Corte di Cassazione ordinanza n. 21944 depositata l’ 11 luglio 2022
sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula «perché il fatto non sussiste», non spiega automaticamente efficacia di giudicato – divieto del bis in idem – giudizio di rinvio – notifica del ricorso per cassazione
FATTI DI CAUSA
1. S.S. s.r.l. in liquidazione ricorrere, con tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio che – pronunciando quale giudice di rinvio – ha parzialmente accolto l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Roma che, a propria volta, aveva accolto il ricorso avverso l’avviso di accertamento numero 881030500544/2004 con il quale era stato recuperato a tassazione, ai fini Irap, Ires ed Iva, il maggior reddito, per l’anno d’imposta 1999, derivante dall’omessa indicazione di ricavi e dall’indebita deduzione di costi.
2. La Corte di Cassazione, con la sentenza dell’8 aprile 2015 n. 6954, annullava con rinvio la sentenza precedentemente resa dalla C.tr. del Lazio rilevando quanto segue: «la motivazione è gravemente insufficiente atteso che dallo scarno e (apparentemente) autoevidente ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerge tanto l’obliterazione di elementi (anche presuntivi) che potrebbero condurre ad una diversa decisione, quanto – e soprattutto – l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento».
3. La C.t.r. del Lazio, in diversa composizione, a seguito di riassunzione del giudizio ad opera della contribuente, ha ritenuto meritevole di accoglimento l’appello limitatamente alla contestazione di maggiori ricavi non dichiarati e non fondato quanto all’indeducibilità dei costi.
4. La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
In particolare, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha accolto il gravame dell’Ufficio, sebbene quest’ultimo, nel giudizio di rinvio, si fosse costituito depositando il fascicolo di altro giudizio, così non riproponendo l’appello avverso la sentenza di primo grado.
2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, primo comma, 3 e 5, cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 cod. civ.
In particolare, assume che la C.t.r. ha tratto una presunzione da quanto prospettato nel processo verbale di constatazione solo in via di mera ipotesi e che ha omesso di pronunciarsi su fatti decisivi del giudizio – sottoposti al giudice del primo grado e riproposti in sede di rinvio – individuati nella mancanza di significatività degli accertamenti a campione effettuati dalla guardia di finanza – stante l’esiguità del campione preso in considerazione – e nell’impossibilità di estendere l’accertamento all’intero anno 1999, atteso che la verifica eseguita dalla guardia di finanza risaliva al 15 settembre 1999, quando mancava un trimestre alla fine dell’esercizio.
3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, primo comma, 5, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 4 Prot. 7 CEDU.
In particolare, censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto, in violazione dell’art. 4 Prot. 7 CEDU, della sentenza penale di assoluzione del Presidente del Consiglio di Amministrazione con la formula «perché il fatto non sussiste», resa per i medesimi fatti e sebbene non fosse applicabile ratione temporis l’art. 20, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 che ha escluso qualsiasi rapporto di pregiudizialità tra il procedimento penale ed il processo tributario.
4. Preliminarmente va disattesa l’eccezione, sollevata dalla ricorrente nella memoria, di tardività del controricorso.
L’Agenzia delle Entrate nel controricorso ha eccepito, ai soli fini di sostenerne la tempestività, la nullità della notifica del ricorso principale.
Questa Corte ha già chiarito che, qualora nel giudizio di merito l’Agenzia delle entrate non sia stata rappresentata dall’Avvocatura dello Stato, è nulla la notifica del ricorso per cassazione effettuata, come nel caso in esame, presso detta ultima e che tale nullità può essere sanata ove l’Agenzia si costituisca senza sollevare eccezioni al riguardo (Cass. 22/06/2021, n. 17700).
La ricorrente in memoria ha sostenuto che l’Avvocatura dello Stato era già costituita «nel precedente grado di giudizio». La circostanza, tuttavia è contraddetta da quanto dedotto dalla stessa parte che nella memoria ha precisato che l’Ufficio non si era costituito in sede di rinvio, così facendo seguito a quanto allegato nel ricorso in cui aveva precisato che l’Agenzia delle Entrate aveva depositato atti e documenti riguardanti altra controversia.
Di conseguenza, deve ritenersi tempestivo ed ammissibile il controricorso dell’Agenzia Entrate in quanto la costituzione in giudizio ha, così, sanato la nullità della notifica eseguita presso l’Avvocatura dello Stato.
