CORTE di CASSAZIONE ordinanza n. 21517 depositata il 31 agosto 2018
FATTI DI CAUSA
1.1. Con sentenza n. 255/2013 la Corte di appello di Trieste respingeva l’impugnazione proposta dalla TT S.p.A. nei confronti di DM e per l’effetto confermava la decisione del locale Tribunale n. 321/2010 che aveva accolto il ricorso del lavoratore, dichiarato la nullità della sanzione della destituzione allo stesso comminata, disposto la reintegra nel posto di lavoro con il pagamento della retribuzione globale di fatto dal licenziamento alla reintegra nonché dichiarato la nullità della sanzione della sospensione preventiva dal 22/9/2008 al 15/1/2009 con condanna della società al pagamento delle differenze rispetto all’assegno alimentare percepito in detto periodo di sospensione.
1.2. Il DM era stato destituito dal lavoro secondo la previsione di cui al R.D. n. 148/1931 sulla base di una contestazione disciplinare avente ad oggetto il fatto che il medesimo, durante un periodo di infortunio, aveva svolto, senza autorizzazione aziendale, altra attività lavorativa, pregiudicando e ritardando la guarigione.
1.3. Riteneva la Corte territoriale, sulla base della disposta c.t.u., che l’attività svolta dal DM durante il periodo di infortunio, presso il PH ubicato in Muggia, gestito dalla S. s.r.l. (di cui il DM era socio) ed in particolare i compiti dal medesimo svolti come descritti in due relazioni di una società di investigazione privata e confermati dall’istruttoria svolta, non potessero in alcun modo aver ritardato la guarigione ovvero avuto alcun ruolo di aggravante rispetto alla patologia di cui all’infortunio.
Riteneva, inoltre, estranea al thema decidendum ogni questione relativa alla pretesa simulazione della malattia riconducibile all’infortunio.
2. Per la Cassazione della sentenza ricorre la TT S.p.A. con sette motivi.
3. DM resiste con controricorso.
4. La società ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza (art. 360, n. 4, cod. proc. civ.) per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., co. 2, n. 4 e art. 111 Cost.. Lamenta l’apoditticità dell’adesione della decisione alle conclusioni del c.t.u. senza che siano state vagliate le incongruenze e senza che si sia tenuto conto delle osservazioni critiche di parte appellante.
1.2. Il motivo è infondato.
Si osserva innanzitutto che, come da questa Corte già affermato, avuto specifico riguardo ai vizi di motivazione nelle ipotesi in cui il giudice respinga o accolga la domanda avvalendosi del parere di un consulente tecnico d’ufficio, tanto più quando è richiesto un accertamento di situazioni rilevabili solo con l’ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche (come avviene con la consulenza medico-legale), il giudice del merito non è tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche, potendo, in tal caso, limitarsi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall’esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione, mentre non può esimersi da una più puntuale motivazione allorquando le critiche mosse alla consulenza siano specifiche e tali, se fondate, da condurre ad una decisione diversa da quella adottata (cfr., ex plurimis, Cass. 20 maggio 2005, n. 10668; Cass. 19 giugno 2015, n. 12703; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23594).
Nella specie non emerge con la necessaria chiarezza dal motivo di ricorso se e quando osservazioni critiche alla disposta e depositata consulenza d’ufficio siano state sottoposte alla Corte di merito.
Al contrario risulta dagli stessi atti allegati al ricorso per cassazione che, dopo l’invio agli interessati da parte del nominato consulente d’ufficio di una bozza di c.t.u., erano state trasmesse all’ausiliare (dott. DA) osservazioni dal consulente di parte (dott. QC).
In sede di elaborato peritale definitivo il c.t.u., dopo aver dato atto di aver preventivamente sollecitato il contraddittorio delle parti, aveva svolto le proprie considerazioni confermando quanto anticipato nella bozza, e ciò dunque anche in replica ai rilievi critici del c.t.p. (si veda la consulenza del dott. DA cui risultano allegate le osservazioni del dott. QC).
