Corte di Cassazione ordinanza n. 22171 depositata il 13 luglio 2022
quote di ammortamento – spettanza – art. 2561 cod. civ. – deroga – deroga convenzionale alle norme dell’art. 2561 cod. civ. concernenti l’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili – vizio di omessa pronuncia – principio di derivazione del reddito fiscale da quello civilistico
Rilevato che:
1. La S. s.r.l. impugnava avviso accertamento, relativo al periodi di imposta 2003, con il quale venivano rideterminate componenti negative di reddito e recuperate imposte, oltre sanzioni. L’avviso di accertamento considerava, in particolare, indeducibili le quote di ammortamento relative ai beni materiali, in quanto oggetto di un contratto di affitto di ramo di azienda, intercorso con la Hotel Cavalieri s.r.l., relativo a un hotel (cui aveva fatto seguito altro contratto di affitto di azienda relativo a ristorante-bar), la cui deducibilità sarebbe spettata all’affittuario. L’Ufficio applicava, inoltre, una sanzione per omessa dichiarazione di inizio attività. La società contribuente deduceva che il contratto di affitto aveva previsto la deducibilità delle quote di ammortamento in capo alla concedente e non all’affittuaria, essendo stata pattuita una deroga convenzionale all’art. 2561 cod. civ. in materia di obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili, come previsto dall’art. 14, secondo comma, d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42; contestav, inoltre, l’applicazione della sanzione per omessa dichiarazione di inizio di attività.
2. La C.t.p. di Cuneo accoglieva il ricorso.
3. La C.t.r. del Piemonte, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello dell’Ufficio, ritenendo che la clausola n. 8 del contratto di affitto di azienda avesse previsto espressamente il diritto della contribuente alla deduzione delle quote di ammortamento, in deroga al disposto dell’art. 2561 cod. civ.,
4. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La società ricorrente ha resistito con
5. Con ordinanza del 15 settembre 2021 questa Corte, rilevato che il controricorrente aveva depositato memoria con la quale aveva chiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere, essendosi avvalso del procedimento di definizione agevolata ex 6 e 7 d.l. 23 ottobre 2018. n. 119, ma che né la memoria né gli allegati erano stati notificati alla ricorrente, rinviava la causa a nuovo ruolo, assegnando termine per la notifica.
Considerato che:
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 P.R. 4 febbraio 1988, n. 42 e degli artt. 1362 e ss. e 2561 cod. civ.
Deduce, in particolare, che la lettura complessiva delle clausole contrattuali induce a ritenere non derogato il disposto di cui all’art. 2561 cod. civ., e che il giudice di appello avrebbe, pertanto, violato l’art. 1362, primo comma, cod. civ., risultando la comune volontà dei contraenti di porre a carico dell’affittuario l’obbligo del mantenimento in efficienza dei beni aziendali, con conseguente accollo del relativo peso economico. Tale volontà sarebbe desumibile dalle clausole che prevedono il ripristino, all’atto della restituzione dell’azienda, dei beni aziendali modificati senza assenso dell’affittante e l’obbligo di conservazione dei beni in buono stato e di provvedere alla ordinaria manutenzione; dalla previsione di clausola risolutiva espressa in caso di inadempienze dell’affittuario; dalla previsione di un nuovo inventario all’atto della restituzione dell’azienda.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc.
Assume, in particolare, che la C.t.p aveva annullato l’avviso di accertamento senza alcuna motivazione sulla sanzione applicata, anch’essa fatta oggetto del ricorso della contribuente e che la C.t.r non ha emesso alcuna pronuncia sulla questione, nonostante quanto richiesto con l’appello.
3. Va rilevato che la controricorrente non ha documentato il pagamento degli importi cui è subordinato il perfezionamento della definizione agevolata di cui all’istanza in atti, né di detto pagamento ha dato atto l’Ufficio ricorrente. Il ricorso, pertanto, va deciso.
4. Non è fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso ex 360-bis cod. proc. civ..
La controricorrente assume che il ricorso sarebbe inammissibile in quanto la sentenza impugnata avrebbe deciso le questioni di diritto in conformità alla giurisprudenza di questa Corte e la ricorrente non avrebbe illustrato il quali termini la sentenza se ne fosse discostata.