5. Il primo motivo è infondato.
5.1 il giudizio di rinvio è soggetto alla disciplina specifica prevista dagli artt. 392 e ss. cod. proc. civ., che prevede due possibili esiti alternativi: la riassunzione (ad opera di qualunque parte) con la conseguente pronuncia del giudice del rinvio in attuazione del dictum della Cassazione o l’estinzione dell’intero Per giurisprudenza costante di questa Corte, pertanto, anche in caso di contumacia della parte non può derivare la rinuncia alle domande riproposte nel grado di appello e, conseguentemente, non sussiste alcuna preclusione da giudicato interno. (Cass. 19/06/2019, n. 16505, Cass. 12/02/2019, n. 4070, Cass. 30/11/2015, n. 24336). Correttamente, pertanto, la C.t.r. ha scrutinato l’appello originario dell’Ufficio, sebbene le difese di quest’ultimo nel giudizio di rinvio non fossero pertinenti in quanto relative ad altro giudizio.
6. Il terzo motivo, logicamente preliminare è infondato.
6.1 Nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula «perché il fatto non sussiste», non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente (Cass. 27/06/2019, n. 17258). L’efficacia vincolante del giudicato penale, ai sensi dell’art. 654 proc. pen. pertanto, non può operare automaticamente e la sentenza penale costituisce un semplice indizio o elemento di prova critica in ordine ai fatti in essa eventualmente accertati non costituendo accertamento preliminare “necessario”. A tale ratio risponde l’art. 20 d.lgs. n. 74 del 2000, ancorché non applicabile alla fattispecie.
6.2 Quanto alla norma convenzionale invocata, questa Corte ha già chiarito come il divieto del bis in idem non operi rispetto agli atti impositivi in quanto postula, anche in virtù dei principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte costituzionale, che un soggetto sia stato sottoposto a processo penale e che, per conseguire effetti deterrenti, gli sia stata irrogata un’ulteriore misura, finalizzata alla punizione del medesimo fatto, che, al di là dalla qualificazione giuridica operata dalla legislazione nazionale, sia da ritenere di natura penale per la gravità delle conseguenze da essa derivanti: detti caratteri non sono ascrivibili alla pretesa impositiva, atteso che con la stessa l’Amministrazione finanziaria si limita a recuperare l’imposta non versata; – invero, presupposto di base per l’applicazione dei principi richiamati dal ricorrente e delle disposizioni sovranazionali invocate è quello della applicazione alla medesima condotta di sanzioni penali e amministrative o tributarie (Cass. 01/04/2021, n. 9076, Cass. 01/04/2021, n. 9077, Cass. 05/10/2018, n. 24470).
7. Il secondo motivo è infondato per entrambi i profili contestati.
7.1 Quanto all’omessa valutazione di fatti decisivi, deve rilevarsi che, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, la sentenza impugnata ha preso espressamente in considerazione quanto dedotto dal ricorrente in ordine agli accertamenti eseguiti ed ha così motivato:
«ciò che appare tuttavia decisivo, a favore dell’ufficio appellante, e che ognuno dei riscontri effettuati, quattro di ”coerenza interna” e sei di ”coerenza esterna” ha fornito un esito corrispondente. Se quindi nell’ambito di un campione certamente significativo è stato accertato che la merce veniva acquistata in “set” di due pezzi e rivenduta in “set” comprendente un unico pezzo, da tale riscontro può legittimamente desumersi, tenuto conto anche degli altri elementi acquisiti dalla guardia di finanza, che tale modus procedendi concernesse tutti i prodotti delle tipologie sopra descritte che nelle annualità 1999 sono stati acquistati dalla società». La sentenza, pertanto, motiva in maniera congrua sia sulla decisività dei riscontri a campione dai quali poteva presumersi che il 50 per cento dei prodotti acquistati fosse stato successivamente ceduto in evasione d’imposta, sia sulle ragioni delle estensibilità dell’accertamento all’interno esercizio 1999.
7.2 Quanto alla violazione dell’art. 2727 civ. la sentenza, pur dando atto che nel processo verbale di constatazione si era utilizzata l’espressione «si è giunti ad ipotizzare» – espressione in ragione della quale la società ricorrente ha ritenuto l’accertamento fondato su mere ipotesi – ha così motivato: «Il collegio osserva che i militari hanno iniziato i propri accertamenti partendo certamente da una ipotesi di lavoro, che è stata però avvalorata mediante una pluralità di riscontri». Ciò posto, la sentenza, dopo aver riconosciuto valenza fattuale, e non di mera ipotesi, a quanto riscontrato nel processo verbale di constatazione, ha correttamente applicato l’art. 2727 cod. civ., motivando sugli elementi presuntivi dai quali ha tratto la convinzione che la società contribuente avesse utilizzato il modus procedendi descritto – consistente nell’acquisto di set composti da due pezzi e nella rivendita di set composti da un solo pezzo – e dando rilievo alla significatività dei riscontri effettuati e alla loro coerenza esterna ed interna. Resta preclusa, invece, la critica mossa alla sentenza impugnata nella parte in cui si concreta nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali.
8. In conclusione il ricorso va rigettato.
9. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.500,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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