Il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (Cass. 3 aprile 2007, n. 8355; Cass. 10 agosto 2007, n. 17606; Cass. 9 gennaio 2009, n. 282; Cass. 9 gennaio 2009, n. 282; Cass. 25 giugno 2014, n. 14471; Cass. 2 febbraio 2015, n. 1815).
Per quanto riguarda, poi, le riserve espresse dallo stesso c.t.u. circa l’utilizzo, quali mezzi di trasporto, della motocicletta o di un’auto sportiva, la Corte territoriale ha spiegato perché tale considerazione fosse priva di rilievo pratico rilevando che la stessa era relativa ad una condotta non apprezzabile sotto il profilo disciplinare in quanto non indicata nella contestazione. Trattasi di motivazione che, superando certamente la soglia del ‘minimo costituzionale’ di cui al nuovo testo art. 360, n. 5, cod. proc. civ. risultante dalla modifica introdotta dall’art. 54, co. 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile nella specie ratione temporis) – v. Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053 -, resiste alle critiche della ricorrente.
Per il resto il motivo si limita, in modo inammissibile, ad esprimere il dissenso rispetto alle conclusioni cui è giunta la Corte territoriale sulla scorta della consulenza d’ufficio.
Ed infatti costituisce fermo principio della giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni della perizia medico legale è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in una inammissibile critica del convincimento del giudice (cfr. ex muitis Cass. 29 aprile 2009, n. 9988; Cass. 8 novembre 2010, n. 22707; Cass. 12 gennaio 2011, n. 569; Cass. 3 febbraio 2012, n. 1652).
2.1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.). Lamenta l’omessa considerazione del fatto che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, la prima delle due verifiche investigative non ebbe a collocarsi verso la fine del periodo di infortunio bensì tre mesi prima della sua conclusione. Tale circostanza avrebbe inficiato la valutazione di assenza di aggravamento.
2.2. Il motivo è infondato.
La ricorrente contrappone alla valutazione dei giudici di appello una propria personale lettura del materiale istruttorio ma tale modus procedendi non è coerente con il paradigma fissato dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nuovo testo.
E’ noto infatti che, a seguito della riforma, dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), mentre non integra tale vizio l’omesso esame di elementi istruttori, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, n. 8053/2014 cit.; id. Cass. 22 settembre 2014, n. 19881).
Nella specie non si denuncia l’omesso esame di fatti storici specifici, ma semmai l’erronea o mancata valutazione di elementi istruttori, in funzione peraltro non già della dimostrazione di un «fatto storico» oggettivamente definito e circoscritto, quanto piuttosto di un giudizio, quello dell’improbabilità di un ruolo aggravante della malattia.
3.1. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 7 della l. n. 300/1970 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.). Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto non ricompreso nella contestazione disciplinare l’utilizzo, quali mezzi di trasporto, della motocicletta o di un’auto sportiva.
3.2. Il motivo è inammissibile.
Ad onta del richiamo normativo, la ricorrente in realtà lamenta un vizio di motivazione, come detto ormai precluso in sede di legittimità.
In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione ma solo nei limiti ora fissati dal nuovo art. 360, n. 5, cod. proc. civ.. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (v. Cass., Sez. U, 5 maggio 2006, n. 10313 e, di recente, Cass.11 gennaio 2016, n. 195).
4.1. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia omessa pronuncia su un motivo di gravame e nullità della sentenza (art. 360, n. 4, cod. proc. civ.). Lamenta che la Corte territoriale non abbia esaminato i rilievi concernenti l’avvenuta contestazione dei doveri di buona fede e correttezza che avrebbero consentito di prendere in considerazione anche la questione (erroneamente ritenuta estranea al thema decidendum) della simulazione delle condizioni di malattia riconducibili all’infortunio.
