Corte di Cassazione ordinanza n. 21945 depositata l’ 11 luglio 2022
processo tributario – ricorso in cassazione – inammissibilità dei motivi
Rilevato che:
1. Con atto di appello notificato al contribuente KEY s.r.l., in data 18/5/2010, l’Agenzia delle entrate ufficio di Latina impugnava la sentenza della C.t.p. di Latina, n. 136/04/09, depositata in data 04/05/2009, che aveva accolto il ricorso della prefata società avverso l’avviso di accertamento n. RC4030200271, relativo all’anno 2003, emesso dal medesimo ufficio per rettifica della dichiarazione prodotta per l’anno 2003, recuperando a tassazione l’importo di € 402.708,36 quale variazione delle rimanenze non dichiarate. Invero, accadeva che un immobile promesso in vendita con un preliminare di vendita alla Nuova Cometa srl era stato risolto e, quindi, restituito l’immobile alla Key s.r.l.
L’avviso di accertamento veniva emesso sul presupposto che la società contribuente – che aveva eseguito lavori edili di ripristino di un immobile sito in Latina – avesse omesso di far transitare per il conto economico la somma di € 402.708,36 e per questo la società contribuente si doleva che l’importo esposto, nello stato patrimoniale, sotto la voce rimanenze finali, fosse avvenuto in spregio della previsione di cui all’articolo 59 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR); l’appellante contestava l’esclusione dell’evasione di imposta ed il fatto che l’operazione fosse stata imputata ad altro anno che non era il 2003.
2. Con sentenza 466/40/13, depositata in data 27/06/2013, la C.t.r. del Lazio accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava valido ed efficace l’avviso di accertamento impugnato.
3. Avverso la sentenza della C.t.r. la società contribuente ha presentato ricorso per cassazione (notificato sia all’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, sia all’Agenzia delle entrate, ufficio di Latina) sulla scorta di un solo motivo.
Si è costituita con controricorso l’Agenzia delle entrate.
La causa è stata discussa nella camera di consiglio del 17 maggio 2022, per la quale non sono state presentate memorie
Considerato che:
1. Con l’unico motivo di ricorso così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 92 del d.P.R. del 22 dicembre 1986, 917, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. Omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti. Art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta sia il vizio di motivazione che l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, si sia dato atto dell’incremento reddituale della società a seguito delle variazioni delle rimanenze finali senza considerare la sussistenza o meno dei presupposti che ne condizionano l’operatività.
2. Il motivo è inammissibile.
La questione dedotta in lite attiene alla omessa contabilizzazione dell’incremento delle rimanenze finali nel conto economico nel senso che la contestazione mossa dai verificatori e ripresa in sede di accertamento nasce dal diverso trattamento effettuato dalla parte nello stato patrimoniale e nel conto economico della medesima voce.
La contribuente ha indicato nello stato patrimoniale un incremento di € 573.708,00 mentre ha indicato nel conto economico un incremento di soli € 171.000,00.
Sotto questo profilo, la censura assume i connotati di una critica attinente al merito della controversia ed all’apprezzamento delle risultanze di causa compiuto dal giudice d’appello, mediante oltretutto la deduzione di dati fattuali non affrontati nei gradi di merito.
La giurisprudenza di questa Corte, in proposito, ha ribadito il consolidato principio secondo cui «Il ricorso per cassazione deve ritenersi inammissibile nell’ipotesi in cui la censura svolta dal ricorrente assuma, come nella specie, i connotati di una critica attinente al merito della controversia ad all’apprezzamento, pur congruamente motivato, delle risultanze di causa compiuto dai Giudici di appello» (Cass. 13/09/2013 n. 20973).
Ancora, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (Cass. 30/03/2007, n. 7981, Cass. 16/07/2010, n.16632).
In quest’ottica, il ricorrente ha l’onere di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado (Cass. 10/05/2005, n. 9765, Cass. 12/09/2000, n. 12025). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito (Cass. 13.9.2007, n. 19164, Cass. 9.7.2013, n. 17041).
3. In conclusione il ricorso è inammissibile.
4. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 7.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13, se dovuto.
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