Corte di Cassazione ordinanza n. 21711 depositata l’ 8 luglio 2022

doppia con «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter – Il trattamento pensionistico erogato dai fondi pensioni integrativi ha natura previdenziale, fin da quando tali fondi sono stati istituiti, ma ad esso non è applicabile il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto dalla L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6

Rilevato che:

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente avverso il silenzio rifiuto relativo ad IRPEF per l’anno d’imposta 2006 e la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate affermando che il trattamento di fine rapporto corrisposto alla parte contribuente, in relazione all’anno di liquidazione (2006) nonché al periodo di servizio prestato alle dipendenze del Banco di Sicilia, andava fiscalmente regolato con tassazione separata per la parte ordinariamente legata alla cessazione del rapporto di lavoro ai sensi del T.U.I.R. mentre la quota parte legata al rendimento prodotto dalle somme versate in un fondo integrativo andava sottoposta alla tassazione del 12,50%, come previsto e disciplinato dall’art. 6 della legge n. 482 del 1995.

Avverso la suddetta  sentenza  proponeva  ricorso l’Agenzia delle entrate affidato ad un motivo di impugnazione mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso.

Considerato che:

Con l’unico motivo di impugnazione la parte contribuente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 13 del d.lgs. n. 124 del 1993, 16 e 42 del d.P.R. n. 917 del 1986, 11 della legge n. 335 del 1995, 1 del D.L. n. 669 del 1996 convertito in legge n. 30 del 1997 per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che quanto liquidato per il fondo del Banco di Sicilia rientri tra i redditi di capitale e che, pertanto, debba essere applicata alla somma percepita l’aliquota del 12,50% in luogo di quella relativa al T.F.R., nonché la tassazione del trattamento nella misura dell’87,50% e non dell’intero, con diritto al rimborso di quanto versato in eccedenza, godendo di tale aliquota agevolata solo le somme effettivamente investite sul mercato.

Va preliminarmente disattesa l’eccezione relativa all’asserita inammissibilità del ricorso in quanto proposto a seguito di una cd. “doppia conforme”. Infatti ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, cod. proc. civ., solo nel caso di censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non anche nel caso, come quello di specie, in cui la doglianza sia proposta ex n. 3 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. (Cass. n. 7724 del 2022).

Va altresì parimenti preliminarmente disattesa l’altra eccezione relativa all’asserita inammissibilità del ricorso in quanto fondato su motivi di merito, la cui valutazione è preclusa al giudice di legittimità. Nella specie infatti il motivo di impugnazione è proposto non solo formalmente ma anche sostanzialmente in ragione di una violazione di legge e in particolare del principio giuridico (cfr. Cass. n. 3453 del 2021 la cui massima è riportata qui di seguito) in base al quale alle somme facenti parte del fondo del Banco di Sicilia debba essere applicata l’aliquota del 12,50% in luogo di quella relativa al T.F.R., solo per le somme effettivamente investite sul mercato.

Nel merito, il motivo di impugnazione è fondato in quanto, secondo questa Corte:

in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 124 del 1993, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento  tributario:  a)  per  gli  importi  maturati  a decorrere  dal 1° gennaio  2001 si applica  interamente  il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo vigente “ratione temporis”); b) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, invece, la prestazione è assoggettata a detto regime di tassazione separata solo per quanto riguarda la sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6 della I. n. 482 del 1985, alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento, ossia quelle derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non necessariamente finanziario, se e nella misura conseguita e, sul piano processuale, se e nella misura provata (Cass. n. 3453 del 2021);

«La sentenza impugnata richiama correttamente la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 13642 del 2011 che ha statuito che “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 16, comma 1, lett a), e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al citato D.P.R. n. 917, artt. 16, comma 1, lett. a), e art. 17.” Tuttavia la Commissione Regionale non ha fatto corretta applicazione dei predetti principi.

