Corte di Cassazione ordinanza n. 22440 depositata il 15 luglio 2022

ASD – regime agevolato legge 398/91

Rilevato che:

1. L’Agenzia delle entrate accertò a carico dell’Associazione sportivo-dilettantistica A.B.P. (d’ora innanzi: ASAB) il superamento del limite di legge previsto dall’art. 1 della l. 16/12/1991, n. 398 per il riconoscimento del relativo regime agevolato.

Tale norma disponeva infatti — nel testo all’epoca vigente — che l’applicazione del regime agevolato fosse condizionata al conseguimento, nel periodo d’imposta, di proventi derivanti dall’attività commerciale in misura non superiore a € 250.000,00; il fatturato dell’associazione, nel primo periodo di esercizio sociale, compreso fra il 28 agosto e il 31 dicembre 2006, era invece risultato pari ad € 89.000,00, ovvero in proporzione superiore alla quota corrispondente al limite annuo normativamente stabilito (€ 86.310,37).

2. L’avviso ─ con il quale l’amministrazione, determinato il maggior reddito d’impresa, accertava a suo carico maggiori Irap, Ires ed Iva oltre a sanzioni ─ fu impugnato da ASAB innanzi alla C.T.P. di Pescara, con deduzione di plurimi profili di illegittimità.

Il giudice adito respinse il ricorso, eccetto che per la parte inerente alle sanzioni, riconoscendo ad ASAB una causa di non punibilità ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. 18/12/1997, n. 472.

3. La sentenza fu oggetto di separati appelli da parte della contribuente e dell’Agenzia delle entrate.

Riunite le impugnazioni, la C.T.R. dell’Abruzzo, disattesi alcuni motivi di gravame formulati dalla ricorrente, ritenne fondato quello concernente il criterio di determinazione del limite, annullando l’accertamento e reputando in ciò assorbita ogni altra questione.

In particolare, i giudici d’appello ritennero che, ai fini del computo del plafond di cui all’art. 1 della l. n. 398/1991, dovesse trovare applicazione il criterio di cassa, in luogo di quello della fatturazione adottato dall’ufficio.

Rilevarono, al riguardo, che la norma in questione, nell’impiegare la locuzione «proventi conseguiti», opera un chiaro riferimento ai soli ricavi incassati, come peraltro specificato dalla stessa amministrazione con propria circolare n. 1 dell’11/02/1992 e, tuttavia, successivamente negato da altri documenti di prassi, che arbitrariamente indicavano la necessità di far riferimento ai proventi fatturati, ancorché non incassati.

Secondo la C.T.R., inoltre, occorreva aver riguardo al fatto che il criterio di cassa trova conferma nel termine “provento”, specificamente attinente alle imposte dirette, rinvenibile nel testo dell’art. 2, comma 5, della l. n. 398/1991, che fa carico ai soggetti beneficiari dell’esonero di «annotare […] qualsiasi provento conseguito nell’esercizio di attività commerciali»; da tali elementi, infatti, i giudici d’appello inferirono un oggettivo collegamento fra l’incasso effettivo di somme e l’imponibilità del reddito cui le stesse confluiscono, tale da escludere che, nell’ottica del raggiungimento del limite, dovesse tenersi conto anche delle fatture non incassate.

Infine, la C.T.R. rilevò che il regime di riscossione delle imposte dirette — contrariamente a quello dell’Iva, ove il contribuente non abbia optato per la cd. “Iva per cassa” — postula la coincidenza fra incasso e versamento dell’imposta; ed escluse che potesse ritenersi applicabile una sorta di “principio di cassa allargato” (tale, cioè, da attrarre al reddito annuale le somme percepite entro una determinata data dell’anno successivo), trattandosi di regime circoscritto ad altre forme di reddito.

Poste tali considerazioni, i giudici d’appello osservarono che gli incassi percetti dalla contribuente nel periodo di riferimento non superavano la quota del minimo corrispondente, ammontando a complessivi € 37.200,00, e che tale circostanza rendeva ingiustificata la ripresa a tassazione dei maggiori redditi accertati per effetto della disapplicazione del regime agevolato.

4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di due motivi. L’intimata ha resistito con controricorso e depositato ricorso incidentale affidato a due motivi, cui l’amministrazione ha replicato con proprio controricorso.

Considerato che:

1. Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli 1 e 2 della l. n. 398/1991 e del DM 18/05/1995, all. E, in relazione all’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 546/1992.

Secondo l’agenzia ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe erronea nella parte in cui assume che il plafond cui è condizionata l’applicazione del regime fiscale agevolato fa riferimento ai soli incassi conseguiti dall’ente, e non ai corrispettivi fatturati per le prestazioni rese.

