non dopo la sua scadenza – affinché l’Amministrazione finanziaria possa legittimamente procedere a una azione di recupero a posteriori dei dazi che trovi fondamento astrattamente in una fattispecie delittuosa. Ove il termine prescrizionale, invero, risulti elasso al momento dell’inoltro della notitia criminis, il recupero a posteriori non può fondarsi sugli esiti di una successiva attività di indagine in cui siano oggetto di accertamento operazioni doganali anteriori di oltre un triennio alla trasmissione della notizia di reato. La sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto prescritte le azioni di recupero a posteriori in relazione ad operazioni daziarie contabilizzate in epoca precedente il triennio anteriore alla trasmissione della notitia criminis (23 marzo 2001) e, quindi, per le corrispondenti operazioni contabilizzate nel 1997 e di parte di quelle contabilizzate nel 1998 (anteriori al suddetto triennio), non si è sottratta alla corretta applicazione dei suddetti principi.
13. Il secondo motivo del ricorso principale è, viceversa, fondato per le ragioni che seguono. Dispone l’art. 221, par. 3, CDC «La comunicazione al debitore non può più essere effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione Detto termine è sospeso a partire dal momento in cui è presentato un ricorso a norma dell’articolo 243 e per la durata del relativo procedimento». Il successivo paragrafo 4 del medesimo articolo prevede che «qualora l’obbligazione doganale sorga a seguito di un atto che era nel momento in cui è stato commesso perseguibile penalmente, la comunicazione al debitore può essere effettuata, alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti, dopo la scadenza del termine di cui al paragrafo 3».
14. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, tali disposizioni vanno lette ritenendosi che l’azione di recupero possa essere esercitata dopo la scadenza del termine triennale, qualora le autorità competenti non abbiano potuto determinare l’importo esatto dei dazi legalmente dovuti a causa di un atto perseguibile penalmente (Corte GUE, 11 luglio 2019, C-304/18, punto 67; Corte GUE, 19 ottobre 2017, A, C-522/16, punto 61). Si è osservato che l’art. 221, par. 4, CDC non contempla di per sé alcun termine di prescrizione e nemmeno disciplina le cause di sospensione o di interruzione della prescrizione applicabili (Corte GUE, 17 giugno 2010, Agra, C-75/19, punto 33). In assenza di una specifica disciplina eurounitaria della prescrizione, deve operarsi un rinvio al diritto nazionale pro tempore in tema di regime della prescrizione dell’obbligazione doganale (Corte GUE, Agra, cit., punto 34). Spetta, quindi, ad ogni Stato membro determinare il regime della prescrizione delle obbligazioni doganali che non sarebbe stato possibile accertare a causa di un fatto che avrebbe potuto dar luogo a un procedimento penale (Corte GUE, Agra, punto 35 nella versione inglese: « which it has not been possible to assess because of an act which could give rise to criminal court proceedings»; conf. Corte GUE, 16 ottobre 2003, Hannl- Hofstetter, C‑91/02, punti 18‑20).
15. Ne consegue, secondo la giurisprudenza eurounitaria, che non osta il codice doganale «ad una normativa nazionale in base alla quale, laddove il mancato pagamento dei diritti tragga origine da un reato, il termine di prescrizione dell’obbligazione doganale inizia a decorrere dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili» (Corte GUE, Agra, cit., punto 36). Analogamente, nel rispetto dell’arco del triennio di cui all’art. 221, par. 3, CDC, la normativa nazionale di uno Stato membro deve consentire alle autorità doganali di adottare nuovamente una misura per ridefinire la situazione a seguito di una revisione o di un controllo a posteriori, in particolare modificando l’obbligazione doganale, ancorché sia trascorso tale periodo (Corte GUE, 10 dicembre 2015, Veloserviss, C-427/14, punto 37).
16. Conformemente a tale interpretazione, la giurisprudenza di questa Corte (già esaminata supra al punto 12) ritiene che, in tema di accertamento dei tributi doganali, ove l’obbligazione sorga a seguito di un atto perseguibile penalmente (e la trasmissione della notitia criminis intervenga entro tre anni dall’operazione doganale), la comunicazione del recupero daziario può essere effettuata oltre il termine di tre anni dall’operazione doganale quale eccezione alla regola del necessario perseguimento del recupero daziario nel triennio dalla data in cui è sorta l’obbligazione doganale (Cass., Sez. V, 17 maggio 2019, n. 13356).
