Corte di Cassazione ordinanza n. 22416 depositata il 15 luglio 2022
ricorso in cassazione – la doglianza non indica nemmeno quali ragioni la compagine fallita avesse addotto a conforto del reclamo da lei asseritamente proposto – denuncia di un errore di fatto – omessa pronuncia
Rilevato che:
1. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 260/2017, dichiarava il fallimento della società E.B. r.l. su istanza di Equitalia Sud s.p.a..
2. La Corte d’appello di Roma, a seguito del reclamo presentato da U.S., società di diritto lituano, riteneva – fra l’altro e per quanto qui di interesse – che tale compagine non avesse legittimazione attiva alla presentazione dell’impugnazione in qualità di incorporante per fusione la compagine fallita, giacché, stando alle risultanze della visura storica in atti, era stato presentato soltanto un progetto di fusione per incorporazione, il cui iter non si era mai concluso con la necessaria iscrizione della fusione nel registro delle imprese ex 2504, comma 2, cod. civ..
3. Per la cassazione della sentenza di rigetto del reclamo, assunta in data 8 gennaio 2021, hanno proposto ricorso U.S. e E.B. s.r.l. prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso Ader Agenzia delle Entrate riscossione.
L’intimato fallimento di E.B. s.r.l. non ha svolto difese.
Considerato che:
4. Il primo motivo di ricorso si duole della “errata e/o falsa individuazione delle parti del processo” e sostiene che la Corte di merito abbia erroneamente ritenuto che il reclamo fosse stato presentato soltanto da U.S., malgrado all’interno dell’atto di gravame fosse stata chiaramente indicata come impugnante anche la stessa società fallita. Pertanto, la Corte distrettuale, quand’anche U.S. non avesse avuto legittimazione attiva a reclamare la sentenza di fallimento, non poteva disconoscere la legittimazione all’impugnazione della società fallita.
5. Il motivo è inammissibile.
Il mezzo in esame, nell’addurre la presenza di due reclamanti e non della sola società lituana incorporante per fusione la fallita, ha nella sostanza lamentato che il collegio del reclamo, non individuando correttamente il novero delle parti processuali, non abbia provveduto a delibare sull’impugnazione presentata dalla fallita, limitandosi a registrare la carenza di legittimazione attiva di U.S..
Si tratta, quindi, della deduzione di un’omessa pronuncia sull’impugnazione proposta direttamente dalla fallita, non accompagnata dal riferimento al disposto dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., né dalla denuncia della conseguente nullità della sentenza impugnata.
Ne discende l’inammissibilità del motivo.
Infatti, il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile a una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi; pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine a una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass., Sez. U., 17931/2013; nello stesso senso Cass. 10862/2018, Cass. 24553/2013).
Per di più la doglianza non indica nemmeno quali ragioni la compagine fallita avesse addotto a conforto del reclamo da lei asseritamente proposto e si rivela così non rispettosa del principio di autosufficienza, giacché impedisce al giudice di legittimità la benché minima cognizione dell’oggetto dell’impugnazione, sul quale, ove non fossero necessari ulteriori accertamenti, questi potrebbe decidere nel merito, pur trattandosi di error in procedendo (Cass. 26693/2006).
6. Il secondo motivo di ricorso denuncia la “violazione e/o falsa applicazione della mancata attribuzione di legittimazione attiva in capo a U.S.”, in quanto la documentazione prodotta dimostrava che la pratica relativa alla domanda di fusione era stata evasa e risultava regolarizzata, cosicchè E.B. s.r.l., oramai fusasi con U.S. dal 1° ottobre 2013, era società di diritto lituano non soggetta al fallimento in Italia.
Peraltro, E.B. s.r.l. aveva chiesto il trasferimento della sede legale da Roma in Lituania sin dal 24 ottobre 2011 e la condizione sospensiva del riconoscimento del trasferimento da parte dello Stato estero si era avverata, sicchè non era dato capire perché la C.C.I.A.A. di Roma non avesse provveduto a registrare una simile variazione.
7. Il motivo non evidenzia alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata sotto il profilo dell’intervenuta fusione delle due società, ma è espressione di un mero dissenso rispetto alla valutazione delle risultanze della congerie documentale disponibile.
Il mezzo risulta perciò inammissibile, poiché deduce, apparentemente, una violazione di imprecisate norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 8758/2017).
Peraltro, la denuncia di un errore di fatto, consistente nell’inesatta percezione da parte del giudicante di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo (quale l’erronea percezione dei dati concernenti la fusione oggettivamente risultanti, in tesi di parte ricorrente, dal contenuto della documentazione presentata alla Camera di Commercio in data 8 agosto 2013), non costituisce motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3 o n. 5, cod. proc. civ., ma di revocazione, a norma dell’art. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. (Cass. 23279/2016). Infine, da un esame della sentenza impugnata e del motivo di ricorso non risulta che la questione concernente l’avvenuto trasferimento della sede di E.B. s.r.l. in Lituania sia mai stata sottoposta al vaglio del collegio del reclamo.
Il che comporta l’inammissibilità di tale profilo di doglianza, posto che è principio costante e consolidato di questa Corte (cfr., fra molte, Cass. 7048/2016, Cass. 8820/2007, Cass. 25546/2006) che nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini e accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito.
8. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 6.800, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
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