La ricorrente contrappone al percorso ermeneutico seguito dai giudici d’appello, essenzialmente riconducibile ad un criterio letterale, un’interpretazione sistematica della norma che, pur tenendo conto della sua finalità di promozione dell’attività sportiva dilettantistica, vuole evitare che possano derivarne fenomeni elusivi; evidenzia, in tal senso, che le associazioni sarebbero incoraggiate ad emettere fatture per inesistenti prestazioni rese, senza ricevere nessun disincentivo ed al contempo consentendo agli apparenti beneficiari della prestazione di scaricarne il costo; osserva, inoltre, che altre previsioni contenute nella disciplina delle associazioni sportive dilettantistiche (come l’art. 9, comma 3, del d.P.R. 30/12/1999, n. 544) fanno obbligo a tali enti di conservare e numerare progressivamente l’ammontare degli acquisti e di qualsiasi provento conseguito, dal che deve evincersi che in tale ultima nozione rientra ogni corrispettivo per le prestazioni rese, indipendentemente dal suo effettivo incasso; richiama, infine, le circolari e risoluzioni ministeriali dalle quali è dato trarre conforto alle sue tesi.

2. Con il secondo motivo, denunziando violazione «delle norme in tema di sanzioni», la ricorrente assume che questa Corte, accolto il primo motivo con cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, dovrà poi riesaminare la statuizione della C.T.P. di Pescara in parte qua.

A tal fine, il motivo contiene la riproduzione fotografica dell’avviso di accertamento, per la parte inerente alle sanzioni, e del motivo di appello relativo al corrispondente capo della sentenza di primo grado.

3. Il primo motivo di ricorso incidentale deduce nullità della sentenza in relazione agli 3 della l. 07/08/1990, n. 241, 7 e 12 della l. 27/07/2000, n. 212 e 43 del d.P.R 29/09/1973, n. 600.

L’associazione contribuente si duole del rigetto, per novità della questione, del proprio motivo di appello inerente al difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, evidenziando di aver formulato conformi conclusioni nel giudizio di primo grado.

4. Con il secondo mezzo è poi dedotta violazione degli 1, comma 1, e 2 della l. n. 398/1991 e dell’art. 36, primo comma, cod. civ.

La sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha individuato il periodo di riferimento per la stima del plafond nel segmento temporale 28 agosto-31 dicembre 2006, anziché nel più ampio periodo compreso fra il 24 agosto 2006 e il 31 dicembre 2007, errando nell’interpretazione della disposizione statutaria che aggancia la durata dell’esercizio sociale all’anno sportivo.

5. Infine, con il terzo motivo è dedotta nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.

ASAB evidenzia che la sentenza d’appello, pur fondandosi sulla sussistenza di uno “splafonamento”, ha completamente omesso di pronunziarsi sull’eccezione di irrilevanza della questione, con la quale essa aveva evidenziato che, anche a voler ritenere applicabile il criterio di competenza in luogo di quello di cassa, il superamento del limite reddituale era stato talmente esiguo da non giustificare la disposta decadenza dal regime di favore previsto dalla l. n. 398/1991.

6. Il primo motivo del ricorso principale non è fondato, restando assorbita, in tale statuizione, ogni altra censura sottoposta dalle parti al collegio.

6.1 Com’è noto, la n. 398/1991 indica i criteri forfetari per determinare le imposte da corrispondere in relazione all’attività commerciale delle associazioni sportive dilettantistiche, basandosi esclusivamente sui ricavi e senza tener conto dei costi.

In particolare, essa stabilisce, all’art. 1, che ai fini del computo del plafond che consente l’accesso al regime agevolato (ratione temporis individuato in € 250.000,00, oggi innalzato ad € 400.000,00 dalla l. 11/12/2016, n. 232, in vigore dal 1° gennaio 2017) occorre aver riguardo ai proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali. L’art. 2, al comma 5, precisa poi che il reddito imponibile di tali organismi si calcola applicando il coefficiente di redditività del 3%, e aggiungendo le plusvalenze patrimoniali, «all’ammontare dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali».

In base alla disciplina di riferimento, presa in considerazione nei suoi profili letterali, è pertanto indubbio che il momento rilevante per la determinazione del plafond è quello in cui il corrispettivo viene incassato.