17. Lo scarno riferimento contenuto nell’art. 221, par. 4, CDC («dopo la scadenza del termine di cui al paragrafo 3») e il rinvio alla disciplina di diritto interno lasciano, tuttavia, impregiudicati quali siano gli effetti sulla disciplina dell’accertamento dei maggiori dazi derivanti da un comportamento astrattamente perseguibile penalmente, ossia se l’inoltro della notizia di reato provochi una mera interruzione del termine prescrizionale (che, quindi, riprende immediatamente a decorrere dalla comunicazione della notizia di reato), ovvero determini anche una sospensione della decorrenza del termine prescrizionale durante il decorso del procedimento penale. In questo secondo caso, si pone l’ulteriore problema di individuare quale sia il dies ad quem oltre il quale il termine prescrizionale riprende a decorrere e in quali termini ciò accada (se per la durata residua dall’inoltro della notitia criminis o per l’intero termine triennale). Secondo la disposizione di diritto interno pro tempore, il termine di prescrizione decorre, in caso di mancato pagamento che «abbia causa da un reato», «dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili». La norma interna pro tempore fa, pertanto, riferimento a un «procedimento penale» (anziché all’esercizio dell’azione penale) e prevede espressamente che il termine di prescrizione inizi nuovamente a decorrere («il termine di prescrizione decorre») integralmente dalla irrevocabilità del provvedimento (decreto o sentenza) pronunciato nel «procedimento».
18. Tale disposizione viene intesa, dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte, nel senso che – interrotto il termine prescrizionale per effetto dell’inoltro della notitia criminis – il termine rimanga sospeso per tutta la durata del procedimento e riprenda a decorrere dopo la conclusione del procedimento medesimo (Cass., Sez. V, 30 dicembre 2011, n. 30710). L’inoltro della notitia criminis opera, in primo luogo, come evento interruttivo della prescrizione. A questo effetto interruttivo si aggiunge un ulteriore effetto che – più che di impedimento del decorso della prescrizione, che già decorreva in precedenza (come isolatamente sostenuto da , Sez. V, 4 luglio 2019, n. 17944) – produce la sospensione della decorrenza della prescrizione durante il procedimento penale (Cass., Sez. V, 17 aprile 2013, n. 9253; Cass., Sez. V, 15 ottobre 2019, n. 25979), sino alla conclusione del medesimo procedimento, venendo meno tale effetto sospensivo all’atto della emissione del provvedimento che lo conclude (Cass., Sez. V, 6 settembre 2013, n. 20468; Cass., Sez. V, 25 novembre 2013, n. 24916; conf. Cass., n. 22745/2019, cit.; Cass., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 30901; Cass., Sez. VI, 17 dicembre 2019, n. 33287; Cass., Sez. V, 19 dicembre 2019, n. 33894; Cass., Sez. V, 19 dicembre 2019, n. 34090; Cass., Sez. VI, 3 luglio 2020, n. 13699; Cass., Sez. V, 17 novembre 2021, n. 34896; Cass., Sez. VI, 1° giugno 2022, 17801; conf. Cass., Sez. V, 29 luglio 2021, n. 21659 in tema di IVA all’importazione).
19. Il riferimento dell’art. 84, secondo comma, lett. d) TULD al decreto irrevocabile pronunciato nel procedimento penale quale evento dal quale decorre il termine di prescrizione va, pertanto, inteso come operato al decreto di archiviazione che chiude il procedimento penale originato dalla notizia di reato. La pronuncia del decreto di archiviazione che conclude il procedimento penale opera quale dies ad quem del periodo di sospensione per l’accertamento dei maggiori dazi doganali e produce l’effetto di far decorrere un nuovo e identico termine prescrizionale triennale, non diversamente da una «proroga» dell’originario termine (Cass., Sez. V, 5 novembre 2020, n. 24716; Cass., Sez. V, 12 gennaio 2018, n. 615; Cass., Sez. V, 16 dicembre 2016, n. 26045; Cass., n. 5384/2012, cit.). Né l’assenza di irrevocabilità di detto provvedimento – emesso allo stato degli atti e al quale potrebbe anche far seguito una riapertura delle indagini (Cass. pen., 15 dicembre 2021, Furnò) – incide sugli effetti che tale provvedimento produce ai fini della decorrenza del nuovo termine prescrizionale, attesa la natura di provvedimento conclusivo della fase delle indagini che hanno avuto origine dalla notizia di reato che illo tempore ha determinato la sospensione del termine prescrizionale.
