Corte di Cassazione ordinanza n. 21960 depositata il 12 luglio 2022
ricorso in cassazione il ricorrente è tenuto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione – principio di specificità ed autosufficienza – efficacia probatoria del p.v.c. – superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600
Rilevato che:
1. La sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sen tenza della Commissione Tributaria Provinciale di Benevento n.237/1/2005 di accoglimento del ricorso introduttivo proposto da Vitale Arturo avente ad oggetto quattro avvisi di accerta mento per II.OD. e IVA, oltre accessori, relativi agli anni di imposta 1998, 1999, 2000 e 2001. Il giudizio d’appello era originato dall’atto di riassunzione del contribuente conseguente al rinvio prosecutorio disposto dalla cassazione da parte della S.C. con la sentenza n.2896/2013 di una prima sentenza della CTR. Con tale pronuncia era stata inizialmente confermata la decisione di prime cure, che aveva accolto la doglianza preliminare relativa alla sottoscrizione degli atti impositivi da parte di soggetto diverso dal direttore dell’articolazione territoriale dell’Agenzia, sprovvisto di deleghe.
2. La sentenza d’appello resa in sede di giudizio rescissorio rigettava le eccezioni preliminari sollevate dal contribuente e, nel merito, considerava legittime nell’an e nel quantum le riprese nei confronti del contribuente, il quale negli anni di imposta oggetto di ripresa aveva abusivamente esercitato l’attività di odontoiatra senza averne titolo, sulla base delle risultanze di p.v.c. emerse nel quadro di indagini bancarie ex artt.32 del d.P.R. n.600 del 1973 e 51 del d.P.R. n.633 del 1972 disposte sui conti a lui riconducibili.
3. Avverso la decisione propone ricorso il contribuente per sette motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Considerato che:
4. Con il primo motivo di ricorso – in relazione all’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ. -, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 del d.P.R. n.600 del 1973, 7 comma 1 della l. n. 212 del 2000 per la mancata notifica del p.v.c. richiamato negli atti impositivi, circostanza affermata negli avvisi di accertamento ma contestata in giudizio.
5. Il motivo è inammissibile perché privo di specificità. Va infatti ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, è prescritto a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., il principio secondo il quale il ricorrente è tenuto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara esposizione funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Cass. 5 – , Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018, Rv. 651398 – 01). Nella censura in disamina, incentrata sulla motivazione dell’avviso, innanzitutto il ricorrente non riproduce gli atti impositivi impugnati, non essendo idoneo lo stralcio riportato a pag.3 del ricorso al fine di permettere alla Corte di valutare la decisività della doglianza circa il richiamo del p.v.c. in ciascuno dei quattro avvisi impugnati e in particolare se il suo contenuto fosse stato comunque adeguatamente sintetizzato in qualche parte dei quattro avvisi di accertamento.
6. Non sopperisce a tal fine il richiamo della motivazione della CTR operato nel corpo della censura, la quale si riferisce a questione diversa dalla presunta lesione dell’art.7 dello Statuto per mancata notifica del p.v.c. richiamato negli avvisi di accertamento, ossia alla mancata comparizione del Vitale nonostante la sua convocazione da parte della Guardia di Finanza per la redazione in contraddittorio del p. v.c. stesso (cfr. p.4 della sentenza impugnata).
7. Infine, il ricorrente manca anche di dare evidenza della proposizione della questione della motivazione degli atti impositivi nei due gradi di merito, risultando la questione anche nuova, e rivelando così un ulteriore e concorrente profilo di inammissibilità della censura.
8. Con il secondo motivo il ricorrente – con riferimento all’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ.-, lamenta l’omessa pronuncia e la violazione e falsa applicazione dell’art.112 cod. proc. civ., per non essersi il giudice d’appello pronunciato sulla lamentata carenza di motivazione degli atti impugnati «per violazione degli artt. 42 comma 2 del d.P.R. n.600/73 e 56 comma 2 del d.P.R. n.633/72, per non aver l’Ufficio esplicato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che li hanno determinati, con riferimento alla specifica determinazione dei prelevamenti ripresi a tassazione».
Il terzo motivo – sempre in relazione all’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. -, lamenta l’omessa pronuncia e la violazione e falsa applicazione dell’art.112 cod. proc. civ. da parte della CTR anche per non essersi pronunciata sulla censurata illegittimità dell’atto per aver l’Ufficio fondato la propria pretesa impositiva esclusivamente su una ricostruzione induttiva ed arbitraria del reddito con riferimento al 2001, limitandosi a richiamare pedissequamente il p.v.c..
