Corte di Cassazione ordinanza n. 22302 depositata il 15 luglio 2022
presunzioni legali relative – accertamento bancario – sanzioni amministrative – doppia conforme – nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile
RILEVATO CHE:
Con sentenza n. 28/2/14 la CTR Marche ha respinto gli appelli riuniti proposti da B.D. contro sentenze della CTP di Pesaro che hanno rigettato i ricorsi proposti avverso avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate che, a seguito di indagini bancarie, avevano recuperato maggior IRPEF, IRAP e IVA per gli anni 2004, 2005 e 2006 in relazione al maggiore reddito di impresa derivante dall’attività di intermediazione immobiliare svolta dal contribuente.
B.D. propone ricorso per cassazione affidato ad otto motivi. Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Il ricorrente deposita memoria.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce «erronea applicazione dell’art. 32, comma 4 P.R. 600/73 violazione di legge» perchè la preclusione ex art. 32 d.P.R.· 600/73 trova applicazione solo per comportamenti intenzionali.
1.1 La questione è inammissibile per carenza di interesse atteso che la preclusione indicata non ha trovato alcuna applicazione in quanto i documenti prodotti dal contribuente sono stati presi in esame dai giudici di merito.
Già i giudici di prime cure, secondo la sentenza della CTR, avevano preso in considerazione la documentazione prodotta dal ricorrente al fine di giustificare le operazioni contestate, ritenendola inattendibile in quanto i contratti erano privi di data certa e della firma dei contraenti mentre la documentazione bancaria non consentiva di stabilire una precisa corrispondenza tra gli importi registrati e le date dei movimenti, sia per quanto riguarda i prelievi che i versamenti, «con preciso e concreto riferimento ai singoli documenti ovvero alle singole operazioni, comprese quelle extraconto».
Il Giudice d’appello, rilevata la genericità dei motivi di gravame che non si confrontavano con le argomentazioni delle sentenze appellate, ha confermato quelle decisioni osservando a sua volta quanto segue:
- le dichiarazioni dei beneficiari dei prelevamenti contestati dall’Ufficio non assurgevano a fonte di prova ma erano meri indizi in quanto provenienti da soggetti legati alla parte da vincoli di parentela;
- numerosi contratti di locazione immobiliare a uso turistico non trovavano riscontro nella contabilità, con emersione quindi di mancata fatturazione;
- era notevole il numero di operazioni extraconto non giustificate dal ricorrente, complessivamente pari ad euro 150.469,93 per versamenti ed euro 109.870,00 per prelevamenti;
- altre operazioni extraconto, partitamente elencate, non trovavano giustificazione sufficiente o idonea;
- era fondata anche la ripresa a tassazione della somma di euro 40.000,00 (non essendo provato il titolo asserito dal ricorrente) e dei proventi derivanti da contratto di locazione con la Obiettivo Lavoro spa (non dichiarati nella misura dell’85%).
La documentazione prodotta, quindi, è stata considerata dai giudici di merito che l’hanno però ritenuta insufficiente o inidonea.
2. Con il secondo motivo lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 7 d.lgs. 546 del 1992 e dell’art. 2697 c.c. ed in subordine – ex 360 comma 1 n. 5 c.p.c. – anche in riferimento all’art. 111 Costituzione, perchè il Giudice d’appello non ha riconosciuto valore probatorio alle dichiarazioni prodotte per giustificare la destinazione dei prelevamenti contestati; secondo la prospettazione, si tratta di dicharazioni provenienti dai proprietari degli immobili della cui locazione si era occupato il ricorrente, il quale incassava i canoni che versava sul proprio conto e successivamente prelevava quelle somme che corrispondeva ai proprietari decurtata la sua provvigione.
2.1 Il motivo è infondato.
La CTR ha affermato il valore meramente indiziario delle dichiarazioni dei terzi che nel caso di specie, proveniendo da soggetti legati da vincoli di parentela con il ricorrente, sono state ritenute non idonee a superare la presunzione ricavabile dai dati bancari.