La stessa, infatti, ha applicato l’aliquota del 12,50% all’intera somma corrisposta dal Fondo previdenziale della banca senza operare la distinzione tra la sorte capitale costituita dai versamenti del lavoratore e del datore di lavoro relativa alla attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, cui va applicata l’aliquota TFR, e le somme liquidate sulla base del rendimenti degli investimenti effettuati dal Fondo previdenziale cui unicamente va applicata la percentuale del 12,50%» (Cass. n. 13425 del 2021); (Cass. S.U. n. 6928 del 2018)

«2. La questione – qualificata “di massima di particolare importanza” – sottoposta all’attenzione di queste Sezioni Unite dall’ordinanza di rimessione riguarda l’applicabilità, o meno, del divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto per le prestazioni previdenziali dalla L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, anche ai crediti al credito maturati dal lavoratore, con riguardo alle somme versate nei fondi integrativi, come quello di cui si tratta nel presente giudizio.

3. Tale questione è già stata da tempo esaminata dalla giurisprudenza di questa Corte e la soluzione che ad essa è stata data è del tutto da condividere e va quindi confermata – per le ragioni di seguito esposte – non essendo stati offerti argomenti idonei a modificarla.

4. Deve essere, in primo luogo, ricordato che la menzionata L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 16, comma 6, innovando la disciplina degli effetti del ritardo nella corresponsione delle prestazioni dovute dagli “enti gestori di forme di previdenza obbligatoria”, ha stabilito che tali enti “sono tenuti a corrispondere gli interessi legali sulle prestazioni dovute a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l’adozione del provvedimento sulla domanda che risulti completa”, precisando, nell’ultimo periodo, che “l’importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione delle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito”.

Con quest’ultima disposizione è stato sancito il cosiddetto “divieto di cumulo” fra interessi legali e rivalutazione monetaria riguardo alle prestazioni erogate in ritardo dagli enti suddetti, con la conseguenza che la mora deve essere risarcita mediante la corresponsione della maggior somma rispettivamente risultante dal calcolo degli interessi e da quello della rivalutazione monetaria.

5. Con sentenza 15 ottobre 2002, n. 14617 di queste Sezioni Unite è stato chiarito che quest’ultima disposizione nella sua formulazione originaria, non ancora attinta dalle successive modifiche legislative apportate dalla L. 27 dicembre 2006,    296,  art.  1, comma  783,  e, successivamente,  dal D.L.  9  febbraio  2012,  n.  5,  art. 16, comma 8, lett. b), convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, le quali, peraltro, sono ininfluenti rispetto all’interpretazione offerta nella suindicata sentenza ai fini che qui interessano – è stata dettata per assolvere ad una funzione riequilibratrice e di contenimento della maggiore spesa cui erano stati sottoposti i suddetti enti previdenziali per effetto della estensione, riguardo ai crediti per accessori sulle prestazioni da essi erogate in ritardo, del meccanismo di rivalutazione proprio dei crediti di lavoro, imposto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 12 aprile 1991.

6. Con tale ultima decisione era stata infatti dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 442 c.p.c. “nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal titolare per la diminuzione del valore del suo credito”. Nella stessa ottica, con la successiva sentenza n. 196 del 27 aprile 1993, la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittima la stessa norma, nella parte in cui non prevede il medesimo trattamento dei crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale “nel caso in cui il ritardo dell’adempimento sia insorto anteriormente al 31 dicembre 1991 “.

Mentre poi, con la sentenza n. 361 del 1996, è stata dichiarata la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, cit., rilevandosi che con la norma in esame il legislatore, dopo la sentenza n. 156 del 1991, ha fatto valere la necessità di una più adeguata ponderazione dell’interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica in un contesto di progressivo deterioramento degli equilibri finanziari, con una scelta compatibile con l’art. 38 Cast..

7. Nel frattempo, con la L. 23 dicembre 1994, 724, art. 22, comma 36, seconda parte, la disciplina dettata dalla L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, è stata estesa “anche agli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza”.

E con la sentenza n. 450 del 2000 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale norma per violazione dell’art. 36 Cast., limitatamente alla sua applicazione ai rapporti di lavoro subordinato privato.