L’eccezione non è sorretta da adeguata esposizione dei termini nei quali la sentenza avrebbe deciso la controversia in conformità a casi del tutto consimili, attenendo le censure indicate dal controricorrente al merito del ricorso. Oggetto del ricorso non è il riesame del giudizio di fatto, bensì la corretta applicazione delle regole di interpretazione del contratto, nonché la mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
5. Pure infondata è l’ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso per non avere il ricorrente censurato la ratio decidendi della sentenza della C.t.r Piemonte, n. 60/14/13, riportata espressamente nella sentenza impugnata, ove assume che l’atto va annullato sul presupposto che «la terzietà del soggetto affittuario dell’azienda dimostri la logicità di un presupposto contrattuale quale quello in essere che preserva la proprietà dei beni mobili ed immobili (particolarmente importanti nello specifico settore di attività) in capo all’affittante e pertanto legittimano lo stesso alla deduzione delle quote di ammortamento relative». Tale percorso argomentativo non costituisce una ragione della decisione compiuta, tale da reggere da sola la motivazione della sentenza, ma (piuttosto) un’argomentazione di rinforzo dell’argomento secondo cui il contratto di ramo di azienda lasciava in capo all’affittante il diritto alla deduzione delle quote di ammortamento. Ciò si evince dal fatto che la parte di motivazione richiamata della precedente sentenza della C.t.r. pone l’accento sulla rilevanza e sulla natura dei beni conferiti nel ramo di azienda al fine di giustificare, in caso di affitto del ramo a un soggetto terzo, la deduzione delle quote di ammortamento in capo all’affittante. Ma se così fosse, allora la natura dei beni va a giustificare la deroga contrattuale alla regola di cui all’art. 14, primo comma, d.P.R. n. 42 del 1988, secondo cui legittimato alla deduzione delle quote di ammortamento è l’affittuario. Trattandosi, pertanto, di beni di particolare valore, ciò giustifica la deroga pattizia alla regola di cui all’art. 2561 cod. civ., oggetto di impugnazione con il ricorso in oggetto.
5. Il primo motivo di ricorso è infondato.
5.1 L’art. 2561, secondo comma, cod. civ. prevede, a carico dell’affittuario di azienda, l’obbligo di conservazione del livello di efficienza dei beni aziendali. L’assunzione di detto obbligo tutela l’interesse del concedente, sia nel caso in cui avvenga la circolazione inversa dell’azienda (ove il concedente riprenda la gestione caratteristica), sia in caso di circolazione ulteriore dell’azienda, salvaguardando il compendio aziendale nel suo complesso (efficienza degli impianti e approvvigionamento delle scorte).
5.2 Ai fini fiscali il legislatore – a termini del combinato disposto degli 67, comma 9, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e 14, comma 1, d.P.R. n. 42 del 1988 e, successivamente all’entrata in vigore del d. lgs. 18 novembre 2005, n. 247 a termini dell’art. 102, comma 8, d.P.R. n. 917 del 1986, – ha seguito il principio di derivazione del reddito fiscale da quello civilistico. In particolare, quanto al trattamento fiscale dei beni ammortizzabili dei beni compresi nell’azienda data in affitto, l’ammortamento dei beni compete al soggetto che ha l’obbligo di conservare in efficienza l’azienda, ossia – secondo una costante giurisprudenza di questa Corte – all’affittuario e non al concedente (Cass. 08/03/2019, n. 6836; Cass. 15/01/ 2007, n. 675; Cass. 24/01/2001, n. 997). L’affittuario si sostituisce al concedente nella posizione fiscale riferibile agli elementi patrimoniali conferiti nel ramo di azienda, posto che è il soggetto che si assume il rischio della perdita di valore dei beni per minor valore conseguente alla perdita, all’uso o all’obsolescenza tecnologica dei beni aziendali, con la conseguenza che il risultato di gestione dell’affittuario tiene conto dell’onere per logorio e perimento dei beni aziendali, traslato dalla posizione del concedente. Tuttavia, la disciplina fiscale consente che le parti del contratto di affitto di azienda possano derogare convenzionalmente alla disciplina civilistica di cui all’art. 2561, secondo comma, cod. civ., nel caso in cui l’affittuario non assuma convenzionalmente l’obbligo di mantenimento in efficienza del compendio aziendale. In questo caso, la titolarità del diritto di deduzione degli ammortamenti non viene traslata sul reddito dell’affittuario, come previsto (rispettivamente prima e dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 247 del 2005) dall’art. 14, comma 2, d.P.R. n. 42 del 1988 e dall’art. 102, comma 8, d.P.R. n. 917 del 1986, secondo cui tale disposizione non si applica in caso di deroga convenzionale alle norme dell’art. 2561 cod. civ. concernenti l’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili (Cass. 10/08/ 2010, n. 18537, Cass. 21/01/ 2008, n. 1172). Soluzione applicata, ad esempio, da questa Corte nel caso in cui sia stata pattuita la clausola secondo cui il deperimento derivante dall’uso di beni componenti il ramo d’azienda condotto in affitto non dovesse ricadere sul conduttore, bensì sul concedente (Cass. 21/12/2018, n. 33219).
5.3 Nella specie, il giudice di appello ha dato rilievo prevalente alla clausola che derogava espressamente al disposto dell’art. 2561 cod. civ. – prevedendo che «le quote di ammortamento riguardanti la componente mobiliare ed immobiliare del presente contratto sono deducibili, anche ai fini fiscali, dalla società affittante. Tale pattuizione costituisce deroga espressa alle disposizioni contenute nell’art. 2561 cod. civ. fatta eccezione per gli incrementi e le sostituzioni direttamente effettuate dall’affittuaria con spese a proprio carico». Ha inoltre, motivato in ordine alla coerenza della detta clausola con la posizione di terzietà del soggetto affittuario.