20. Non trova, quindi, fondamento l’interpretazione (peraltro, ellitticamente formulata) del giudice di appello, alla quale aderiscono i controricorrenti (e, in particolare, il controricorrente S.), secondo cui con l’inoltro della notitia criminis si produrrebbe la mera interruzione del termine prescrizionale (che riprenderebbe a decorrere dall’inoltro della notizia di reato), in quanto verrebbe meno la correlazione tra «procedimento penale» e accertamento doganale. Tale interpretazione risulterebbe, in particolare, abrogativa del disposto dell’art. 84, secondo comma, lett. d) TULD, nella versione pro tempore, nella parte in cui prevede che «il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili», norma alla quale deve farsi riferimento (secondo la giurisprudenza eurounitaria) ai fini della decorrenza della Se il legislatore ha espressamente agganciato la decorrenza del decorso della prescrizione all’emissione di un determinato provvedimento nel corso del procedimento penale, risulterebbe arbitrario far decorrere la prescrizione da un momento processuale differente.
21. Né trova fondamento la tesi della non equiparabilità del decreto di archiviazione alla sentenza – come deduce il giudice di appello (questione su cui insistono i controricorrenti, tra cui Pacific Fruit, S. e Gi.Bi.), perché qui non si tratta (come diversamente ha ritenuto il giudice di appello) di accertare o meno un reato («un decreto di archiviazione non può contenere l’accertamento di un reato»: pag. 8 sent. imp.), bensì di individuare un termine oltre il quale la sospensione del termine prescrizionale provocata dalla pendenza del «procedimento penale» (art. 84, secondo comma, lett. d TULD) venga meno ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, allo scopo di non dilatare eccessivamente i termini di accertamento. L’avere ancorato il legislatore la decorrenza del termine prescrizionale al decreto «irrevocabile» che chiude il procedimento penale ha lo scopo di individuare non un particolare esito del procedimento stesso (come nel caso dell’accertamento di un reato con sentenza), bensì un fatto processuale, indipendente dall’esito del procedimento, idoneo a stabilizzare la conclusione del procedimento e a provocare, conseguentemente, la decorrenza di un nuovo termine prescrizionale.
22. Parimenti infondata è la tesi del controricorrente D.I., ove ritiene che l’art. 84 TULD sarebbe norma applicabile alla sola fase di riscossione e non anche a quella di accertamento, essendo ferma questa Corte nell’opposta opinione (Cass., Sez. V, 12 settembre 2019, n. 22748; Cass., n. 615/2018, cit.), proprio allo scopo di non dilatare eccessivamente i termini dell’accertamento che, diversamente, rimarrebbero esposti indefinitamente ad accertamento in danno dei contribuenti.
23. Erronea, poi, è l’affermazione contenuta nella sentenza di appello impugnata – alla quale si richiamano i controricorrenti e, in particolare, il controricorrente S. – secondo cui avrebbe un senso prevedere la sospensione dei termini di accertamento se il procedimento penale aggiungesse un concreto contributo istruttorio all’accertamento doganale e non anche laddove l’accertamento a posteriori si nutrisse dei soli accertamenti contenuti nella originaria notizia di reato («non vi era alcuna necessità di procrastinare l’attività accertativa, considerando che gli elementi utilizzati dalla Dogana per avviare l’azione di recupero a posteriori sono gli stessi contenuti nell’originaria notitia criminis»: loc. cit. sent. imp.). Questa tesi ritiene operante il termine sospensivo prescrizionale secondo una valutazione a posteriori, ossia se e nella misura in cui l’Agenzia delle Dogane abbia inteso valorizzare gli elementi di prova acquisiti nel procedimento penale. Se questo è uno dei possibili intenti del legislatore (consentire all’Ufficio erariale di servirsi di prove acquisite nel corso del procedimento penale), non può disconoscersi che l’operatività della sospensione è legata unicamente alla proposizione del «procedimento penale» e alla astratta perseguibilità penale della condotta che condurrebbe al recupero a posteriori dei maggiori dazi. La decorrenza del termine dalla conclusione delle indagini non può, pertanto, che far seguito a una valutazione ex ante, quale conseguenza del fatto processuale della comunicazione all’Autorità giudiziaria di una notitia criminis e, quindi, previo accertamento della sussistenza in astratto dei presupposti per l’inoltro della notizia di reato. Tale decorrenza non può, invece, essere applicata in virtù di un giudizio ex post, ossia in funzione di quale sarebbe stato in concreto l’apporto istruttorio dato dalle indagini penali all’accertamento a posteriori dei maggiori dazi, attesa l’autonomia dei procedimenti (penale e tributario), nonché attesa l’operatività nel procedimento penale di cause di non punibilità estranee al procedimento tributario.