Nell’occasione la Corte costituzionale ha sottolineato la evidente non riferibilità al rispetto del parametro di cui all’art. 36 Cast. con riferimento ai crediti di lavoro derivanti da rapporti di diritto privato dell’unica ragione giustificatrice, dal punto di vista costituzionale, dell’art. 16, comma 6, cit. individuata nella sentenza n. 361 del 1996 nella necessità di fare fronte ad un contesto di progressivo deterioramento degli equilibri della finanza pubblica, configurata come “ratio autonoma” della norma.

8. Può dirsi, pertanto, che a seguito della suddetta evoluzione interpretativa, si è giunti sia nella giurisprudenza di questa Corte – a partire dalla suindicata sentenza di queste Sezioni Unite, cui si è uniformata la successiva giurisprudenza (vedi, per tutte: Cass. 30 gennaio 2003, n. 1477; Cass. 6 dicembre 2003, n. 19264; Cass. 19 aprile 2004, n. 7392; Cass. 12 luglio 2004, n. 12868; Cass. 23 febbraio 2009, n. 4366) – sia nella giurisprudenza della Corte costituzionale a stabilire che la regola della non cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria sulle prestazioni dovute – dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, si riferisce esclusivamente ai crediti previdenziali vantati verso tali enti, trovando la sua giustificazione nelle suindicate ragioni di tipo finanziario che non possono che riguardare esclusivamente tali enti, che sono gli unici per i quali la tutela degli interessati ad ottenere le prestazioni di spettanza incontra un limite compatibile con l’art. 38 Cost. nel necessario contemperamento con le disponibilità del bilancio- pubblico, a carico del quale è finanziato in buona parte il sistema previdenziale (Corte cost., sentenze n. 220 del 1988; n. 119 del 1991; n. 361 del 1996).

9. Nella citata sentenza di queste Sezioni Unite n. 14617 del 2002 è stato anche precisato che ai fini del divieto del cumulo in argomento non rileva soltanto la natura dell’ente ma anche quella dei crediti degli assicurati, sempre che si tratti di crediti da far valere nei confronti dei suddetti enti.

Al riguardo è stato precisato che l’individuazione, da parte dell’art. 16, comma 6, cit., della “data di scadenza del termine previsto per l’adozione del provvedimento sulla domanda” come momento iniziale della decorrenza degli interessi legali porta chiaramente a ritenere che la norma possa trovare applicazione soltanto per i crediti relativi a prestazioni che abbiano natura previdenziale, le quali sono erogate previa domanda proposta dall’interessato, a differenza di quelle aventi natura retributiva.

Infatti, mentre per queste ultime vale la regola dell’esigibilità della relativa obbligazione nel momento stesso in cui matura il diritto, invece i crediti previdenziali possono – di norma – essere fatti valere dagli interessati esclusivamente dopo la presentazione di un’apposita domanda all’ente di competenza, cui da quel momento è riconosciuto un certo lasso di tempo per provvedervi.

10. In  questo contesto, a partire da Cass. 28 ottobre 2008, 25889, nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato l’indirizzo secondo cui la regola della non cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria di cui all’art. 16, comma 6, cit. non è applicabile alle prestazioni pensionistiche integrative dovute dal datore di lavoro, tramite Fondi del tipo di quello della SICILCASSA s.p.a., di natura pacificamente privatistica.

A tale conclusione si è pervenuti ribadendosi che il divieto di cumulo d’interessi e rivalutazione monetaria previsto dalla suddetta disposizione si riferisce esclusivamente ai crediti previdenziali vantati verso gli enti gestori di previdenza obbligatoria, in quanto tale divieto ha la sua ratio nella scelta legislativa di contemperare la tutela degli interessati ad ottenere le prestazioni di spettanza con le disponibilità del bilancio pubblico, scelta che in tali termini è compatibile con l’art. 38 Cast. e che, all’evidenza, non si giustifica con riguardo alle prestazioni di natura privatistica corrisposte dai datori di lavoro, come quelle del FIP di cui si tratta nella presente controversia.