La sentenza ha correttamente applicato il principio secondo cui «le presunzioni legali in favore dell’erario derivanti dagli accertamenti bancari determinano in capo al contribuente un preciso ed analitico onere della prova contraria che non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiarazioni di terzi, non potendo queste ultime assurgere né a rango di prove esclusive della provenienza del reddito accertato, né essere idonee, di per sé, a fondare il convincimento del giudice» (Cass. ordinanza n. 6405/2021).
2.2 Nello stesso motivo il ricorrente si lamenta del fatto che l’Ufficio, disconosciuto valore probatorio a quelle dichiarazioni nei suoi confronti, le ha però utilizzate nei confronti dei proprietari per accertare maggiori redditi. La questione è inammissibile in quanto inconferente con la sentenza impugnata.
2.3 Con riguardo ai prelevamenti, nella memoria ex 378 c.p.c. il ricorrente evidenzia che secondo la Corte cost. n. 228 del 2014 «i prelievi dei lavoratori autonomi non sono redditi» ma questa pronuncia non rileva nel caso in esame.
Questa Corte ha ritenuto che gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, ad opera della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, retroagiscono e si applicano anche ai rapporti giuridici non consolidati e non coperti da decisioni passate in giudicato (Cass. n. 2240/2021); peraltro, il ricorrente, che svolge attività di agente in affaridi mediazione immobiliare, rientrante tra quelle ausiliarie di cui al n. 5 del primo comma dell’art. 2195 c.c., riveste la qualifica di imprenditore individuale, al quale continua ad applicarsi la presunzione di imputazione a ricavi delle movimentazioni bancarie di cui all’art. 32 cit., essendo stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’applicazione della presunzione all’imprenditore individuale (Cass. n. 28580/2021).
3. Con il terzo motivo deduce «violazione o falsa applicazione art. 38-39-40-42 d.P.R. 600/73 ed art. 2909 c.c., art. 2727 c.c. e 2729 c.c. e art. 115 c.p.c. – omessa motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c.».
In particolare, il ricorrente lamenta che la sentenza della Commissione Tributaria Regionale non ha considerate i costi, omettendo di calcolarli almeno forfettariamente mediante un coefficente di ricarica applicabile alle provvigioni da intermediazione immobiliare.
3.1 Anche questo è motivo è infondato.
Secondo giurisprudenza di questa Corte, la considerazione dell’incidenza percentualizzata dei costi corrispondenti alla ricostruzione dei ricavi è applicabile alla rettifica induttiva e non anche a quella fondata su indagini bancarie, atteso che, in questa ipotesi, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 (e, per l’IVA, dell’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972), opera a favore dell’Amministrazione finanziaria una presunzione legale rispetto ai dati emergenti dalle movimentazioni bancarie, che il contribuente ha l’onere di superare (Cass. n. 24422/2018).
3.2 Alla luce di questo principio risultano irrilevanti i conteggi riportati nello stesso motivo diretti a confutare la ricostruzione dell’Ufficio.
4. Con il quarto motivo deduce «violazione art. 51 2 d.P.R. 633/72 art. 32 d.P.R. 600/73 – art. 2697 c.c. ed ex art. 360 n. 5 c.p.c.» lamentando che, con mera motivazione apparente e comunque insufficiente e parziale, la CTR non aveva preso in specifico esame i documenti prodotti che giustificavano i singoli movimenti e aveva omesso di indicare i motivi di non accoglimento delle giustificazioni fornite dal ricorrente, limitandosi ad affermare sommariamente che tutti i movimenti erano da intendere non giustificati.
4.1 Il motivo è inammissibile sotto più profili.
Innanzitutto, il motivo è carente di autosufficienza in quanto mancano indicazioni sulla localizzazione negli atti di causa dei documenti indicati su cui si fondano i conteggi proposti, relativi comunque soltanto all’anno 2005.
Sotto altro profilo, il motivo ricondotto al paradigma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è in contrasto con la regola della c.d. «doppia conforme» di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis poiché il gravame è stato proposto il 31 maggio 2013) e della nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (essendo stata la sentenza di appello pubblicata il 4 febbraio 2014), applicabile anche nel giudizio di legittimità in materia tributaria, ovvero al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (cfr. Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014; Cass. n. 1562 del 2021); il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 2014; n. 26774 del 2016); adempimento che il ricorrente, nel caso di specie, non ha svolto, emergendo comunque dal contenuto del ricorso che sono sostanzialmente identiche le questioni di fatto esaminate da entrambe le Commissioni.