6.2 Del resto, la stessa terminologia è impiegata anche nella circolare illustrativa del Ministero delle Finanze n. 1 del 11.02.1992 (avente ad oggetto le disposizioni tributarie introdotte dalla l. 398/1991), e trova riscontro nella previsione di cui all’art. 9, comma 3, del d.p.r. 544/1999 in materia di imposte sugli intrattenimenti (ispirata ad analoghe finalità), a mente del quale i beneficiari della  disciplina  agevolativa  sono  tuttavia  tenuti  a «conservare e numerare progressivamente le fatture di acquisto e annotare, anche con una unica registrazione, entro il giorno 15 del mese successivo, l’ammontare dei corrispettivi e di qualsiasi provento conseguito nell’esercizio di attività commerciali, con riferimento al mese precedente».

In sintesi, la normativa richiamata, nel suo dato testuale corroborato dal documento di prassi interpretativa, evidenzia con chiarezza che nel calcolo del plafond devono essere conteggiati tutti i ricavi di natura commerciale incassati, con conseguente esclusione dei ricavi fatturati, ma non ancora incassati, durante il corso dell’anno sociale adottato dall’associazione.

6.3 Una tale lettura, tuttavia, contrasta con l’interpretazione che del testo ha fornito la stessa Agenzia delle entrate con la propria successiva circolare n. 18/E del 1° agosto 2018, nella quale è espressa chiaramente l’indicazione di far rientrare nel computo del plafond anche i ricavi fatturati ma non ancora riscossi al termine del periodo di imposta di riferimento, ancorché limitatamente ai proventi derivanti dalle attività commerciali connesse agli scopi istituzionali.

Afferma infatti la circolare in questione: «stante la particolarità della disciplina introdotta dalla legge n. 398 del 1991, per l’individuazione dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali deve aversi riguardo al momento in cui è percepito il corrispettivo […] si fa presente, tuttavia, che, qualora anteriormente alla percezione del corrispettivo sia emessa fattura, andranno in tale ipotesi computati anche gli introiti fatturati ancorché non riscossi»).

Inoltre, e quanto al perimetro nel quale si collocano le attività istituzionali generatrici di reddito, la stessa circolare chiarisce:

«rientrano tra i proventi delle attività commerciali connesse con gli scopi istituzionali, ai fini dell’applicazione del regime forfetario di cui alla legge n. 398 del 1991, i proventi delle attività commerciali strutturalmente funzionali all’attività sportiva dilettantistica tra i quali, a titolo esemplificativo, possono annoverarsi i proventi derivanti dalla somministrazione di alimenti e bevande effettuata nel contesto dello svolgimento dell’attività sportiva dilettantistica, dalla vendita di materiali sportivi, di gadget pubblicitari, dalle sponsorizzazioni, dalle cene sociali, dalle lotterie, ecc… […] l’attività connessa agli scopi istituzionali è quella che costituisce il naturale completamento degli scopi specifici e particolari che caratterizzano l’ente sportivo dilettantistico senza scopo di lucro».

Le indicazioni della circolare sono state poi ribadite dal punto 1 dell’allegato E del D.M. 18 maggio 1995 del Ministro delle Finanze, che ha fornito le istruzioni per la compilazione dei modelli di distinta e di dichiarazione d’incasso da parte degli enti sportivi dilettantistici senza scopo di lucro con opzione per il regime fiscale agevolato.

6.4 Ritiene tuttavia il collegio che le antinomie che emergono da siffatto quadro disciplinare possano essere superate.

6.4.1 Con riferimento a quanto indicato dalla circolare n. 18/E del 1° agosto 2018, basti qui osservare che le circolari costituiscono un atto di indirizzo della condotta degli uffici cui sono rivolte e non sono, perciò, fonte di diritti né di doveri, non vincolando il contribuente (v. Cass. n. 21698/2010, Cass. n. 10775/2013, Cass. Sez. U. n. 1915/2016 e numerose altre seguenti).

6.4.2 Quanto, poi, al contenuto del M. 18 maggio 1995, va anzitutto rilevato che, come espressamente affermato nella sua premessa, esso è esclusivamente finalizzato a dare attuazione alla previsione di cui all’art. 2, comma 2, della l. n. 398/1991, a mente del quale «i soggetti che fruiscono dell’esonero devono annotare nella distinta d’incasso o nella dichiarazione di incasso previste, rispettivamente, dagli articoli 8 e 13 del decreto del Presidente della Repubblica  26  ottobre  1972,  n.  640,  opportunamente integrate, qualsiasi provento conseguito nell’esercizio di attività commerciali».

In altri termini, la stessa portata attuativa del decreto è espressamente circoscritta alla regolazione della contabilità dei «proventi conseguiti» cui fa riferimento la norma primaria.

In ogni caso ─ e con riferimento alla relazione fra quest’ultima e la norma secondaria di attuazione, per i profili che qui rilevano ─ va osservato che l’ordinamento regola il rapporto tra le varie fonti di produzione del diritto in termini di gerarchia. L’art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale, infatti, indica fra le fonti del diritto prima le leggi e poi i regolamenti; e il successivo art. 4, rubricato “Limiti della disciplina regolamentare”, precisa che «I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi».