Questo indirizzo – che è da condividere – si è consolidato nel tempo ed è stato ribadito anche in molte sentenze che si sono pronunciate in merito alle prestazioni pensionistiche integrative corrisposte dal Fondo della SICILCASSA s.p.a. (vedi: Cass. 14  settembre 2015, 18041; Cass. 13  ottobre 2015, n. 20526; Cass. 14 ottobre 2015, n. 2017; Cass. 4 settembre 2017, n. 20738; Cass. 5 settembre 2017, n. 20775; Cass. 6 ottobre 2017, n. 23417; Cass. 25 ottobre 2017, n. 25358).

11. Nel frattempo in continuità con la sentenza della Corte costituzionale 421 del 1995, integrata dalla sentenza n. 178 del 2000 – con sentenza di questa Sezioni Unite 9 marzo 2015, n. 4684 è stato stabilito che i contributi dei datori di lavoro al finanziamento dei fondi di previdenza integrativa, fin dalla istituzione di tali fondi, non possono definirsi emolumenti retributivi con funzione previdenziale ma costituiscono contribuzioni di natura strutturalmente previdenziale (nella stesso senso: Cass. 4 aprile 2013, n. 8228 e Cass. 14 giugno 2017, n. 14758), ponendosi l’accento soprattutto sulla mancanza di un nesso di corrispettività diretta fra contribuzione e prestazione lavorativa e sulla sostanziale autonomia tra rapporto di lavoro e previdenza complementare.

12. Quanto alle modalità di calcolo di interessi e rivalutazione sulla cui cumulabilità non incide l’affermata natura previdenziale delle prestazioni pensionistiche integrative corrisposte dal Fondo di cui si tratta, visto che il soggetto tenuto al pagamento resta non assimilabile agli enti gestori di previdenza obbligatoria va considerato che, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, con riguardo agli accessori i crediti previdenziali hanno natura unitaria nel senso che gli accessori costituiscono componenti essenziali di un’unica prestazione. Pertanto, non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie e il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale dell’unica prestazione, alla cui determinazione il giudice deve provvedere anche in assenza di domanda giudiziale. Ne consegue che la domanda di pagamento del residuo credito per rivalutazione monetaria ed interessi legali va maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali, in cumulo tra loro (Cass. 28 marzo 2008, n. 8134; Cass. 22  maggio  2008,  n.  13213; Cass.  3 settembre 2014, n. 18558).

In particolare, gli interessi legali devono essere calcolati sul capitale rivalutato, con scadenza periodica dal momento dell’inadempimento fino a quello del soddisfacimento del credito (Cass. 16 ottobre 2013).

D’altra parte, il diritto alla rivalutazione monetaria diversamente da quel che sostiene la SICILCASSA – non deve arrestarsi alla data in cui essa ha ceduto il complesso delle proprie attività e passività al Banco di Sicilia, ma, come affermato dalla Corte territoriale, il dies ad quem è da individuare nel momento in cui è divenuto esecutivo lo stato passivo della LAC (vedi, in tal senso: Cass. n. 23417 del 2017 cit.).

13. Va, infine, precisato che dall’affermata natura esclusivamente previdenziale dei contributi versati al Fondo in oggetto e del conseguente trattamento pensionistico integrativo da esso corrisposto deriva che, in caso di omesso versamento contributivo, il corrispondente credito insinuato al passivo del fallimento o della LAC del datore di lavoro non è assistito da privilegio  (Cass.  5 ottobre 2015, 19792). Ciò in quanto tale credito da un lato non ha natura retributiva e d’altra parte ad esso non è certamente applicabile il privilegio generale sui mobili del datore di lavoro previsto per i contributi di previdenza sociale di cui agli artt. 2753 e 2754 cod. civ., in quanto la causa del credito in considerazione della quale la legge accorda tale privilegio deve essere individuata nell’interesse pubblico al reperimento ed alla conservazione delle fonti di finanziamento della previdenza sociale. Tale fine non è tutelato, invece, dagli enti privati pur portatori di interessi collettivi, che gestiscono forme integrative di previdenza ed assistenza, sicchè i contributi non versati dal datore di lavoro, poi fallito non sono assistiti dal predetto privilegio in quanto dovuti non ex lege ma per contratto (Cass. 14 dicembre 2015, n. 25173).