24. Tale soluzione, peraltro, è corroborata dall’interpretazione data dal Giudice delle leggi a proposito dell’analogo (benché non identico) istituto del raddoppio del termine per l’accertamento introdotto dall’art. 37 d.l. 4 luglio 2006, n. 223, ove si è ritenuto che l’aggravamento del termine di accertamento tributario conseguente all’esistenza di fatti costituenti reato (in quel caso, con raddoppio degli originari termini di accertamento) non è legato al solo «fine di consentire la circolazione delle prove dal giudizio penale al procedimento tributario» (Corte cost., 25 luglio 2011, n. 247). Ciò che rileva è che l’inasprimento dei termini per l’accertamento «consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale», per cui «la circolazione di elementi probatori dal giudizio penale al procedimento tributario è, dunque, solo eventuale e temporalmente limitata, e costituisce una giustificazione solo accessoria e parziale» (Corte cost., n. 247/2011, cit.).
25. Né, infine, può ritenersi vi sia contrasto tra la disposizione di diritto interno pro tempore e la disciplina eurounitaria – come deduce il controricorrente S. in memoria sollecitando un rinvio pregiudiziale – posto che la Corte di Giustizia, come già precisato, si è già pronunciata sulla questione in ordine alla decorrenza del periodo prescrizionale, rinviando alla disciplina nazionale (C GUE, Agra, cit.). Così come non può ritenersi che vi sia contrasto della disposizione di cui all’art. 84 TULD con gli artt. 41, 47 della Carta Diritti UE, essendosi anzi questa Corte posta esattamente il problema di individuare un termine finale dal quale il termine di cui all’art. 221, par. 4, CDC riprenda a decorrere, termine che nella norma eurounitaria fa difetto (sicché la norma nazionale va a integrare la disciplina eurounitaria), nel rispetto del principio secondo cui il decorso del tempo non possa giovare a chi ha occultato il credito e ha ostacolato l’attività amministrativa (Cass., n. 22745/2019, cit.).
26. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto:
«L’invio di una notizia di reato comporta la sospensione dei termini di prescrizione per l’accertamento dei maggiori dazi il cui mancato pagamento, totale o parziale, abbia causa da un reato; dal provvedimento che conclude il procedimento penale, che da tale notizia di reato è scaturito, decorre un nuovo termine di prescrizione, indipendentemente dall’utilizzo da parte dell’Agenzia delle Dogane, in sede di accertamento a posteriori, di elementi istruttori acquisiti durante il procedimento penale».
La sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto prescritte anche le azioni di recupero di obbligazioni doganali insorte successivamente al triennio anteriore alla comunicazione della notizia di reato in data 23 marzo 2001 (nel periodo compreso tra il 23 marzo 1998 e il 31 dicembre 2000), dunque, non ha fatto corretta applicazione dei suindicati principi e va cassata.
27. I ricorsi incidentali sono inammissibili, condividendosi le conclusioni del Pubblico Ministero, ove osserva «giova a riguardo rilevare che il ricorso incidentale deve essere giustificato dalla soccombenza (non ricorrendo altrimenti l’interesse processuale a proporre ricorso per cassazione), cosicché è inammissibile il ricorso incidentale con il quale la parte, che sia rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello, risollevi questioni non decise dal giudice di merito, perché non esaminate o ritenute assorbite, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (sez. 5, Ordinanza n. 23548 del 20/12/2012)».
28. Il ricorso principale va, pertanto, accolto in relazione al secondo motivo, cassandosi la sentenza impugnata con rinvio alla CTR a quo, in diversa composizione, anche per la trattazione delle questioni rimaste assorbite, nonché per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità. All’inammissibilità dei ricorsi incidentali consegue il raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di L.B.; rigetta il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibili i ricorsi incidentali; cassa la sentenza impugnata nel giudizio tra il ricorrente e le altre parti processuali, con rinvio alla CTR della Liguria, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese processuali; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico delle parti controricorrenti incidentali, ai sensi dell’art. 13 comma 1- quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i ricorsi incidentali, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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