Corte di Cassazione ordinanza n. 21601 depositata il 7 luglio 2022

motivazione apparente – interessi di mora – interessi corrispettivi – competenza – vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali – anomalia motivazionale

RITENUTO CHE

1. La società C.T. S.p.a. (di seguito, per brevità CMT) impugnò tre avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti, con i quali si accertava, per l’anno 2005 (avviso n. T2A035X00603), una minore perdita a fini Ires, un maggiore reddito imponibile e una maggiore Irap, oltre interessi e sanzioni, per l’anno 2006 (avviso n. T2A033X00604), una maggior reddito imponibile derivante dalla compensazione del proprio reddito con una perdita dichiarata nel 2006, e per l’anno 2007 (avviso n. T2038SX00336), un maggiore reddito sempre derivante dalla compensazione con la perdita dichiarata nel 2005.

2. La vicenda trae origine dalle pattuizioni contrattuali tra CMT e la N.V. s.p.a. (di seguito, NPV) per i lavori di ampliamento del capannone industriale della CMT. Dopo l’esecuzione delle opere (posa in opera della copertura del fabbricato) effettuate dalla NPV, il fabbricato crollò, sicché quest’ultima agì in giudizio per ottenere il pagamento degli importi contrattualmente stabiliti per la esecuzione dei lavori (euro 000). Ottenuta sentenza favorevole dal Tribunale di Trento, la NPV emise le fatture di addebito degli interessi in data 15 marzo e 7 aprile 2006. La verifica fiscale appurò che la CMT si era spesata per il 2005, il 2006 ed il 2007 gli interessi corrisposti dalla NPV, ma, rilevando che si trattava di interessi moratori contrattualmente stabiliti nella misura del 5% annuo, contestò l’imputazione degli interessi in ragione dell’importo da essi maturato negli anni dal 1998 al 2005, riprendendo a tassazione le maggiori somme per tutti e tre gli anni di imposta oggetto di accertamento.

3. La Commissione tributaria di primo grado di Trento (di seguito, per brevità, CTP) accoglieva i ricorsi presentati dalla società contribuente ritenendo che correttamente quest’ultima aveva dedotto nel periodo di imposta 2005 gli interessi passivi sul credito per i lavori eseguiti dalla NPV nel 1998.

4. Tale decisione veniva confermata dalla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, che respinse l’appello dell’Ufficio ritenendo che «[…] deve ritenersi come esercizio di competenza è quello nel quale nasce e si forma il titolo giuridico che costituisce la fonte di ciascuna di tali E’ soltanto con la sentenza definitiva che si raggiunge, infatti, la certezza dell’esistenza e la determinazione dei componenti di reddito oggetto di controversia dei quali il giudice verifica i presupposti e liquida il relativo ammontare. Di conseguenza nel caso in esame è solo a seguito della sentenza del Tribunale di Trento n. 1037/2005 che è stato stabilito che gli interessi erano dovuti ed è stato determinato il loro ammontare e, pertanto, soltanto dal 2005 gli stessi andavano calcolati ai fini dell’ammontare complessivo del reddito così come è stato fatto dalla società contribuente che ha dedotto la relativa spesa nel diverso esercizio nel quale ha raggiunto la certezza della loro esistenza.[…] » (v. sentenza della CTR pag. 5).

5. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate affidandosi a cinque motivi.

6. La società CMT ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente Amministrazione lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. o, in alternativa, dell’art. 36 d.lgs. 31/12/1992 n. 546 per aver la CTR omesso di pronunciarsi sulla domanda di cessazione della materia del contendere per definizione della lite pendente in relazione alle annualità 2007 e 2005, ex art 39 del d.l. 06/07/2011 n. 98.

1.1 Il mezzo è inammissibile perché il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali (Cass., Sez. 1, 26/09/2013, n. 22083; Cass., Sez. 2, 25/01/2018, n. 1876).

