Corte di Cassazione ordinanza n. 22055 depositata il 22 settembre 2017
principio di non contestazione – l’accettazione della clausola vessatoria non può ritenersi soddisfatta mediante la sola sottoscrizione di ogni pagina dello strumento contrattuale
FATTI DI CAUSA
La F.L. s.p.a. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso ad istanza della M. Group s.r.l. per il pagamento della somma di oltre 336.000,00 euro a titolo di corrispettivi per prestazioni di servizi doganali effettuate dalla M., su incarico dell’appaltatrice F.L., in favore della A.A. s.p.a ..
L’opponente eccepì la nullità del ricorso per l’esistenza di una clausola arbitrale e dedusse, nel merito, che l’importo richiesto non teneva conto di precedenti pagamenti effettuati dall’ingiunta e di errori nell’applicazione delle tariffe da parte della M.; in via riconvenzionale, richiese la condanna dell’opposta al risarcimento dei danni conseguenti alla violazione di un patto di non concorrenza.
Il Tribunale rigettò l’eccezione di arbitrato, revocò il decreto ingiuntivo e, accertata la debenza della somma di oltre 265.000,00 e dato atto dell’avvenuto pagamento di oltre 150.000,00 in forza di ordinanza ex art. 186 ter cod. proc. civ., condannò la F.L. al pagamento della residua somma di oltre 115.000,00 euro.
La Corte di Appello ha dichiarato inammissibile, ex artt. 348 bis e 348 ter cod. proc. civ., il gravame proposto dalla F.L., che ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, affidandosi a tre motivi; ha resistito l’intimata a mezzo di controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, la F.L. denuncia «l’incompetenza del giudice adito per la presenza nel contratto […] di una clausola di arbitrato rituale: A) violazione delle norme sulla competenza, 360 n. 2 cpc; B) violazione o falsa applicazione degli artt. 1341 e 1342 c.c., art. 360 n. 3 cpc».
La ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto che la clausola di arbitrato contenuta nell’ordine di acquisto n. 651763 del 2.3.2011 fosse inefficace perché costituiva una condizione generale di contratto che era stata predisposta unilateralmente dalla F.L. e non era stata specificamente sottoscritta ai sensi dell’art. 1341 cod. civ.; assume, in senso contrario, che la clausola era contenuta in un “ordine specifico”, che non rivestiva la natura di contratto con condizioni generali e, anzi, conteneva pattuizioni speciali rispetto al contratto quadro del 30.12.2010; aggiunge che, in ogni caso, la Corte aveva erroneamente ritenuto che la sottoscrizione dell’ordine in ogni pagina, oltre che il calce all’atto, non fosse sufficiente ad integrare il requisito della specificità della sottoscrizione della clausola di arbitrato.
1.1 Al riguardo, il Tribunale ha evidenziato che il documento contenente la clausola prevedeva la proroga del contratto in vigore fra le parti ed era stato predisposto unilateralmente dalla F.L., che l’aveva inviato alla M. per la sola sottoscrizione, senza possibilità «di interloquire sul suo contenuto»; che le clausole non concernenti lo specifico oggetto del contratto erano «da intendere quali condizioni generali di contratto unilateralmente predisposte dall’attrice», in quanto «formulate in maniera tale da non dover indicare il nome specifico della controparte […] chiaro indice dell’astratta predisposizione delle clausole stesse a regolamentare un numero indeterminato di rapporti»; che, peraltro, la stessa F.L. aveva «qualificato quali condizioni generali di contratto le clausole contestate, dal momento che essa aveva richiesto espressamente (per quanto inutilmente) alla M. di sottoscrivere separatamente gli articoli potenzialmente vessatori»; ha concluso, pertanto, che l’atto conteneva «condizioni generali di contratto predisposte unilateralmente da F.L. con la conseguenza che, in difetto della doppia sottoscrizione, la clausola arbitrale non [poteva] essere ritenuta efficace» e che era «irrilevante […] la presenza della firma della M. in calce ad ogni pagina del contratto, in quanto ciò che rileva ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. è soltanto la specifica sottoscrizione per le clausole vessatorie in aggiunta alla sottoscrizione del contratto nel suo insieme».
1.2 Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato. Inammissibile, per inosservanza dell’onere previsto dall’art. 366, n. 6 cod. proc. civ., nella parte in cui argomenta sulla natura non generale delle condizioni contenute nell’ordine senza trascriverne il contenuto, così impedendo alla Corte di apprezzare un eventuale vizio di sussunzione dell’atto nel paradigma di cui all’art. 1341 cod. civ..
Ulteriormente inammissibile, a prescindere dal primo rilievo, per il fatto che le censure in iure svolte dalla ricorrente postulano, a monte, un diverso apprezzamento circa la natura dell’atto e delle condizioni in esso contenute e si risolvono, dunque, in una non consentita istanza di rivalutazione del merito.
Infondato, infine, quanto alla censura volta a sostenere l’idoneità della sottoscrizione di tutte le pagine del contratto a tener luogo della specifica sottoscrizione della clausola arbitrale: la prescrizione di cui all’art. 1341, 2° co. cod. civ. mira, infatti, a richiamare l’attenzione del contraente sulla clausola vessatoria e tale esigenza non può ritenersi soddisfatta mediante la sola sottoscrizione di ogni pagina dello strumento contrattuale (cfr. Cass. n. 3449/1975).
2. Il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 2595, 2596 e 2598 cod, civ. in relazione alla «concorrenza sleale di M.».