9. I motivi suddetti sono connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili. Tali censure lamentano il fatto che negli atti impositivi non sarebbe stata offerta prova documentale della evasione, essendosi l’Amministrazione finanziaria limitata a richiamare il p.v.c., ritenendo ciò idoneo a fondare la ricostruzione induttiva del reddito. Orbene, premesso che la CTR non si è pronunciata sulla questione, le doglianze non sono decisive.
Infatti, anche con riferimento alle censure in disamina sussiste innanzitutto il grave difetto di specificità constatato con riferimento al primo motivo, dal momento che i quattro avvisi di accertamento non sono adeguatamente riprodotti per dimostrare l’assunto di parte.
10. In secondo luogo, circa l’efficacia probatoria del v.c., va rammentato che il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore (Cass. 24novembre 2017 n.28060). Nel caso di specie, non risulta proposta alcuna querela di falso né contestazione analitica con indicazione specifica di elementi di prova contrari e dunque il riferimento al p. v.c. spiega gli effetti descritti ed è idoneo a sorreggere adeguatamente la motiva zione censurata.
11. Infine, improprio appare il riferimento alla ricostruzione induttiva del reddito, dal momento che non è controverso il fatto che nel caso di specie l’accertamento sia fondato su indagini bancarie e, in tal caso, per consolidata interpretazione giurisprudenziale della Sezione, atteso che, ai sensi dell’art. 32 del P.R. n. 600 del 1973 (e, per l’IVA, dell’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972), opera a favore dell’Amministrazione finanziaria una presunzione legale rispetto ai dati emergenti dalle movimentazioni bancarie, è rimesso al contribuente ha l’onere di superarla (Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 24422 del 05/10/2018, Rv. 650526 – 02).
Dunque, le questioni prospettate nei due motivi sono anche nel merito radicalmente destituite di fondamento, con conseguente ulteriore profilo di inammissibilità delle censure per difetto di rilevanza.
12. Con il quarto motivo – ex 360 primo comma n.3 cod. proc. civ. -, il ricorrente prospetta la violazione degli artt.24 e 97 Cost., per aver il giudice del rinvio mancato di constatare la violazione del contraddittorio preventivo e così del diritto di difesa del contribuente.
13. La censura è inammissibile. Il mezzo di impugnazione è in primo luogo molto generico, invocando sostanzialmente un’obbligatorietà generalizzata del contraddittorio in fase procedimentale smentita dalla consolidata giurisprudenza della Corte (Cass. S. U. 29 luglio 2013, n. 18184; Cass. S. U. 9 dicembre 2015, n. 24823). Inoltre, pur considerato che è pacifica la sussistenza di una verifica fiscale nel caso di specie e, dunque, è applicabile l’art.12 dello Statuto (Cass. n.701/2019), nondimeno la doglianza in disamina investe l’accertamento di fatto contrario compiuto dalla CTR, secondo cui nel caso di specie è stata effettivamente provocata l’interlocuzione con il contribuente in fase amministrativa e questi si è anche rifiutato di redigere nel contraddittorio il p.v.c. (cfr. p.4 sentenza impugnata), con conseguente assenza di lesione del diritto di difesa prospettata.
14. Con il quinto motivo di ricorso – in relazione all’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ. -, si censura la sentenza d’appello perché sarebbe stata erroneamente confermata la piena applicabilità della presunzione di cui all’art. 32 comma 1 n.2 del d.P.R. n. 600 del 1973 anche al contribuente, esercente sia pur abusivamente la professione di dentista e dunque, secondo la parte, non titolare di reddito di impresa. Il ricorrente invoca a sostegno della propria prospettazione la decisione della Corte Costituzionale, successiva al deposito della sen tenza impugnata, n.228 del 6 ottobre 2014, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.32 primo comma n.2 secondo periodo del d.P.R. n.600 del 1973 limitatamente ai prelevamenti.
15. Il motivo è infondato e l’invocata applicazione della sentenza della Consulta n.228 del 6 ottobre 2014 all’operatività della presunzione di cui all’art.32 cit. con riferimento ai contestati prelevamenti non coglie nel segno.
16. Infatti, nel caso di specie al contribuente è stato contestato l’esercizio abusivo dell’attività di odontoiatra, svolta non avendone titolo. Non è configurabile un reddito da libero professionista in assenza di titolo abilitativo idoneo all’esercizio della professione intellettuale o liberale regolamentata. Tale professione è quella il cui esercizio è regolato dalla legislazione nazionale, e la legge individua quale condizione per il suo esercizio nell’interesse dell’utenza sia il titolo di studio indispensabile sia i successivi requisiti di addestramento alla pratica della professione.
