Corte di Cassazione ordinanza n. 21958 depositata il 12 luglio 2022
IVA – operazioni intracomunitarie – principio di competenza di cui all’art. 109 – perdita su crediti – assoggettati a procedure concorsuali o a procedure estere equivalenti ovvero abbiano concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di risanamento, deducibili a decorrere dai periodi di imposta in cui sussistono elementi certi e precisi ovvero il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale
RILEVATO CHE
1. I. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (già P.I. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE) propone ricorso per cassazione, affidato a cin que motivi, avverso la sentenza n. 4/24/13 del 23-28 gennaio 2013 con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto respingeva l’appello dalla medesima presentato contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Treviso di rigetto dell’impugnazione dell’avviso di accertamento recante rettifica, ai fini IRES, IRAP ed IVA, della dichiarazione pre sentata dalla P.I. in relazione all’anno d’imposta 2004, determinando le maggiori imposte dovute ed irrogando le corrispondenti sanzioni.
2. Resiste con articolato controricorso l’Amministrazione.
3. Con atto in data 7 marzo 2022, il difensore della ricorrente comunicava, «ai fini degli effetti interruttivi ex artt. 299 [cod. proc. civ.]», che la medesima, giusta visura camerale estratta il 28 febbraio 2022, risultava essere stata cancellata d’ufficio dal registro delle imprese a decorrere dal 22 maggio 2018, con conseguente immediata estinzione.
CONSIDERATO CHE
1. Preliminarmente mette conto di osservare come nessun effetto interruttivo consegua alla comunicazione della cancellazione della ricorrente dal registro delle imprese, intervenuta in data 22 maggio 2018, dunque successivamente alla proposizione del ricorso, notificato il 29 luglio Trova infatti applicazione il consolidato insegnamento di questa Suprema Corte a termini del quale «l’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della società, dopo la proposizione del ricorso per cassazione, debitamente comunicata dal suo difensore, non è causa di interruzione del processo» [cfr. da ultimo Sez. 1, n. 2625 del 02/02/2018 (Rv. 646866-01)].
2. Occorre dunque procedere “funditus” alla disamina del ricorso.
3. I primi due motivi, in quanto strettamente connessi, possono essere illustrati e trattati congiuntamente.
3.1 Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, pri mo comma, 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 44, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 441; 2727 cod. civ. e 14, primo comma, lett. d), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
Ad avviso della ricorrente, nessuna conta fisica delle giacenze di magazzino è stata mai effettuata e già in sede di verifica era emerso che la contabilità obbligatoria non si poteva considerare attendibile; illegittimamente, dunque, i maggiori importi portati a tassazione erano stati determinati raffrontando la contabilità inat tendibile con giacenze mai verificate o conteggiate. Nonostante tale puntuale rilievo formulato nell’atto d’appello, la Commissione Tributaria Regionale rigettava l’impugnazione. La conferma, da parte della stessa, della corretta applicazione delle presunzioni è illegittima, violando le disposizioni indicate in rubrica.
3.2 Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione agli 44, secondo comma, d.P.R. n. 441 del 1997 e 14, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973.
Ad avviso della ricorrente, è viziato da illogicità e contraddittorietà il ragionamento della sentenza impugnata laddove ritiene che le scritture di magazzino, per il solo fatto di essere imposte dalla legge, debbano considerarsi attendibili, con conseguente inutilità della prova della loro inattendibilità. Detta prova, invece, serviva a negare all’Amministrazione l’accesso all’utilizzo delle presunzioni ex art. 44, secondo comma, d.P.R. n. 441 del 1997. Dal momento, poi, che era stata la stessa Amministrazione a considerare inatten dibili le scritture, il giudice avrebbe dovuto censurare in radice l’operato dei verificatori.
3.3 Entrambi i motivi sono manifestamente
3.3.1 L’elemento di valutazione da cui prendere le mosse, riconosciuto dallo stesso ricorrente (cfr. p. 6 del ricorso), è che <<in sede di verifica erano stati confrontati i dati desunti dalla contabilità di magazzino con quelli provenienti dall’inventario al 31 dicembre 2004»: essendo da tale attività «emerse differenze», l’Amministrazione ha ritenuto applicabile la presunzione di cui all’art. 4, secondo comma, d.P.R. n. 441 del 1997.