2. Con il secondo motivo, deduce violazione dell’articolo 39 del l. citato imputando alla CTR di non aver dichiarato la definizione della lite pur ricorrendo tutti i presupposti di legge; ha evidenziato, in fatto, che i ricorsi relativi agli anni di imposta 2005 e 2007 avevano un valore inferiore ad euro 20.000, che dalle comunicazioni di irregolarità risultava che il contribuente aveva presentato in data 31 marzo 2012 le istanze di definizione, che la domanda di definizione era regolare e che vi era stato il pagamento integrale di quanto dovuto.

2.1 La CMT, in controricorso, dopo aver evidenziato che in appello aveva anch’essa rilevato, con riguardo agli avvisi per gli anni 2005 e 2007, la cessazione della materia del contendere per definizione agevolata, ha enfatizzato l’impostazione “sostanzialistica” della sentenza di secondo grado, nel senso di una motivazione implicita sulla cessazione della materia del contendere per le annualità 2005-2007 e di una pronuncia nel merito dell’appello per l’annualità 2006. In tale prospettiva, ha chiesto a questa Corte la semplice correzione della sentenza impugnata, ai sensi dell’articolo 384, ultimo comma, cod. proc. civ., con declaratoria di cessazione della materia del contendere per le annualità 2005 e 2007, fermo restando la decisione assunta per l’annualità 2006.

2.2 L’adesione della contribuente alla declaratoria di cessazione della materia del contendere nei termini prospettati dall’Agenzia delle entrate (definizione della lite pendente avente ad oggetto gli accertamenti n. T2A035X00603, per il 2005, e n. T2038SX00336 per il 2007, ai sensi dell’art. 39, comma 12, del decreto legge 06/07/2011 n. 98, v. comunicazione della regolarità della definizione alle pagine 8bis e 8 ter del ricorso), consente senz’altro di pronunciare l’estinzione parziale del presente giudizio, ex art. 46 d.lgs. 31/12/1992 n. 546, in relazione alle annualità 2005 e 2007, con integrazione, in parte qua, ai sensi dell’articolo 384, ultimo comma, cod. proc. civ., della sentenza impugnata.

2.3 Le spese di giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate (art. 46, terzo comma, d.lgs. cit.).

3. L’esame degli ulteriori motivi di ricorso, riguarda, dunque, solamente la annualità 2006 per la quale, come è pacifico tra le parti, alcuna definizione agevolata è intervenuta.

3. Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del d.P.R. 31/12/1986 n. 917, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per aver la CTR erroneamente ritenuto che il titolo giuridico della pretesa, ovvero degli interessi da ritardo, dovuti a NPV da CMT, derivasse dalla sentenza di condanna e non dal contratto intervenuto inter partes, ignorando che il debito per interessi diviene certo, determinato e/o determinabile al momento di chiusura di ogni esercizio senza che incida, ai fini della certezza e della determinabilità, la sentenza di

3.1 Con il quarto motivo, la ricorrente Amministrazione erariale denunzia la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. , per violazione dell’art. 36, comma 1, n. 4, del d.lgs. 31/12/1992 n. 546 per non aver la Commissione tributaria di secondo grado indicato l’iter logico in base al quale ha ritenuto che solo con la sentenza di condanna si è avuta la certezza e determinazione dell’elemento negativo di reddito rappresentato dagli interessi passivi.

3.2 Con il quinto, denuncia ancora la violazione e falsa applicazione dell’art 109 P.R. n. 917 del 1986 deducendo che seppur in astratto il ragionamento della Commissione tributaria di secondo grado sulla fonte del titolo degli interessi passivi, come derivante da sentenza, fosse corretto, dovrebbe trattarsi comunque di una sentenza passata in giudicato.

4. L’esame del quarto motivo è pregiudiziale agli altri motivi, riguardando un vizio di radicale nullità che, se sussistente, travolgerebbe l’intera sentenza.

