Corte di Cassazione ordinanza n. 21808 depositata l’ 11 luglio 2022
ICI – IMU – autotutela in materia catastale deve essere intesa quale potestà di annullamento di un pregresso provvedimento di accatastamento illegittimo
Ritenuto che
1. Con sentenza n. 25501 del 3.12.2015 questa Corte confermava la sentenza della CTR che aveva ritenuto legittima la rettifica del classamento catastale e della rendita dell’immobile della U.V. s.r.l. sito nel Comune di Magione e censito al NCEU al foglio 35, p.lla 97 attribuendo allo stesso la classe D/2 con rendita, rideterminata in sede di giudizio di merito, in €. 51.000,00. La suindicata rettifica trovava ragione nell’esigenza di correggere l’originaria valutazione, effettuata il 9.9.1991, dall’ente impositore che aveva erroneamente classificato il detto immobile nella categoria D/5 con rendita pari a €. 15.359,43.
2. A seguito dell’intervenuto giudicato, il Comune di Magione provvedeva a notificare alla contribuente due avvisi di accertamento ICI relativi alle annualità 2009 e 2010.
3. Avverso tali avvisi la contribuente proponeva ricorso sul presupposto che la determinazione della base imponibile determinata a seguito della sentenza n. 25501 del 2015 non poteva avere effetto retroattivo, operando solo per le annualità successive a tale pronuncia.
4. Con sentenza n. 284/3/18, depositata il 28/6/2018, la Commissione tributaria Regionale dell’Umbria (CTR), accoglieva l’appello proposto dalla contribuente e, per l’effetto, riformava la sentenza di primo grado sul rilievo che l’attività di rettifica operata dall’Agenzia ciel territorio non poteva essere ricondotta all’esercizio di un potere di autotutela e, come tale, avente efficacia retroattiva.
5. Avverso tale sentenza il Comune di Magione propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
6. La U.V. r.l ha depositato controricorso.
7. In prossimità della camera di consiglio il Comune di Magione ha depositato memoria.
Considerato che:
1. Con il primo motivo il Comune di Magione lamenta, ex 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 74, comma 1, legge n. 342 del 2000, per avere la CTR erroneamente applicato tale disposizione alla fattispecie in esame riconducibile alla diversa ipotesi di rettifica della rendita catastale per erronea determinazione della stessa in sede di originario classamento. Nel caso di specie sarebbe, infatti, carente il presupposto della sopravvenienza dii elementi nuovi quali presupposti di un nuovo classamento così come previsto dalla disposizione sopra richiamata.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ex 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 per aver la CTR affermato che «ove fosse possibile operare un riferimento all’autotutela con funzione cfi riesame esso potrebbe semmai riguardare in termini sistematici il diverso potere della revoca (art. 21-quinquies l.n. 241 del 1990) quale ritiro dell’atto per una sopravvenuta inopportunità ovvero nel caso di specie per una rinnovata valutazione della rendita nell’esercizio discrezionale di tipo tecnico che le è propria». Anche con riferimento a tale censura il ricorrente ribadisce le ragioni esposte nel primo motivo di censura e, dunque, che la rettifica non era riconducibile ad alcuna attività discrezionale da parte dell’ente impositore dovuta ad elementi sopravvenuti.
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ex 360., primo comma, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo consistito nella nota prot. n. 28424 del 13.11.2015 dell’Agenzia delle entrate trasmessa sia al ricorrente che alla società contribuente nella quale si dava atto che «la variazione del classamento veniva posta in essere dall’ufficio come accertamento in autotutela che annulla il precedente relativo alla dichiarazione n. 26336/1991 del 9/9/1991 ed avente la medesima data di efficacia del provvedimento annullato» e che «ai fini catastali casamento in categoria D/2 dell’unità immobiliare in oggetto con rendita pari ad€ 51.000 decorrerà dal 9.9.1991».
4. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, sono fondati.
In materia di ICI, ai fini della determinazione della base imponibile vige il principio generale, fissato dal d.lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2, secondo cui, per i fabbricati iscritti in catasto, essa è data dal valore di questi ultimi che risulta applicando, all’ammontare delle rendite risultanti in catasto vigenti al 1° gennaio dell’anno dli imposizione, i moltiplicatori determinati con i criteri e le modalit21 dal penultimo comma dell’art. 52 del d.P.R. n. 131 del 1986 – e successive modificazioni ed integrazioni – in materia di imposta di registro.
Conseguentemente, le variazioni delle risultanze catastali incidono sulla determinazione della base imponibile a decorrere dalla c.d. “messa in atti”, ossia dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali.
Sul punto questa Corte (Cass. n. 14114 del 2017 Rv. 644420 – 01) ha affermato che «In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la base imponibile è individuata dall’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992 mediante una stretta ed imprescindibile relazione tra iscrizione (o necessaria iscrivibilità) in catasto di una unità immobiliare e rendita vigente al primo gennaio dell’anno di imposizione, sicché i dati del singolo fabbricato, quali risultanti dal catasto, costituiscono un fatto oggettivo, ai fini dell’assoggettamento all’imposta e della determinazione del “quantum” dovuto, non contestabile, neppure in via incidentale, da nessuna delle parti (comune e contribuente) del rapporto obbligatorio concernente l’imposta, fatta salva la facoltà del contribuente di chiedere la modifica (eventualmente in via di autotutela), ovvero di impugnare (in sede giurisdizionale) l’atto di accatastamento e/o di attribuzione della rendita, con naturale ripercussione (ed effetto vincolante per le parti del rapporto ICI) sul provvedimento definitivo».
Successivamente, il richiamato principio è stato integrato con l’art. 74 della legge n. 342 del 2000, il quale ha disposto, a decorrere dal 1° gennaio 2000, che «gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’Ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita».