A fronte di ciò, le censure di cui ai motivi in disamina si appun tano sulle seguenti due affermazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata:
– da un lato, che «tutta la documentazione [prodotta dalla contribuente]» persegue lo scopo di «dimostrare l’inattendibilità assoluta delle scritture di magazzino, ma la legge prevede la loro obbligatorietà e realtà»;
– dall’altro, che la contribuente non ha compiuto «alcuno sforzo per indicare un metodo alternativo per la ricostruzione, per quanto a posteriori’ e induttiva».
Alla stregua di tale succinta, ma pertinente e completa, motivazione, la sentenza impugnata si sottrae alle censure mossele.
In particolare, con riferimento al primo motivo, considerato che è incontestato avere i verificatori compiuto il raffronto tra le scritture e l’inventario, del tutto destituita di fondamento è la dedotta violazione dell’art. 44 d.P.R. n. 441 del 1997,
– sia sotto il profilo dell’asserita omissione della «rilevazione fisica dei beni» di cui al primo comma di detto articolo, posto che l’inventario, con riferimento al quale la ricorrente mai deduce di aver formulato rilievi di sorta, risponde “ex se” allo scopo di fotografare le «consistenze delle rimanenze registrate», giusta l’espressione utilizzata nel secondo comma;
– sia sotto il profilo dell’utilizzo in sé delle scritture come base di raffronto, in guisa da legittimare l’Amministrazione ad avvalersi delle presunzioni di cessione ed acquisto di cui al secondo comma medesimo, posto che tale utilizzo, proprio in quanto prescritto dalla legge, è, non solo metodologicamente consentito, ma finanche procedimentalmente doveroso.
Ciò detto, le conseguenze delle modalità di tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino in difformità dalle prescrizioni di cui al l’art. 14 d.P.R. n. 600 del 1973 ridondano in sfavore di chi ne è responsabile, senza alcuna possibilità di distinzione, non autorizzata dalla lettera dei primi due commi dell’art. 44 d.P.R. n. 441 del 1997, tra casi di totale inattendibilità e casi di tenuta meramente irregolare, o finanche regolare, di dette scritture: distinzione che, ove ammessa – come correttamente rilevato dall’Amministrazione nel controricorso – produrrebbe l’effetto distorsivo di porre i responsabili di una violazione di massima gravità, siccome inficiante per intero le scritture, in condizioni potenzialmente persino migliori rispetto a soggetti invece più, o in tutto, ossequianti delle formalità.
Con riferimento al secondo motivo, è da osservarsi, anzitutto, come costituisca giurisprudenza consolidata quella a termini della quale la sussistenza dei presupposti per procedere ad accertamento induttivo non vincola l’Amministrazione ad adottare tale “modus procedendi”, il quale, essendo per la medesima una mera facoltà, non le preclude la possibilità di effettuare, alternativamente o persino concorrentemente, una valutazione analitica dei dati risultanti dalle scritture contabili [cfr., ad esempio, Sez. 5, n. 13350 del 10/06/2009 (Rv. 608513-01); Sez. 5, n. 27068 del 18/12/2006 (Rv. 595882-01)].
Fatta tale puntualizzazione, assolutamente coerente con il meccanismo presuntivo di cui innanzi si dimostra l’osservazione della sentenza impugnata laddove rileva come, a fronte della pur confessa totale inattendibilità delle scritture di magazzino, la ricorrente non ha fornito la benché minima indicazione volta ad una ricostruzione alternativa: ciò, invero, equivale a dire che essa non ha offerto concreti elementi di valutazione per vincere la presunzione di cui all’art. 4, secondo comma, d.P.R. n. 441 del 1997, presunzione che, per la precisione, è bensì «relativa», ma ciò nondimeno è «superabile, non con qualunque mezzo di prova, ma solo con le prove tassativamente indicate dagli artt. 1 e 2 del citato d.P.R. n. 441 del 1997» [Sez. 5, n. 31273 del 04/12/2018 (Rv. 651773-01)].
4. Con il terzo motivo si denuncia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc: , violazione e falsa applicazione dell’art. 101, quinto comma, del decreto 22 dicembre 1986, n. 917 (in breve, t.u.i.r.).