5.4 Sotto questo profilo la ricorrente prospetta un’opposta interpretazione del contratto, di carattere logico-sistematica, facendo ricorso all’art. 1362, primo comma, cod. civ., fondata sull’interpretazione di alcune clausole che, invece, dovrebbero indurre a ritenere che la comune intenzione delle parti, diversamente e in contrasto con quanto espressamente previsto nella clausola valorizzata dal giudice di appello, sia quella di non derogare al disposto dell’art. 2561 cod. civ.
La ricorrente, tuttavia, non evidenzia in quali termini l’interpretazione letterale, fondata sulla clausola valorizzata dal giudice di appello, la quale ha valore generalmente preminente nell’interpretazione del contratto (Cass., Sez. U., 25/07/2019, n. 20181, Cass. 12/07/2010, n. 16298) risulti incoerente con il complessivo contenuto del contratto e con il comportamento tenuto dalle parti, circostanza in forza della quale la ricostruzione della comune intenzione delle parti può essere operata derogando all’interpretazione letterale delle clausole (Cass. 26/07/2019, n. 20294, Cass. 28/06/2017, n. 16181, Cass. 01/12/2015, n. 24421, Cass. 9/12/ 2014, n. 25840).
La ricorrente, del resto, non ha nemmeno evidenziato in che termini le clausole contrattuali (in particolare, quella che prevede la deroga alla disciplina civilistica) non sarebbero intelligibili, circostanza che costituisce ulteriore presupposto al fine di superare l’interpretazione fondata su una clausola espressa del contratto (Cass. 19/02/2020, n. 4189). Dette clausole, invece, appaiono del tutto fisiologiche in un contratto di affitto di azienda, finalizzate a non disperdere il complesso dei beni conferiti nel ramo di azienda anziché a reintegrare la perdita di valore subita dai beni strumentali ammortizzabili.
Ancora, la ricorrente si limita a prospettare una comune intenzione delle parti diversa da quella indicata nella clausola in cui è espressamente indicata la deroga pattizia all’art. 2561 cod. civ., senza peraltro esplicitare il percorso argomentativo sulla base del quale le clausole evidenziate farebbero presagire una diversa interpretazione, così mancando di precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, non potendo la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. 09/04/ 2021, n. 9461), laddove l’esigenza di far prevalere una comune intenzione delle parti difforme da quanto risultante dal senso letterale delle parole è un tipico processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore (Cass. 15/07/ 2016, n. 14432). Infine, la ricorrente ha censurato il ragionamento del giudice di appello limitandosi ad invocare il diverso criterio dell’interpretazione sistematica delle clausole ex art. 1362, primo comma, cod. civ.
6. Anche il secondo motivo è infondato.
6.1 Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia. (Cass. 13/10/2017, n. 24155).
6.2 Ciò posto, la ricorrente precisa nel motivo del ricorso che la sanzione era stata irrogata «per la mancata dichiarazione di inizio attività per il codice Atecofin 21.1 “Lavori generali di costruzione di edifci”». Dal controricorso si evince, poi, che la contribuente aveva contestato, invece, che fosse «corretta la comunicazione del codice ATECO 55.11.0. “Alberghi e motel con ristorazione” effettuata».
6.3 La sentenza, se pure nella parte relativa all’esposizione dei fatti, ha dato per acquisito che la società era stata costituita da costruttori edili con l’intento di dedicarsi all’attività alberghiera e di ristorazione e che anche l’immobile era stato costruito con l’intento di esercitare l’attività in proprio.
Il motivo di appello, pertanto, è stato disatteso in ragione di detta qualificazione restando escluso il vizio denunciato.
7. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese del giudizio di legittimità regolate dalla soccombenza e liquidate come da Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi euro 1.200,00 oltre 15% rimborso spese generali, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 23 settembre 2021, n. 25826 - L'imprenditore beneficiario del contributo, che conceda in affitto l'azienda, perde per ciò stesso la qualità di imprenditore divenendo mero percettore del reddito costituito dai canoni…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 luglio 2020, n. 16180 - In tema di determinazione del reddito d'impresa, le quote di ammortamento delle aziende date in affitto o in usufrutto sono deducibili, ai sensi degli artt. 67, comma 9, del d.P.R. n. 917 del…
- INPS - Messaggio 08 maggio 2023, n. 1645 Telematizzazione del TFR per i dipendenti pubblici di cui al D.P.C.M. 20 dicembre 1999, e successive modificazioni Con la circolare n. 185 del 14 dicembre 2021 è stato comunicato l’avvio del nuovo processo di…
- COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per l'ABRUZZO - Sentenza 16 dicembre 2019, n. 1024 - In tema di determinazione del reddito d'impresa, le quote di ammortamento delle aziende date in affitto o in usufrutto sono deducibili dal reddito dell'affittuario o…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 14801 depositata il 10 maggio 2022 - La produzione dell'avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 febbraio 2020, n. 3415 - In caso di affitto dell'azienda le rimanenze costituiscono - salvo diversa volontà negoziale delle parti ed ove non considerate isolatamente rispetto alla loro destinazione funzionale - beni a…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…