Corte di Cassazione ordinanza n. 22144 depositata il 13 luglio 2022
principio di non contestazione – anomalia motivazionale – accertamento del suo rapporto di lavoro – distrazione delle spese processuali
RILEVATO CHE
1. con sentenza del 4 gennaio 2021, la Corte d’appello di Catania ha rigettato la domanda di P.T. di accertamento del suo rapporto di lavoro alle dipendenze dal 1° luglio 2002 al 31 dicembre 2007 di R. s.r.l. e di condanna dell’Inps, che lo aveva disconosciuto per il mancato corrispondente accredito contributivo, al pagamento della pensione mensile in misura adeguata e delle differenze maturate per il suddetto periodo: in riforma della sentenza del Tribunale, che ne aveva invece accolto le domande;
2. la Corte territoriale ha escluso la prova del rapporto, in assenza di documentazione idonea (buste paga, modelli 770, mancanza di presentazione all’Agenzia delle Entrate dei CUD) e per le insufficienti dichiarazioni testimoniali, in ordine alle mansioni e, ancor prima, all’effettiva presenza di P.T. (padre del socio al 40% e vice – presidente del C.d.A. della società, con lo stesso convivente) sul luogo di lavoro; pure risultando la sua qualità di amministratore unico di Medial s.r.l., società contigua e sostanzialmente sovrapponibile, per attività e gestione, a R. s.r.l., sulla base della sentenza penale del Tribunale di Siracusa di assoluzione dal reato punito dagli 216, 223 fall., prodotta dal medesimo;
3. con atto notificato l’8 marzo 2021, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui l’Inps ha resistito con controricorso
CONSIDERATO CHE
1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2702, 2704 c.c., 115, 116 c.p.c., per mancata contestazione della provenienza dei documenti prodotti (lettera di assunzione del 23 giugno 2002, ricevuta di pagamento del 15 gennaio 2008 con assegno allegato, libretto di lavoro con registrazione della data di assunzione, CUD relativi agli anni dal 2002 al 2007) e per omissione di un esame completo di tutta la documentazione (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 c.c., 115, 116 c.p.c., per mancato approfondimento dei requisiti normativi qualificanti la natura subordinata del rapporto di lavoro, nell’insufficienza delle risultanze relative a mansioni e direttive del prestatore (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per errata valutazione o travisamento del fatto storico decisivo della natura subordinata del rapporto, relativo all’inesistenza dei parametri normativi idonei al suo accertamento (terzo motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
3. occorre premettere che il principio di non contestazione previsto dall’art. 115 c.p.c. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare i documenti prodotti dalle parti (Cass. 6 aprile 2016, 6606; Cass. 8 febbraio 2018, n. 30022), né le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. 5 marzo 2020, n. 6172; Cass. 17 novembre 2021, n. 35037);
3.1 ai sensi dell’art. 2094 c.c., il rapporto di lavoro può ben essere ricostruito, qualora non sia agevolmente accertabile per la peculiarità delle mansioni, in via presuntiva sulla base di criteri complementari e sussidiari, sia pure privi ciascuno di valore decisivo, quali: la collaborazione o la continuità delle prestazioni o l’osservanza di un orario predeterminato o il versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita o il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo datoriale o l’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale (Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. 17 aprile 2009, n. 9256); ed esso può essere desunto da un insieme di circostanze che devono essere complessivamente valutate da parte del giudice del merito (Cass. 26 agosto 2013, n. 19568; Cass. 31 maggio 2017, n. 13816), alla stregua di accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 10 luglio 2015, n. 14434; Cass. 19 novembre 2018, n. 29764);
3.2 appare tuttavia chiaro che le censure si sostanzino in una contestazione, finalizzata ad una diversa ricostruzione del fatto, del concreto accertamento e della valutazione probatoria compiuti dalla Corte territoriale e sorretti da un ragionamento argomentativo corretto (per le ragioni esposte dal terz’ultimo capoverso di 3 al primo di pg. 6 della sentenza), nella sottesa ma evidente sollecitazione di un riesame del merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), tanto più per il più rigoroso ambito devolutivo introdotto dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439);
3.3 né sussiste il vizio di nullità denunciato, alla stregua di riduzione della motivazione al di sotto del “minimo costituzionale”, sindacabile in sede di legittimità, secondo la novellazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., come anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, risultante dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. 25 settembre 2018, n. 22598);
4. il ricorrente deduce poi violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 93 c.p.c., per la propria condanna al pagamento delle spese di primo grado, senza considerazione della distrazione disposta dal primo giudice, in favore del suo difensore;
5. al di là del difetto di specificità, prescritto in particolare dall’art. 366, primo comma, n. 4 e 6 c.p.c. a pena di inammissibilità, per difetto di trascrizione e di specifica indicazione della sede di produzione (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915, con affermazione del principio ai sensi dell’art. 360bis, primo comma c.p.c.; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 13 novembre 2018, n. 29093) della sentenza di primo grado recante la distrazione delle spese giudiziali in favore del difensore, anch’esso è infondato;
6. l’istanza di distrazione delle spese processuali consiste nella sollecitazione dell’esercizio del potere/dovere del giudice di sostituire un soggetto (il difensore) ad altro (la parte) nella legittimazione a ricevere dal soccombente il pagamento delle spese processuali, senza introdurre una nuova domanda nel giudizio, non avendo fondamento in un rapporto di diritto sostanziale connesso a quello da cui trae origine la domanda principale; con la conseguenza, in particolare, della caducazione del capo della sentenza reso sull’istanza di distrazione nello stesso modo di quello sulle spese reso nell’ambito dell’unico rapporto processuale: sicché, il difensore distrattario subisce legittimamente gli effetti della sentenza di appello di condanna alla restituzione delle somme già percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, benché non evocato personalmente in giudizio (Cass. 15 aprile 2010, n. 9062; Cass. 25 ottobre 2017, n. 25247); essendo lo stesso difensore distrattario tenuto alla restituzione delle somme pagategli a detto titolo, quale titolare di un autonomo rapporto instauratosi direttamente con la parte già soccombente e pertanto unico legittimato passivo rispetto all’eventuale azione di ripetizione d’indebito oggettivo proposta da tale parte (Cass. 20 settembre 2002, n. 13752; Cass. 3 aprile 2019, n. 9280);
7. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con regolazione delle spese di giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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