4.1 Esso è infondato.

4.2 Non ricorrono nel caso di specie, quelle ipotesi di anomalia motivazionale che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sé che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico,” nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (v. Sez. U. 11/03/2014 nn. 8053 e 8054), avendo la Commissione tributaria di secondo grado esposto chiaramente le ragioni del suo convincimento, secondo cui solo con la sentenza definitiva si raggiunge la certezza del credito, sicché l’esercizio di competenza corrisponde all’anno in cui la relativa sentenza è stata emessa.

5. La sussistenza della motivazione non sottrae la sentenza impugnata allo scrutinio di legittimità richiesto con gli ulteriori motivi di impugnazione.

5.1 Il terzo ed il quinto motivo si esaminano congiuntamente per connessione di censure. Essi sono fondati.

5.2 E’ incontestato che gli interessi per i quali è causa riguardano il corrispettivo dei lavori di appalto, per euro 206.000,00, dovuto da CNM a NPV. Risulta incontestato, altresì, che gli interessi in questione avessero natura convenzionale nella misura del 5% annuo.

5.3 La questione controversa riguarda il criterio di imputazione di tali interessi: l’Agenzia delle entrate sostiene che essi debbano essere imputati, quali costi, in ragione dell’importo da essi maturato, per le singole annualità e, cioè, a far data dal patto contrattuale (1998) e, via via, per i successivi anni di competenza fino all’emissione della fattura di addebito (2005).

La società contribuente sostiene che tali interessi debbano essere imputati nell’anno 2005 in quanto solo in tale data hanno acquisito “certezza”, in virtù della statuizione della sentenza del Tribunale di Trento che ha dichiarato dovuti tali interessi.

La CTR ha seguito la tesi della società contribuente ritenendo che la sentenza n. 1037 del 2005 del Tribunale di Trento costituisse titolo per stabilire l’annualità di imputazione: poiché, ai sensi dell’articolo 109 t.u.i.r., si considera come esercizio di competenza quello nel quale nasce e si forma il titolo, solo con la tale sentenza, che ha stabilito che gli interessi erano dovuti, si sarebbe determinato l’ammontare degli interessi che, dunque, soltanto nel 2005, potevano essere calcolati ai fini dell’ammontare complessivo del reddito, con conseguente correttezza dell’operato della società contribuente che ha dedotto la relativa spesa proprio nell’esercizio 2005.

5.4 Per risolvere le questioni oggetto di censura, appare utile riportare, sinteticamente, il quadro normativo di riferimento e l’interpretazione che ne è conseguita dalla giurisprudenza di questa Corte. 

i) L’art. 2423-bis, primo comma, n. 3), civ. prevede che tra i principi da osservare nella redazione del bilancio di esercizio vi è quello secondo cui «si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento».

Poiché tale norma non fornisce ulteriori specificazioni in tema di competenza economica, vengono in soccorso, proprio per la loro funzione eterointegrativa (Cass., 10/01/2013, n. 400), i principi contabili nazionali.

ii) Secondo l’OIC 11 «l’effetto delle operazioni e degli altri eventi deve essere rilevato contabilmente ed attribuito all’esercizio al quale tali operazioni ed eventi si riferiscono e non a quello in cui si concretizzano i relativi movimenti di numerario (incassi e pagamenti)». Per cui «la determinazione dei risultati d’esercizio implica un procedimento di identificazione, di misurazione e di correlazione di ricavi e costi relativi ad un esercizio». Detta correlazione tra costi e ricavi secondo i principi contabili, costituisce un «corollario fondamentale» del principio della competenza e si realizza, con riferimento a quanto qui di interesse, per imputazione diretta di costi e di ricavi al conto economico dell’esercizio perché associati al trascorrere del tempo.

