Corte di Cassazione ordinanza n. 21656 depositata l’8 luglio 2022
processo tributario – eccezioni in senso lato – accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore – motivazione dell’atto di accertamento
FATTI DI CAUSA
1. C.S. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 28 ottobre 2013, di reiezione dell’appello dal medesimo proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa per l’anno 2004 ed erano state recuperate le imposte non versate.
Dall’esame della sentenza impugnata si evince che con l’atto impositivo l’Ufficio aveva rideterminato i ricavi del contribuente facendo applicazione delle risultanze degli studi di settore.
2. Il giudice di appello ha disatteso il gravame ritenendo corretto il ricorso agli studi di settore ed evidenziando che il contribuente non aveva offerto elementi di prova idonei a superare la presunzione di (maggiori) ricavi ricavabili dagli stessi.
3. Il ricorso è affidato a due motivi.
4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
5. Il ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis. 1 c.p.c.
6. All’esito dell’adunanza del 12 aprile 2021 il ricorso è rimesso all’esame dell’odierna pubblica udienza.
7. Il ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il secondo motivo, esaminabile prioritariamente per motivi di ordine logico-giuridico, il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, nella parte in cui non ha indicato quali fossero gli elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti che, corroborando le risultanze dello studio di settore, dimostrassero la fondatezza della pretesa erariale.
1.1 Il motivo è inammissibile.
Infatti, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – nella formulazione risultante a seguito della modifica apportata dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., nella I. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis al caso in esame – non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza e logicità della motivazione, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cast., e dell’omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia. (cfr., ex multis, Cass., ord., 25 settembre 2018, n. 22598; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940).
2. Con il primo motivo il contribuente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 62-bis e 62-sexies, terzo comma, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. nella I. 29 ottobre 1993, n. 427, 39, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 54, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e 2727, 2728, 2729 e 2697 e.e., per aver la sentenza impugnata ritenuto che lo scostamento rispetto allo studio di settore applicabile determinasse una presunzione di maggiori ricavi e, conseguentemente, l’insorgenza a carico del contribuente dell’onere di dimostrare l’insussistenza della pretesa erariale.
2.1 Il motivo è infondato.
Se è vero che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente pena la nullità dell’accertamento notificato al contribuente, in tale sede quest’ultimo ha l’onere di provare la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame (cfr., per tutte, Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2009, n. 26635).
Conseguentemente, la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.
Una volta svoltosi il contraddittorio con il contribuente, l’Ufficio può, in assenza di valide giustificazioni dello scostamento dallo studio di settore da parte del contribuente, fondare l’avviso dì accertamento mediante il riferimento anche solamente a tale scostamento, ferma restando la possibilità, per il contribuente medesimo, di fornire la prova contraria anche in sede contenziosa (cfr., sul punto, Cass., ord., 18 settembre 2019, n. 23252; Cass., ord., 15 gennaio 2019, n. 769).
Orbene, la Commissione regionale ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento sulla base dello scostamento rilevato e in assenza di valide giustificazioni offerte dal contribuente.
Così argomentando, non si è discostata dai richiamati principi di diritto: infatti, non essendo stato dedotto né l’omesso svolgimento del contraddittorio endoprocedimentale – riconosciuto espressamente dal ricorrente – , né la carenza della motivazione del provvedimento impugnato, ma unicamente la sola asserita inidoneità dello scostamento dallo studio di settore a fondare l’accertamento dei maggiori ricavi, ha correttamente ritenuto che tale elemento, in una siffatta situazione, potesse fondare l’atto impositivo e, conseguentemente, porre a carico del contribuente l’onere di dimostrare l’insussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione dello standard utilizzato.
2.2 Deve aggiungersi che con le memorie depositate il contribuente – richiamando la sentenza di questa Corte n. 23357 del 19 settembre 2019 – allega, apparentemente per la prima volta, che il mero scostamento tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore, in quanto non significativo, non legittimerebbe l’Amministrazione finanziaria a procedere all’accertamento induttivo, essendo necessario che venga ravvisata una «grave incongruenza».
Orbene, deve osservarsi che una siffatta doglianza non può essere avanzata per la prima volta innanzi al giudice di legittimità, atteso che, risolvendosi nella contestazione della sussistenza di un presupposto per l’esercizio del potere impositivo, costituisce un vizio dell’avviso di accertamento e, in quanto tale, può essere esaminato dal giudice tributario solo in quanto ritualmente dedotto quale motivo di impugnazione, avuto riguardo alla natura impugnatoria del giudizio tributario, in ragione della quale l’indagine sul rapporto sostanziale è limitata alla contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione specificamente dedotti dal contribuente quali motivo di ricorso (cfr., ex multis, Cass., ord., 17 ottobre 2019, n. 1161; Cass. 2 luglio 2014, n. 15051; Cass. 15 ottobre 2013, n. 23326). Pertanto, la questione della insussistenza di «grave incongruenza» risulta essere irritualmente sollevata dal contribuente, in quanto non è possibile annullare un provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti con il ricorso originario – o, nei limiti consentiti, con i motivi aggiunti – anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità risultano estranei al thema decidendum, come definito dalle scelte del ricorrente.
L’opposto orientamento – seguito da questa Corte in alcune pronunce (cfr., per tutte, Cass., orci., 29 marzo 2019, n. 8855) -omette, dunque, di confrontarsi con la natura impugnatoria del giudizio tributario e, per tale motivo, non appare convincente.
2.3 Inoltre, nella parte in cui tale orientamento annette alla deduzione della insussistenza del grave scostamento natura di mera difesa (o eccezione in senso lato), per inferirne la sua estraneità al divieto di proporre nuove eccezioni in appello, sembra trascurare che una siffatta deduzione, lungi dal costituire una mera negazione della pretesa erariale, introduce nel giudizio, in realtà, un tema diverso, rappresentato dalla modalità con cui l’Amministrazione è pervenuta all’accertamento della maggiore imposta e dalla sussistenza di elementi che la legge eleva a indici presuntivi di un maggior reddito non
2.4 Inoltre, può osservarsi, più in generale, che, con riferimento a giudizi civili in ambito diverso da quello tributario, i principi elaborati da questa Corte in tema di rilevabilità d’ufficio nel giudizio di legittimità sono orientati, da un lato, ad affidare al giudice di merito l’accertamento dei fatti rilevanti e, dall’altro, a evitare che l’intimato sia costretto a subire il vulnus delle maturate preclusioni processuali.
A tal fine, si è costantemente affermato che la proposizione, per la prima volta, nel giudizio di legittimità di un’eccezione in senso lato – in quanto tale rilevabile d’ufficio – è ammissibile solo qualora non siano necessari accertamenti di fatto, atteso che «l’esame demandato al giudice di legittimità attiene ad una quaestio iuris, ossia alla mera qualificazione del fatto – già tempestivamente dedotto – al fine di pervenire all’esatta applicazione della legge» (cfr. Cass., ord., 26 luglio 2021, n. 21404; Cass. ord., 3 novembre 2020, n. 24260; Cass. 16 maggio 2016, n. 9993).
Pertanto, anche indipendentemente dalle considerazioni precedentemente espresse in ordine alla natura impugnatoria del giudizio tributario e dalla non riconducibilità della questione in esame al novero delle eccezioni in senso lato, la necessità di un accertamento fattuale in ordine all’entità dello scostamento, imposta dall’assenza di elementi significativi contenuti nella sentenza, osterebbe alla rilevabilità officiosa in sede di legittimità della questione in esame.
3. Per le suesposte considerazioni, dunque, il ricorso non può essere accolto.
4. Le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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