Pertanto, laddove volti a disciplinare la stessa materia, i regolamenti sono gerarchicamente subordinati alle leggi, così destinate a prevalere in caso di contrasto.

In applicazione di tale criterio, pertanto, i profili di contrasto che l’art. 1 all’allegato E del D.M. 18 maggio 1995 presenta con la normativa primaria sono suscettibili di risoluzione in via di disapplicazione.

6.5 Del resto, una diversa lettura del presupposto di applicazione del regime agevolato non appare giustificata neppure dal ricorso al criterio di interpretazione teleologico.

Il particolare regime fiscale delle associazioni sportive dilettantistiche ─ che si articola in una serie di norme fra loro eterogenee, in parte aventi natura di disposizioni inderogabili, in parte volte a consentire diverse opzioni di assolvimento degli obblighi tributari ─ costituisce espressione del riconoscimento, da parte dello Stato, di aggregazioni sociali ritenute meritevoli in quanto volte al perseguimento di scopi di pubblico interesse in assenza di finalità lucrative; un tale riconoscimento costituisce diretta applicazione degli artt. 2 e 18 della Costituzione, concretizzandosi nella riduzione del carico impositivo e nell’eliminazione (o nella semplificazione) degli oneri normalmente connessi allo svolgimento di attività commerciali.

Significativa, in tal senso, è la lettura dei lavori preparatori della l. 398 del 1991, donde emerge la chiara volontà del legislatore di «mettere tali associazioni in grado di operare eliminando quelle difficoltà e quelle incertezze che derivano dalla esistenza di obblighi tributari, soprattutto formali e contabili, che costituiscono una remora consistente allo sviluppo dell’associazionismo sportivo e sono spesso una fonte di contenzioso tributario», in particolare ancorando l’adozione del regime agevolato al «conseguimento dei proventi» con l’intento di «far corrispondere correttamente l’ammontare dei tributi dovuti e rimuovere quegli adempimenti che […] appaiono eccessivamente onerosi rispetto alla potenzialità e alla capacità delle strutture organizzative delle associazioni in questione» (v. presentazione del disegno di legge alla Camera dei Deputati C. 5049, 3 agosto 1990).

In siffatta ottica si spiega, allora, l’adozione del plafond.

Esso, infatti, rappresenta un valore significativo della concreta capacità patrimoniale ed organizzativa dell’associazione, giustificando la relativa opzione per il regime agevolato e, proprio per tale ragione, assurge ad elemento di specialità mediante il quale si realizza l’obiettivo di tutela perseguito dal legislatore nella cornice di valori di rilievo costituzionale.

6.6 A fronte di tali considerazioni, non può essere condiviso il richiamo operato dall’amministrazione ad un possibile effetto agevolativo di condotte elusive che conseguirebbe all’impiego del criterio di cassa, sussistendo la possibilità, per le associazioni dilettantistiche, di emettere fattura per operazioni inesistenti (a vantaggio degli apparenti beneficiari) senza correre il rischio di veder pregiudicato l’accesso al miglior regime fiscale.

La previsione di un particolare regime fiscale per le associazioni sportive dilettantistiche risponde, infatti, ad esigenze affatto diverse dal contrasto all’elusione; e d’altro canto, l’eventuale ricorso a condotte elusive da parte di tali organismi resta soggetto alle forme di accertamento previste dall’ordinamento, che si fondano su meccanismi probatori autonomi.

6.7 Può dunque essere affermato il seguente principio di diritto: «Le associazioni sportive dilettantistiche possono optare per il regime agevolato di cui all’art. 1 della l. 16/12/1991, n. 398 se nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito proventi nei limiti del plafond previsto (pari ad € 400.000,00 per effetto delle modifiche introdotte dalla l. 11/12/2016, n. 232, in vigore dal 1° gennaio 2017). Ai fini del computo di tale plafond trova applicazione il criterio di cassa, con conseguente esclusione dei corrispettivi fatturati ma non ancora incassati, giustificandosi tale criterio con le particolari finalità, sottese alla possibile opzione per il regime agevolato, di tutela delle aggregazioni sociali senza scopo di lucro che perseguono finalità socialmente rilevanti».

7. Il rigetto del primo motivo di ricorso, di carattere dirimente, rende superfluo lo scrutinio dei restanti, che restano perciò assorbiti. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso principale, assorbiti tutti i restanti, e pone a carico della ricorrente le spese del giudizio, che liquida in complessivi € 3.700,00, oltre € 200,00 per esborsi e 15% spese generali.