iii) E’ opinione unanime in dottrina e giurisprudenza che tale disposizione vale sia con riguardo agli interessi corrispettivi, sia con riguardo a quelli moratori, la cui automatica maturazione, indipendentemente da impulsi volontaristici, impone, in virtù del principio di competenza, l’imputazione degli stessi nell’esercizio in cui sono maturati, indipendentemente dal loro effettivo percepimento da parte del creditore, così da contribuire alla determinazione del risultato di esercizio (v. Cass., 16/02/2022, n. 3994).

iv) La disciplina tributaria non prevede una disciplina analoga per entrambe le categorie di interessi: per gli interessi corrispettivi, l’art. 109, comma 2, lett. b), (già art.56) d.P.R. n. 917 del 1986 stabilisce che «i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti […] alla data in cui le prestazioni sono ultimate ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi», mentre con riguardo agli interessi moratori, l’art. 109, comma 7, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, stabilisce che, «in deroga al comma 1, gli interessi di mora concorrono alla formazione del reddito nell’esercizio in cui sono percepiti o corrisposti», applicandosi per essi il principio di cassa e non quello di competenza.

v) Il d.lgs. n. 231/2002, così come modificato dal d.lgs. n. 192/2012, seppur non applicabile, ratione temporum, alla fattispecie in esame, per quanto qui di interesse, ha stabilito che nelle transazioni commerciali il creditore ha sempre diritto (in quanto é nulla ogni clausola che lo esclude) alla corresponsione degli interessi moratori sull’importo dovuto, senza che sia necessaria la costituzione in mora (da qui, la così detta «automaticità» di maturazione degli stessi), dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento contrattuale. In assenza di previsione contrattuale, ovvero di nullità di questa in quanto gravemente iniqua in danno del creditore, si considerano i termini indicati dal legislatore.

6. Calando tali principi [sub (i) (ii) (iii) (iv)] nel caso in esame, va evidenziato che né la ricorrente, né la controricorrente hanno dato specifiche informazioni in merito al contratto stipulato tra la CMN e la NPV, dal quale evincere la natura degli interessi, se moratori o corrispettivi. Né il dato può considerarsi pacifico atteso che la stessa Amministrazione ricorrente assume in ricorso che la contribuente ha contestato trattarsi di interessi moratori (a pagina 3 del ricorso, l’Agenzia delle entrate richiama la memoria difensiva del 25/7/08 della contribuente in cui afferma che «non si tratta di interessi moratori ma di interessi … (che) ammontano al 5% annuo»). Non è neanche stato in qualche modo specificato il contenuto delle fatture di addebito degli interessi del 15 marzo/7 aprile 2006 circa la natura degli interessi richiesti dalla contribuente.

6.1 In mancanza di tale accertamento preliminare, non può dirsi applicabile né il principio di cassa (ove trattasi di interessi moratori) né quello di competenza (ove trattasi di interessi corrispettivi).

6.2 E’ evidente, dunque, che la decisione impugnata ha errato a riferire l’imputabilità dei costi all’anno 2005, senza verificare la natura convenzionale degli interessi in questione per operarne il distinguo quali interessi moratori e/o corrispettivi; solo l’esame delle risultanze probatorie (come esplicitate nel ricorso attraverso il riferimento al contratto concluso nel 1998 tra le due società ed il contenuto delle fatture di addebito) avrebbero potuto consentire l’esatta riferibilità al criterio di cassa o a quello di competenza al fine della ricostruzione dei componenti del reddito di impresa.

7. L’esame del quinto motivo è reso superfluo dall’accoglimento del terzo mezzo.

8. In conclusione, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, perché proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi esposti, nonché provveda in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara l’estinzione parziale del giudizio per cessazione della materia del contendere in relazione alle annualità 2005 e 2007; le spese della parte di giudizio estinto restano a carico di chi le ha anticipate ex art. 46 d.lgs. 31/12/1992 n. 546.

Accoglie il terzo ed il quinto motivo di ricorso in relazione all’annualità 2006; dichiara inammissibile il primo e rigetta il quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.