Corte di Cassazione ordinanza n. 22186 depositata il 13 luglio 2022
giudicato interno – impugnazione cartella di pagamento emessa a seguito controlli automatizzati art. 36 bis
Rilevato che:
1. L.G. ricorre – formulando eccezione di giudicato ed articolando tre motivi – nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza in epigrafe che ha accolto l’appello di quest’ultima avverso la sentenza della C.t.p. di Treviso che aveva accolto il ricorso avverso la cartella di pagamento, 11320110031715347, emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dal quale era emerso che gli acconti indicati dal contribuente, ai fini Irap e per l’anno d’imposta 2008, non erano stati versati.
2. La C.t.p. accoglieva il ricorso affermando, per quanto ancora di rilievo, che i redditi prodotti dal contribuente, il quale svolgeva l’attività di agente monomandatario «con il minimo dei beni strumentali per il suo espletamento», non erano assoggettabili ad Irap per mancanza del presupposto impositivo, mancando «l’organizzazione».
3. la C.t.r. accoglieva l’appello frapposto dall’Ufficio e riformava la sentenza di primo grado. Affermava in proposito che la sentenza di primo grado aveva omesso di pronunciarsi sulla pregiudiziale sollevata dall’Ufficio, il quale aveva evidenziato che gli acconti indicati dallo stesso contribuente nella dichiarazione non erano mai stati versati; che il mancato versamento degli acconti era fatto non contestato; che la questione relativa alla sussistenza dei presupposti soggettivi era estranea all’oggetto del contendere, rilevando la sola circostanza che non erano stati pagati gli acconti dichiarati.
4. L’avvocatura erariale ha depositato “atto di costituzione” ai soli fini della eventuale partecipazione all’udienza ex 370, primo comma, cod. proc. civ.. Il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
1. In via preliminare il ricorrente eccepisce il giudicato interno formatosi sulla carenza del presupposto impositivo.
Deduce che la sentenza di primo grado aveva accertato l’insussistenza del presupposto impositivo dell’Irap per mancanza del requisito dell’autonoma organizzazione e che la medesima, in parte qua, non era stata impugnata.
2.Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 2 d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446.
In particolare, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’Irap debba essere pagata anche in mancanza dei suoi presupposti ed ha disatteso il principio di emendabilità delle dichiarazioni fiscali.
3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2729 cod. civ.
In particolare, censura la sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe tratto dalla circostanza della presentazione della dichiarazione Irap per l’anno 2008, e non per il 2009, la conclusione che il Modello F24 relativo all’anno 2009, in cui si era indicato un presunto credito Irap, si riferisse, in realtà, all’anno 2008.
4. Con il terzo motivo denunzia la violazione dell’art. 1 d.lgs. 31 dicembre 1992, dell’art. 112 proc. civ., art. 7 legge 27 luglio 2000, n. 212.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto irrilevante la mancanza di soggettività Irap sull’assunto che l’indebita compensazione operata nel modello F24 del 06 agosto 2010 legittimasse gli atti impugnati, sebbene la cartella esattoriale non si fondasse su detta compensazione.
5. L’eccezione di giudicato interno ed il primo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi, sono fondati.
5.1 Dalla sentenza impugnata emerge inequivocabilmente che la cartella esattoriale aveva ad oggetto l’omesso versamento dell’Irap per l’anno d’imposta 2008 e che la stessa era stata emessa essendosi riscontrato, in sede di accertamento automatizzato ex 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973, che il contribuente non aveva versato gli acconti pur indicati nella relativa dichiarazione.
5.2 Questa Corte ha affermato che l’impugnazione della cartella di pagamento, emessa in seguito a procedura di controllo automatizzato ai sensi dell’art. 36-bis non è preclusa dal fatto che l’atto impositivo sia fondato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione, in quanto tale conclusione presupporrebbe la irretrattabilità delle dichiarazioni del contribuente che, invece, avendo natura di dichiarazioni di scienza, sono emendabili in ragione della acquisizione di nuovi elementi di conoscenza o di valutazione (ex multis, Cass. 28/02/2017 n. 5129).
Va, inoltre, osservato che la cartella di pagamento emessa ai sensi dell’art. 36-bis cit. può essere impugnata, ex art. 19 d.P.R. n. 546 del 1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva, poiché essa non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante (Cass. n. 5129 del 2017).
5.3 La C.t.r., si è posta in contrasto con il consolidato orientamento di legittimità in materia in quanto ha affermato l’irrilevanza della sussistenza del presupposto impositivo essendo la cartella di pagamento espressione di un mero controllo formale operato dall’Ufficio e fondandosi la stessa su quanto dichiarato dal contribuente.
5.4 Sull’insussistenza del presupposto impositivo si è formato il giudicato.
Il giudizio di primo grado aveva avuto espressamente ad oggetto detta questione preliminare di merito in quanto il contribuente aveva specificamente contestato la circostanza nel ricorso introduttivo e l’Ufficio, se pure in via subordinata – avendo in via principale sostenuto che la C.t.p. non poteva entrare nel merito della debenza del tributo – ne aveva, viceversa, sostenuto, comunque, la sussistenza.
La sentenza resa in primo grado, come emerge da quanto riportato in ricorso, ha accolto l’impugnazione del contribuente, escludendo espressamente che i redditi del ricorrente fossero assoggettabili ad irap, stante la mancanza del presupposto dell’organizzazione. Di tanto se ne dà atto nella sentenza impugnata ove, nella parte dedicata allo svolgimento del processo, si precisa che la C.t.p., sul merito della vertenza, aveva ritenuto che per l’anno 2008 non sussisteva la soggettività passiva del ricorrente
Con l’appello, anch’esso riportato in parte qua nel ricorso, l’Agenzia delle Entrate non ha censurato detta specifica statuizione, assumendone l’irrilevanza ribadendo sul punto che l’oggetto del contendere non era la soggettività Irap atteso che si discuteva della sola circostanza che i versamenti dichiarati non fossero dovuti.
La sentenza di primo grado, tuttavia, è stata adottata dopo che la specifica questione della sussistenza o meno del presupposto impositivo aveva formato oggetto di discussione nel contraddittorio delle parti; di conseguenza, deve concludersi, in assenza di appello sul punto, che su detta statuizione si è formato il giudicato interno.
Per giurisprudenza costante di questa Corte, infatti, la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute comporta la formazione del giudicato interno laddove, come nel caso di specie, le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, risolutivi di questioni controverse che, dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente (cfr. Cass. 15/12/2021, n. 40276, Cass. 25/06/2020, n. 12649, Cass. 18/09/2017, n. 21566)
7. Poiché la insussistenza del presupposto impositivo risulta definitivamente accertata e poiché dalla verifica del medesimo non può prescindersi per le ragioni espresse a proposito della fondatezza del primo motivo, gli ulteriori motivi di censura restano assorbiti.
Il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ex art. 382, terzo comma, cod. proc. civ., perché il processo non poteva essere proseguito.
8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. Le spese del giudizio di merito restano compensate in ragione del suo andamento complessivo
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di merito. Condanna l’Agenzia delle Entrate a corrispondere al ricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1200,00 per compensi, oltre il 15% per spese generali, euro 200,00 per esborsi, i.v.a. e c.p.a. come per legge.