In particolare, la legge 24 luglio 1985, n. 409 ha disposto l’istituzione della professione sanitaria di odontoiatria e fissato disposizioni relative al diritto di stabilimento ed alla libera prestazione di servizi da parte dei dentisti cittadini di Stati membri UE. L’art. l della citata legge prevede che tale professione regolamentata «viene esercitata da coloro che sono in possesso del diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria e della relativa abilitazione all’esercizio professionale, conseguita a seguito del superamento di apposito esame di Stato, nonché, dai laureati in medicina e chirurgia che siano in possesso della relativa abilitazione all’esercizio professionale e di un diploma di specializzazione in campo odontoiatrico».
17. Al contrario di quanto ritiene il ricorrente, l’attività svolta va qualificata come attività illecita, e i proventi percepiti sono rientranti nelle categorie reddituali di cui all’art.6, comma 1, del d.P.R. n.917 del 1986, devono essere assoggettati a tassazione ex art.14 della n.357 del 1993 (Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n.27357 del 24/10/2019). Infatti, il reddito prodotto in assenza di tali requisiti di cui all’art. l della legge 24 luglio 1985, n. 409 non può essere considerato maturato nell’esercizio “di fatto” della professione regolamentata di odontoiatra, perché questa è specialmente disciplinata dal legislatore e il rispetto della disciplina normativa connota e informa la professione stessa a garanzia della prestazione medico sanitaria nei confronti del cittadino e dell’art.32 Cast.. L’attività abusivamente svolta, piuttosto, ricade nella generale e residuale nozione di “illecito civile, penale o amministrativo” di cui all’art.14 della I. 24 dicembre 1993 n.357, e con riferimento ai proventi non sottoposti a sequestro trova applicazione la presunzione di ricavi di cui all’art. 32 cit., non solo riguardo ai “versamenti” ma anche ai “prelevamenti” non giustificati.
Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: «In tema di presunzione di imputazione a ricavi delle movimentazioni bancarie di cui all’art. 32 d.P.R. 600 del 1973 il contribuente che abbia esercitato attività di odontoiatra, professionalmente regolamentata dalla legge legge 24 luglio 1985, n. 409, abusivamente e senza possedere i titoli di cui all’art.1 della citata legge, ha svolto attività illecita ai fini dell’art.14 della l. 24 dicembre 1993 n.357 percependo redditi rientranti nelle categorie reddituali di cui all’art.6, comma 1, del d.P.R. n.917 del 1986, cui si applica la presunzione di cui all’art.32 cit. sia quanto ai versamenti sia quanto ai prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari destinati all’esercizio di detta attività di impresa, ai fini della determinazione della base imponibile.».
19. Ciò premesso, la Corte rammenta che, con riferimento alle DD.,
«al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il con tribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività» (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4829 del 11/03/2015, Rv. 635057 – 01). Circa l’imposizione indiretta poi va ribadito che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi dell’art.32, comma 1, n.2 del d.P.R. n.600 del 1973, e dell’art.51, comma 2, n.2, del d.P.R. n.633 del 1972, riferiti all’attività economica del contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscono ad operazioni imponibili.» (Cass. Sez. 5, Sentenza n.26111 del 30/12/2015, Rv. 638173 – 01; conforme Cass. Sez. 5, Sentenza n.15857 del 29/07/2016, Rv. 640618 – 01). Il giudice del merito ha accertato che il contribuente non ha assolto l’onere su di lui ricadente in conseguenza dell’applicazione della presunzione e tale statuizione di fatto non è util mente censurata sotto il profilo motivazionale.
20. Con il sesto motivo – in relazione all’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. – si prospetta la nullità della sentenza per violazione dell’art.112 cod. proc. civ., perché la statuizione della CTR circa l’irrilevanza del vizio di incompetenza del funzionario che ha sottoscritto agli atti, in mancanza di delega all’uopo rilasciata ai fini dell’illegittimità dell’atto impositivo, sarebbe affetta da ultrapetizione.
Il settimo motivo – articolato in via subordinata al precedente ai sensi dell’art. 360 primo comma n.3 cod. proc. civ. – lamenta che la statuizione del giudice d’appello, ove non fosse considerata viziata da ultrapetizione sarebbe comunque affetta da violazione dell’art.42 del d.P.R. n.600 del 1973.
21. I motivi, connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili, in primo luogo perché la statuizione della CTR è riconducibile alla materia devoluta al giudice d’appello tributario, avente natura di impugnazione-merito in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento dell’Ufficio (Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 18777 del 10/09/2020, Rv. 658860 – 01). In secondo luogo, quanto alla specifica questione della delega di firma, perché la decisione impugnata è conforme alla consolidata giurisprudenza della Sezione (Cass. 22800 del 2015), dalla quale non vi sono ragioni per discostarsi nel caso di specie.
22. Al rigetto del ricorso segue il regolamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo, secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso e condanna il contribuente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Agenzia, liquidate in Euro 7.800,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
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