Si sostiene che è erronea l’affermazione della Commissione Tributaria Regionale secondo cui l’evocata disposizione imponeva alla ricorrente di dedurre la perdita su crediti solo al momento de l’apertura della procedura concorsuale, atteso che rimane sempre possibile un recupero totale o parziale del credito.
4.1 Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
4.1.1 La tesi della ricorrente, volta ad argomentare, in sostanza, la natura meramente facoltativa dell’imputazione di perdite su crediti al momento dell’apertura della procedura concorsuale del debitore, non trova conforto nella lettera delle rilevanti disposizioni di legge.
L’art. 101, quinto comma, t.u.i.r. sancisce infatti che «le perdite su crediti, diverse da quelle deducibili ai sensi del comma 3 dell’articolo 106, sono deducibili se risultano da el menti certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali […]».
Nella giurisprudenza di legittimità, l’art. 101, quinto comma, t.u.i.r. è interpretato alla stregua di una particolare applicazione del principio di competenza, di cui all’art. 109, primo comma, t.u.i.r., il quale prevede che «i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi», per i quali non sia disposto diversamente, «concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni». Talché – si è affermato – «nel caso di assoggettamento del debitore a procedure concorsuali», «la perdita andrà imputata di regola al periodo d’imposta di apertura della procedure», coerentemente con l’orientamento di questa Suprema Corte in materia di inderogabilità del criterio oggettivo di competenza ai fini della deduzione di componenti negative di reddito, a termini del quale, «se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, l’an no di competenza per operare la deduzione deve coincidere con quello in cui si acquista certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perché in quel momento si materializzano gli elementi “certi e precisi” della sua irrecuperabilità», non potendo essere rimessa all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta più vantaggioso per operare la deduzione [Sez. 5, n. 16167 del 28/07/2020, che richiama, tra le altre, Sez. 5, n. 775 del 15/01/2019 (Rv. ‘652189-01), a sua volta confermata da Sez. 5, n. 8587 del 07/05/2020].
4.1.2 Chiarito quanto precede, deve rammentarsi che l‘art. 101, quinto comma, t.u.i.r. è stato fatto oggetto di interpretazione autentica da parte dell’art. 13, terzo comma, D.Lgs. n. 145 del 2017, secondo cui esso «si interpreta nel senso che le svalutazioni contabili dei crediti di modesta entità e di quelli vantati nei confronti di debitori che siano assoggettati a procedure concorsuali o a procedure estere equivalenti ovvero abbiano concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di risanamento, deducibili a decorrere dai periodi di imposta in cui sussistono elementi certi e precisi ovvero il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale ed eventualmente non dedotte in tali periodi, sono deducibili nell’esercizio in cui si provvede alla cancellazione del credito dal bilancio in applicazione dei principi contabili».
Come rilevato da Sez. 5, n. 15218 del 01/06/2021 (Rv. 661562-01), detta norma di interpretazione autentica è, anche alla stregua dei lavori preparatori, volta a conferire efficacia retroattiva, pur in termini non perfettamente coincidenti, alla nuova regola di deducibilità (applicabile solo a decorrere dal periodo di imposta in corso nel 2017 ex art. 13, secondo comma, D.Lgs. n. 145 del 2017) prevista da un ulteriore comma, il quinto-bis, introdotto nel tessuto dell’art. 101 t.u.i.r. dall’art. 13, primo comma, lett. d), D.Lgs. n. 145 del 2017 (regola secondo cui, per i crediti «vantati nei confronti di debitori […] assoggettati a procedure concorsuali [ …], la deduzione della perdita su crediti è ammessa, ai sensi del comma 5, nel periodo di imputazione in bilancio, anche quando detta imputazione avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, ai sensi del predetto comma, sussistono gli elementi certi e precisi ovvero il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale, sempreché l’imputazione non avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito dal bilancio»).