5. Con il quinto motivo lamenta, senza indicare le norme violate, «l’omessa motivazione in ordine alle prove offerte» con riguardo alle poste contabilizzate nei rapporti bancari e alle operazioni extraconto e si riproducono tabelle con i singoli movimenti.
5.1 Questo motivo è inammissibile essendo rivolto, in sostanza, alla rivalutazione del materiale probatorio già offerto ai giudici di merito, ciò che è precluso dall’orientamento consolidato di questa Corte (v. Cass. n. 29730 del 2020), secondo cui il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto (v. anche Cass. n. 40221 del 2021).
6. Con il sesto motivo lamenta «violazione di legge-erronea applicazione 5 d.lgs. 472/97 in tema di sanzioni ed omessa valutazione ex art. 360 c. 5 c.p.c.»; secondo il ricorrente le sanzioni sono inapplicabili per mancanza di colpevolezza e/o dolo nonchè di prova in ordine al conseguimento d’un beneficio economico, previsto dall’art. 2 lett. I della legge n. 80/2003, e, in ogni caso, manca l’indicazione dei criteri e delle valutazioni che hanno condotto alla loro applicazione.
6.1 Il motivo è infondato.
E’ sufficientemente chiaro dalla lettura della pronuncia che la sentenza ha confermato le sanzioni irrogate ritenendo che la loro motivazione trovasse fondamento nell’accertamento delle violazioni tributarie e nell’applicazione della presunzione ex art. 32 cit. che ha resistito all’impugnazione del contribuente. In sostanza, nella misura in cui ha ritenuto legittime le violazioni finanziarie contestate con l’atto di accertamento e l’accertamento del maggiore reddito, la sentenza impugnata ha, parimenti, ritenuto legittime le conseguenti sanzioni che sono state irrogate con l’atto di accertamento.
Va osservato, inoltre, che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. Questo può consistere anche nella inosservanza di norme tributarie ed è sufficiente, quindi, la coscienza e la volontà, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di chi lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa (Cass. n. 22890/2006; Cass. n. 13068/2011; Cass. n. 4171/09; Cass. n. 2139/2020).
Appare inconferente, infine, il riferimento all’art. 2 della legge delega n. 80/2003 che fissava i principi in materia di codificazione fiscale ma che non ha trovato attuazione.
7. Con il settimo motivo deduce «violazione di legge – 2697 c.c. d.lgs 74/2000 omessa valutazione prove penali giudicato penale», richiamando la sentenza n. 686/12 del Tribunale di Pesaro che ha assolto il Badiali dal reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 ritenendo accertati maggiori ricavi per il 2004 soltanto in misura pari a circa 90.000,00.
7.1 A parte la mancanza di autosufficienza e specificità del motivo che non chiarisce l’attinenza degli accertamenti del giudice penale con i fatti oggetto del presente giudizio, la doglianza è infondata.
In materia di contenzioso tributario, infatti, «nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna» (Cass., n. 28174/2017; Cass. n. 10578/2015).
8. Con l’ottavo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 comma 1 3 c.p.c., in relazione all’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 per omessa motivazione in ordine alla non sussistenza dei presupposti di imposizione IRAP, perchè mancherebbe una stabile organizzazione in quanto il Badiali non ha dipendenti e ha pochi cespiti ammortizzabili.
8.1 L’Agenzia eccepisce l’inammissibilità del motivo sia per carenza di specificità sia perchè nei ricorsi introduttivi nulla era stato eccepito sulla debenza dell’IRAP; effettivamente nè dalla sentenza d’appello nè dal ricorso si ricava la proposizione di quelle questioni nel giudizio di merito e il ricorrente non chiarisce questo aspetto neppure in memoria; la doglianza è, quindi, inammissibile.
9. Le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo grado di giudizio che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 se dovuto.
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