Premesso che le parti avevano sottoscritto un patto di non concorrenza in favore della F.L., in relazione ai suoi rapporti con la A.A., e rilevato che tale patto era stato violato in quanto la soc. Renato M. & C. s.r.l. -«comunque riconducibile a M.»- era entrata in concorrenza con la F.L., finendo con l’aggiudicarsi l’appalto delle forniture doganali per la zona del Sud Italia a partire dall’1.12.2011, la ricorrente si duole che il Tribunale abbia escluso la violazione del patto di non concorrenza e, comunque, la ricorrenza di un’ipotesi di concorrenza sleale, sottolineando l’esistenza di un collegamento fra la M. Group e la Renato M. & C. s.r.l. tale da comportare l’affermazione della responsabilità della prima; ribadisce che l’attività concorrenziale aveva determinato la necessità di una riduzione delle tariffe praticate alla A.A. per il periodo luglio-settembre 2011 e che, a partire dal mese di ottobre, i servizi doganali in favore dell’A.A. erano stati assunti direttamente dalla Mazza mauro (che, peraltro, aveva preteso di addebitare tali servizi alla F.L.); esclude, infine, che potesse ritenersi esistente una “prassi” secondo cui gli ordini venivano comunicati direttamente dalla A.A. al sub-fornitore M., tale da giustificare l’affermazione che la M. poteva ritenere di continuare a operare in regime di sub-fornitura.
2.1 Al riguardo, il Tribunale ha escluso che potesse essere imputata alla convenuta una qualche violazione del patto di non concorrenza, in quanto era stato «altro soggetto giuridico, ovvero la M. & C. s.r.l. a formulare l’offerta ad A.A. in concorrenza con F.L.», e ha precisato che «la suddetta società [ … era] priva di collegamenti giuridicamente rilevanti con la M., avendo in comune solamente parte delle persone fisiche costituenti la compagine sociale [ …] sì che non [poteva] ravvisarsi un’ipotesi di collegamento o controllo societario rilevante», considerato anche che gli amministratore unici erano persone diverse e che la Renato M. era società «preesistente ai fatti di causa, sì che neppure [poteva] ritenersi che la stessa [fosse] stata artatamente costituita al fine di aggirare il patto di non concorrenza stipulato da Mazza mauro Group r.I.»; cosicché non poteva riconoscersi il «ristoro del danno patito in conseguenza del ribasso dei prezzi praticato ad A.A. in conseguenza dell’offerta più concorrenziale» e anche la correlata domanda risarcitoria doveva essere rigettata.
2.2 Il motivo è inammissibile, in quanto non prospetta alcun effettivo errore di diritto, ma lo postula come conseguenza di una diversa valutazione di merito circa l’esistenza di elementi idonei ad integrare un collegamento fra le due società M., che è stato escluso dal Tribunale sulla base di un apprezzamento non censurabile in sede di legittimità.
Restano assorbiti i profili di censura attinenti alla individuazione delle conseguenze pregiudizievoli lamentate dalla ricorrente.
3. Il terzo motivo denuncia «l’errata applicazione delle tariffe da parte di M. e la fattura F.L. LS n. 200.312 del 31.1.2012: violazione o falsa applicazione dell’art. 115 cpc, 360 nn. 3 e 4 cpc».
La ricorrente deduce di avere evidenziato, in sede di opposizione a d.i., che alcune delle fatture già pagate alla M. contenevano errori di applicazione delle tariffe previste dal contratto e che, per tale ragione, aveva emesso fattura n. 200.312 del 31.1.2012 per il rimborso di oltre 52.000,00 euro; aggiunge che sul punto non vi erano state contestazioni da parte della M. prima della terza memoria ex art. 183 cod. proc. civ. e che pertanto i fatti dovevano considerarsi come ammessi; ciò premesso, censura il Tribunale per avere ritenuto che non potesse operare il principio di non contestazione in quanto l’allegazione della F.L. era stata generica e inidonea a comportare gli effetti di cui all’art. 115 cod. proc. civ.; rileva, in particolare, che al fine di apprezzare la specificità dell’allegazione, occorreva tener conto anche dei documenti prodotti (nella specie, il documento n. 10 da considerare in relazione alle fatture depositate dalla M. in sede monitoria), da cui emergevano gli errori di fatturazione, senza che fosse richiesto un “dettaglio” ulteriore da parte della difesa.
3.1 Sul punto, il Tribunale ha rilevato «l’assoluta genericità» delle contestazioni della F.L. «relative agli asseriti errori di calcolo che la convenuta avrebbe commesso nell’addebitare le fatture all’attrice», in quanto «né in atto di citazione né con la prima memoria l’attrice [… aveva] chiaramente indicato quali fossero gli errori di fatturazione» in cui la controparte sarebbe incorsa, provvedendo a «dettagliare un po’ la censura svolta» soltanto con la seconda memoria», a seguito della quale la M. aveva provveduto alla contestazione con la terza memoria: ha escluso pertanto che potesse trovare applicazione il principio di non contestazione in quanto soltanto la deduzione di fatti specifici onera la controparte della loro contestazione.
3.2 Il motivo è infondato: premesso che non è consentita una nuova valutazione sulla genericità dell’allegazione apprezzata dal primo giudice, risulta senz’altro corretto l’assunto del Tribunale circa l’impossibilità di fare applicazione del principio di non contestazione in difetto di una specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati; né risulta condivisibile la tesi della ricorrente, secondo cui la specificità dell’allegazione potrebbe essere desunta anche dall’esame dei documenti prodotti, giacché l’onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni contenute negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle parti medesime e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi (rispetto ai quali dovrà essere svolta l’istruttoria).
4. Le spese di lite seguono la soccombenza.
5. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.