4.2. Il motivo è infondato.
Come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale la pretesa simulazione della malattia che avrebbe asseritamente determinato l’assenza per infortunio integrava un fatto diverso rispetto alla ritardata guarigione o all’aggravamento di tale malattia; la relativa questione andava, pertanto, sottoposta formalmente al contraddittorio tra le parti.
5.1. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 7 della l. n. 300/1970 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.). Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto non rientrante nella contestazione la simulazione della malattia che aveva cagionato l’assenza per infortunio.
5.2. Anche questo motivo è infondato per le stesse ragioni di cui al quarto motivo.
Con il rilievo, invero, si propone una nozione di ‘fatto contestato’ così ampia da includere ‘le circostanze di carattere naturalistico verificatesi’ ma ciò contrasta con il requisito di specificità posto a garanzia della difesa del lavoratore cui vanno offerte tutte le indicazioni necessarie per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati, tenuto conto del loro contesto (v. ex multis Cass. 6 dicembre 2017, n. 29240; Cass. 18 aprile 2018, n. 9590) .
6.1. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia omessa pronuncia su un motivo di gravame e nullità della sentenza. Rileva che la Corte territoriale non avrebbe preso in considerazione sia la circostanza che nella specie al dipendente fossero state addebitate due mancanze (assenza di autorizzazione e svolgimento di altra attività lavorativa in costanza di malattia) la più grave delle quali comportava la destituzione sia la violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi di diligenza e fedeltà sotto il profilo dello svolgimento di altra attività lavorativa, senza autorizzazione, quale circostanza idonea a far presumere una fraudolenta simulazione della malattia stessa. In ogni caso deduce che il solo aver svolto altra attività in costanza di malattia avrebbe integrato una violazione dei doveri contrattualmente previsti, avendo il dipendente l’obbligo di fornire la prestazione.
6.2. Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha ritenuto insussistente la mancanza più grave, comportante la destituzione.
La malattia per infortunio di per sé non esclude la possibilità di svolgere altra attività lavorativa, a condizione che ciò non determini ritardo nella guarigione o aggravamento, situazione questa che la Corte territoriale ha ritenuto nella specie non integrata (v. Cass. 15 gennaio 2016, n. 586 secondo cui il lavoratore, al quale sia contestato in sede disciplinare di avere svolto un altro lavoro durante un’assenza per malattia, ha l’onere di dimostrare la compatibilità dell’attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa contrattuale e la sua inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psico-fisiche, restando, peraltro, le relative valutazioni riservate al giudice del merito all’esito di un accertamento da svolgersi non in astratto ma in concreto).
Per il resto, quanto alla fraudolenta simulazione, valga quanto evidenziato con riferimento al quarto motivo. La questione andava specificamente posta.
7.1. Con il settimo e l’ottavo motivo la ricorrente denuncia l’omessa pronuncia sul motivo di appello concernente Valiunde perceptum ai sensi dell’art. 1223 cod. civ. (art. 360, n. 4, cod. proc. civ.) e omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).
Richiama le stesse emergenze di causa ed in particolare il verbale relativo all’udienza del 4 novembre 2009 in cui il DM aveva dichiarato di essere socio di capitale della S. s.r.l. e di percepire il reddito derivante da tale partecipazione.
7.2. I motivi sono infondati.
Innanzitutto non c’è stata alcuna omessa pronuncia perché la Corte territoriale, richiamandosi alla sentenza di primo grado, ha confermato la genericità delle allegazioni sul punto.
Per il resto va evidenziato che quello di cui si discute è un reddito da capitale e non un reddito da lavoro. Poi, per quanto sembra evincersi dallo stesso ricorso per cassazione, la partecipazione azionaria quale fonte di reddito era esistente anche prima del licenziamento, il che esclude che tale reddito, comunque compatibile R. Gen. N. 3831/20117 con l’ordinaria prestazione lavorativa, potesse considerarsi percepito grazie alla perdita del posto di lavoro.
8. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
9. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
10. Va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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