  1. Ne deriva che in continuità con quanto affermato da queste Sezioni Unite nelle sentenze n. 14617 del 2002 e n. 4684 del 2015 e dalla successiva giurisprudenza conforme la proposta questione di massima di particolare importanza deve essere risolta nel seguente senso:
  1. il trattamento pensionistico erogato dal Fondo Integrativo Pensioni (FIP) in oggetto ha natura previdenziale, ma ad esso non è applicabile il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto dalla n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, in quanto non è corrisposto da un ente gestore di forme di previdenza obbligatoria, ma da un datore di lavoro privato;
  2. essendo il credito de quo previdenziale, ai relativi accessori da cumulare non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie, sicchè il pagamento del solo credito  originario  si  configura  come  adempimento parziale di una prestazione unitaria e quindi gli interessi legali devono essere calcolati sul capitale rivalutato, con scadenza periodica dal momento dell’inadempimento fino a quello del soddisfacimento del credito mentre il diritto alla rivalutazione monetaria ha come dies ad quem quello del momento in cui è divenuto esecutivo lo stato passivo della LAC;
  3. peraltro alla affermata natura previdenziale del credito consegue che esso nell’ammissione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della SICILCASSA s.p.a. non è assistito da privilegio.

III – Conclusioni.

15. Da quanto si è detto deriva il rigetto del primo motivo di ricorso e l’accoglimento del secondo motivo, nei termini su precisati. 

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, in relazione al motivo accolto e non essendo necessari- ulteriori accertamenti di fatto, la causa, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, può essere decisa nel merito escludendo l’ammissione in linea privilegiata al passivo della liquidazione coatta amministrativa (LAC) della SICILCASSA s.p.a. del credito vantato, per complessivi Euro 41.359,69 (comprese le somme già ammesse), da S.D., a titolo di riscatto della intera propria posizione contributiva affluita al Fondo Integrativo Pensioni (d’ora in poi: FIP) in oggetto, come quantificato nella sentenza impugnata con riguardo al cumulo e al calcolo di interessi legali e rivalutazione monetaria.

16. Ai sensi  dell’art.  384  p.c.,  comma  1,  si  ritiene opportuno enunciare il seguente principio di diritto:

il trattamento pensionistico erogato dai fondi pensioni integrativi ha natura previdenziale, fin da quando tali fondi sono stati istituiti, ma ad esso non è applicabile il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto dalla L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, in quanto non è corrisposto da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria ma da datori di lavoro privati. Alla affermata natura previdenziale del corrispondente credito consegue, da un lato, che ai relativi accessori da cumulare non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie, sicchè il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria e, d’altra parte, che nell’ammissione allo stato passivo del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa del datore di lavoro tale credito non è assistito da privilegio“» (Cass. S.U. n. 6928 del 2018).

La  sentenza  impugnata  non si è attenuta  ai suddetti principi laddove – affermando che il trattamento di fine rapporto corrisposto alla parte contribuente, in relazione all’anno di liquidazione (2006) nonché al periodo di servizio prestato alle dipendenze del Banco di Sicilia, andava fiscalmente regolato con tassazione separata per la parte ordinariamente legata alla cessazione del rapporto di lavoro ai sensi del T.U.I.R. mentre la quota parte legata al rendimento prodotto dalle somme versate in un fondo integrativo andava sottoposta alla tassazione del 12,50% (a prescindere dal trattarsi di somme effettivamente investite sul mercato) come previsto e disciplinato dall’art. 6 della legge n. 482 del 1995 – non ha considerato che la ritenuta nella misura del 12,50% trova applicazione sugli importi corrisposti  dal  Fondo  che  derivino  effettivamente dall’investimento sul mercato (non necessariamente finanziario: cfr. Cass. n. 3453 del 2021 e n. 4943 del 2018), da parte dello stesso Fondo, del capitale accantonato e ne costituiscono il rendimento, in quanto solo tali somme sono assimilabili, anche sotto il profilo fiscale, ai redditi di capitale.

Pertanto, ritenuto fondato il motivo di impugnazione, il ricorso va conseguentemente accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.