Nondimeno, la circostanza che sia la stessa norma di interpretazione autentica a definire meramente «eventuale» la mancata deduzione nei «periodi di imposta in cui sussistono elementi certi e precisi ovvero il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale» consente di avere “a posteriori” conferma che, anteriormente al 2017, la regola resta quella della deducibilità in tali periodi, solo eccezionalmente essendo consentita (in forza giust’appunto della rilettura di cui all’art. 13, secondo comma, D.Lgs. n. 145 del 2017) la deduzione «nell’esercizio in cui» (“sub condicione”, comunque, della corretta applicazione dei «principi contabili») «si provvede alla cancellazione del credito dal bilancio»: donde, in definitiva, nel caso di assoggettamento del debitore a procedura concorsuale, a fronte della normale deducibilità al momento del l’apertura della procedura stessa, è bensì possibile una deduzione successiva, ma solo qualora la particolare natura della procedura (o dello stato di essa, o del credito in sé e per sé considerato) consentissero al contribuente, al momento dell’apertura della procedura medesima, di concretamente aspirare alla soddisfazione del credito.
In tale prospettiva, essendo la deduzione successiva al periodo di imposta in cui il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale l’esercizio di una facoltà derogatoria, incombe sul con tribuente l’onere di fornirne idonea giustificazione.
Nel caso oggetto del presente giudizio, la ricorrente, limitandosi ad affermare che l’art. 101, quinto comma, t.u.i.r. «non ha imposto al contribuente un criterio di competenza fisso ed inderogabile» (p. 37 del ricorso), non allega se e quando, successivamente al 2004, abbia dedotto il credito (per vero in sé neppure identificato), viepiù in corrispondenza, come prescritto, della cancellazione dello stesso dal bilancio, che a sua volta deve essere effettuata secondo le corrette valorizzazioni contabili.
5. Gli ultimi due motivi, in quanto strettamente connessi, possono essere illustrati e trattati congiuntamente.
5.1 Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 41, primo comma, lett. a), e 50, primo comma, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito con modificazioni dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427 (così all’evidenza dovendosi correggere l’erronea indicazione della data del d.l. – 1991 – contenuta nel ricorso).
Ad avviso della ricorrente, erroneamente sarebbero state escluse talune fatture da quelle non imponibili, stante la dimostrata effettuazione delle relative operazioni con soggetti passivi comunitari.
5.2 Con il quinto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omessa od insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 41 della legge 427 del 1993.
Ad avviso della ricorrente, già nelle motivazioni riguardanti l’esclusione delle suddette fatture da quelle non imponibili veniva riconosciuta l’effettuazione delle relative operazioni con soggetti passivi comunitari, sicché la Commissione Tributaria Regionale avrebbe “in limine” potuto ritenere l’esclusione della non imponibilità, ma solo sul fondamento di una giustificazione diversa da quella della mancata dimostrazione, da parte della ricorrente, dei presupposti della non imponibilità medesima.
5.3 Entrambi i motivi sono inammissibili e comunque manifestamente infondati.
5.3.1 Essi, infatti, nonostante la formale denuncia di una viola zione di legge (l’uno) e di un corrispondente vizio motivazionale (l’altro), sono in sostanza rivolti a censurare la concreta ricostruzione della fattispecie effettuata dai giudici di merito, in totale difformità dai canoni del ricorso per cassazione, quale atto introduttivo di un giudizio di mera legittimità. Ciò appare particolarmente evidente nel quarto motivo, che neppure formula contestazioni alla sentenza impugnata, dolendosi invece direttamente dell’esclusione in sé di talune fatture da quelle non imponibili, in ragione dell’affermata «dimostrazione dell’effettuazione delle richiamate operazioni con soggetti passivi comunitari», con conseguente illegittimità della «tesi avanzata dall’Amministrazione, secondo la quale sarebbero divenute imponibili le operazioni di cessione per il solo fatto che la società avesse commesso delle irregolarità formali».
In realtà, la motivazione della sentenza impugnata non fa alcun riferimento ad «irregolarità formali», incentrandosi esclusivamente sul fatto in sé che «non è stato dimostrato», dalla contribuente, il presupposto dell’«avvenuta vendita dei beni fuori d[a]I territorio nazionale».
In tal guisa, la sentenza impugnata dimostra di fare ineccepibile applicazione dell’art. 41, primo comma, lett. b), d.l. n. 331 del 1993, atteso che, costituendo la non imponibilità delle cessioni (disciplinata dall’art. 41 cit.) un regime derogatorio rispetto a quello ordinario di generalizzata imponibilità, incombeva sulla ricorrente (ai sensi di detta disposizione in combinato disposto con l’art. 2697 cod. civ.) l’onere di dimostrarne – non soltanto formalmente, ma fattualmente – il presupposto.
Questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che, «in tema di I.V.A., nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti, recuperando l’imposta non versata, la non imponibilità della cessione intracomunitaria di beni a titolo oneroso [nella specie per difetto del presupposto dell’introduzione dei beni ceduti nel territorio di altro Stato membro] […], grava sul cedente la prova dello stesso», a tal fine non essendo sufficiente che l’interessato abbia «richiesto ed ottenuto la conferma della validità del numero di identificazione attribuito [all’impresa estera] da altro Stato membro, trattandosi di adempimenti formali prescritti per agevolare il successivo controllo», essendo invece necessario che «verifichi, con la diligenza dell’operatore commerciale professionale, le caratteristiche di affidabilità della controparte, sotto un profilo sostanziale e non meramente formale, ponendo in essere un comportamento apprezzabile in termini di buona fede» [Sez. 5, n. 13457 del 27/07/2012 (Rv. 623583-01), ribadita da Sez. 5, n. 1670 del 24/01/ 013 (Rv. 624934-01)].
Pertanto, l’onere di diligenza richiesto a chi pretenda di avvalersi della disciplina derogatoria di cui all’art. 41, primo comma, d.l. n. 331 del 1993 è particolarmente stringente., poiché non basta un semplice riscontro documentale, ma è necessaria un’approfondita «verifica» dell’«affidabilità della controparte».
In sede giudiziale, di conseguenza, spetta all’interessato fornire la prova di aver effettuato siffatti controlli.
Nel caso che ne occupa, la ricorrente, segnatamente nel quinto motivo, argomenta il riconoscimento (di cui i giudici d’appello non avrebbero tenuto conto) sia dell’«esistenza del soggetto passivo comunitario» sia della «vendita fuori d[a]I territorio nazionale» dalla formulazione delle motivazioni delle contestazioni mosse dall’Amministrazione alle fatture: motivazioni riguardanti, alla lettera, «il disconoscimento delle operazioni effettuate con tali soggetti passivi comunitari, in quanto gli stessi», nell’un caso, «non riportavano più la stessa denominazione sociale» e, nell’altro, «non assumevano più la medesima forma societaria»; il riferimento a «tali soggetti passivi comunitari», cioè, dimostrerebbe, secondo la ricorrente, che la stessa Amministrazione non avrebbe revocato in dubbio l’effettività delle operazioni intracomunitarie.
Tuttavia – in disparte l’evidente neutralità dell’espressione di cui alle contestazioni, che, già sul piano linguistico, non implica affatto il riconoscimento di alcun soggetto, in specie a fronte delle contestualmente rilevate diversità di denominazioni sociali e forme societarie – la ricorrente si limita ad affermare (p. 5 del ricorso) che, in primo grado, «aveva provato di aver agito con soggetti comunitari non privati e non sforniti di codice identificativo per complessivi euro 94. 766,41, ma l’Amministrazione ne aveva solo parzialmente tenuto conto» [per euro 51.223,47, donde il residuale rilievo per euro 43.542,94]; nondimeno né allega di aver offerto la dimostrazione dell’effettività – viepiù previo assolvimento degli obblighi di verifica non solo formale che, a termini della richiamata giurisprudenza, le incombevano – delle operazioni compiute con le controparti (di per sé, comunque, irregolarmente indicate nelle fatture), né “a fortiori” richiama e riproduce atti del procedimento di cui, ancorché ciò ·comprovanti, la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe tenuto conto.
Talché i motivi di ricorso in disamina – che di per sé, dunque, incorrono in aspecificità – si palesano altresì manifestamente infondati, non confrontandosi minimamente con l’effettiva “ratio decidendi” della sentenza impugnata.
6. In definitiva, il ricorso va rigettato.
6.1 Le spese, liquidate come in dispositivo a termini di tariffa, seguono la soccombenza.
Deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello versato, a norma del comma 1-bis di detto articolo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione all’Agenzia delle entrate delle spese, liquidate in euro 7.800, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, della sussi stenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello versato, a norma del comma 1-bis di detto articolo.