Tale disposizione va inquadrata nel più ampio contesto dei princ1p1 introdotti dallo Statuto dei diritti del contribuente e, in particolare, dà attuazione all’art. 6 della legge n. 212 del 2000, secondo cui l’Amministrazione finanziaria deve assicurare al contribuente la effettiva conoscenza degli atti che gli sono destinati.
Con riferimento alla portata dell’art. 74 cit. questa Corte (Cass. n. 14402 del 2017 Rv. 644432 – 01) ha affermato che «In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’art. 74, comma 1, della l. n. 342 del 2000, nel prevedere che, a decorrere dall’1 gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, va interpretato nel senso dell’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita prima della sua notifica al fine di individuare la base imponibile dell’ICI, ma non esclude affatto l’utilizzabilità della rendita medesima, una volta notificata,, a fini impositivi anche per annualità d’imposta “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso» stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell’atto attributivo della rendita.
Diversamente, le disposizioni sopra indicate trovano un limite, circa la decorrenza della rendita attribuita o modificata, nel caso in cui si è in presenza di una modifica all’originaria rendita catastale determinata dalla rilevazione di errori di fatto, compiuti dall’Ufficio in sede di accertamento, o nella valutazione delle caratteristiche dell’immobile, esistenti alla data in cui fu attribuita la rendita. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in tali casi, l’attribuzione di una diversa rendita, per effetto della correzione di simili errori materiali, deve farsi decorrere dal momento dell’originario classamento in quanto rivelatosi erroneo o illegittimo.
In proposito, il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità ha affermato che «In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), ai sensi dell’art. 74, comma 1, della l. n. 342 del 2000, dall’1 gennaio 2000 gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, sicchè il provvedimento emesso in sede di autotutela modificativo della rendita ha effetto retroattivo dalla data dell’originario classamento, indipendentemente dalla data di notifica della nuova rendita, se si limita a correggere errori originari o vizi dell’atto, mentre se il riesame del classamento viene eseguito sulla base di nuovi elementi, sopravvenuti o diversi rispetto a quello originario, la rettifica della rendita, effettuata dopo l’1 gennaio 2000, è irretroattiva, avendo efficacia “ex nunc”» (Cass. n. 13845 del 2017 Rv. 644711 – 01; Cass. n. 29683 del 2020 Rv. 660106 – 01)
Tali principi tengono conto del fatto che l’autotutela in materia catastale deve essere intesa quale potestà di annullamento di un pregresso provvedimento di accatastamento illegittimo di talché, essa è esercitata – tanto d’ufficio che su istanza di parte – al fine di eliminare errori di inserimento dei dati, ovvero di applicazione delle regole tecniche dell’estimo catastale in relazione ad un immutato contesto.
5. Nel caso di specie l’avviso di accertamento n. PG0169531/2011 del 4.2011 oggetto della decisione di questa Corte n. 2S501 del 2015 e posto a fondamento dei successivi avvisi impugnati in questa sede, deve essere qualificato, diversamente da quanto erroneamente ritenuto dalla CTR, come atto di rettifica dell’originario classamento dell’immobile della società contribuente e, dunque, quale esercizio del potere di autotutela di quest’ultima.
Sul punto assume rilievo la circostanza che con l’avviso sopra indicato l’Amministrazione finanziaria ha provveduto a correggere l’originaria valutazione effettuata il 9 settembre 1991 dell’immobile della società contribuente erroneamente classificato nella categoria D/5 (immobili destinati ad assicurazioni istituti di cambio o di credito) con l’attribuzione della categoria D/2 (immobili destinati ad albergo e pensioni), correzione che è incontroverso tra le parti, avvenuta in assenza di elementi sopravvenuti alla originaria valutazione. In proposito parte ricorrente afferma che la società contribuente «sin dal 1991, data dell’originario accatastamento, ha sempre svolto un’attività ricettizia e che non è mai mutato nell’utilizzo nella destinazione dell’immobile oggetto del presente giudizio»; affermazione non oggetto di specifica contestazione dalla contribuente nel corso del presente giudizio.
La suindicata qualificazione dell’avviso di liquidazione emesso dall’Amministrazione finanzia ria nel 2011, presupposto di quelli oggetto del presente giudizio, non trova ostacolo nel dictum della sentenza n. 25501 del 2015 di questa Corte la quale, dopo aver riportato le diverse ipotesi di classamento disciplinate dal legislatore, si è limitata ad affermare la legittimità dell’avviso del 2011 «emergendo dalla sentenza impugnata l’accertamento in fatto, non adeguatamente contestato e conforme a diritto, che “...le determinazioni dell’Amministrazione appaiono del tutto ragionevoli sia con riferimento alla destinazione della struttura verificata (ricettività alberghiera) e alla valutazione comparativa con altre analoghe strutture della zona, sia con riferimento ai valori assoluti cui è pervenuto l’accertamento (circa 900 euro al metro quadro). L’ulteriore diminuzione operata dalla sentenza di primo grado colloca la rendita attribuita in ambito di sicura equità». Manca, infatti, in tale motivazione ogni riferimento circa la natura dell’atto impugnato e, dunque, alla decorrenza del nuovo classamento catastale con esso attribuito all’immobile della società contribuente.
6. Dall’accoglimento dei primi due motivi di ricorso consegue l’assorbimento del terzo motivo.
Da quanto sopra consegue l’accoglimento del ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, vanno rigettati i ricorsi introduttivi proposti dalla contribuente.
7. Le spese di lite dei gradi di merito vanno interamente compensate, stante i diversi pronunciamenti intervenuti, mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.
Le spese di lite dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, mentre la soccombente va condannata al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del quindici per cento, agli esborsi per euro 200,00 e agli accessori di legge;
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